Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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martedì 18 ottobre 2011
Il fenomeno degli indignati
Il movimento degli indignados aumenta sempre di più ed incontra sempre maggiori adesioni, anche da persone che possono essere riconosciute come appartenenti dell'establishment della stessa finanza. Le questioni messe sul tappeto sono ormai pressanti, perchè agiscono concretamente sulla vita dei cittadini, dal ceto medio in giù. La grande mobilitazione giovanile è integrata con persone di età più elevata ed è un dato comune in tutto il movimento. La connotazione distintiva non è solo politica, che anzi pare minoritaria a livello generale, ma rientra sopratutto nei concreti bisogni dei cittadini che dimostrano e di quelli che danno soltanto un appoggio morale al movimento. La grande novità del movimento è l'opposizione, anzichè ad una causa politica, tranne che per l'Italia dove la situazione su quel versante è particolarmente esacerbata, ad una causa basata sull'utilizzazione della leva finanziaria. L'invasione nella vita pratica delle persone degli effetti dell'azione finanziaria ha determinato una compressione dei redditi andando ad eroderne la ricchezza, fino ad un punto che pare di non ritorno. Le persone non protestano più tanto per le idee ma per le condizioni di vita a cui loro malgrado sono sottoposte, anche in conseguenza di mancati interventi di protezione da parte dello Stato. Lo stesso Stato diventa quindi bersaglio per la manifesta incapacità di gestire l'emergenza, di cui, alla fine, resta esso stesso vittima. Se da un lato vi è infatti concreta incapacità degli uomini di governo, è altresì vero che la situazione risulta ormai incancrenita e trovare forme di interventi che non intacchino il sistema finanziario in modo da avere grosse ripercussioni sul sitema produttivo e sociale è praticamente impossibile. Il caso greco è esemplificativo di cosa potrebbe succedere, ed in effetti pur non essendoci le condizioni così negative a livello macro in molte altre nazioni, le ricadute a livello sociale sono spesso ugualmente gravi. Quello che si sta concretizzando è un arretramento significativo del sistema sociale di ammortizzazione e di aiuto nei confronti delle famiglie, che, è bene ricordarlo continuano a pagare tasse anche per questi servizi. Senza colpire significativamente le storture finanziarie la rabbia della folla è destinata a salire ed episodi come quelli di Roma non saranno, purtroppo, più isolati. Se, disgraziatamente, nel movimenti degli indignati dovesse prendere campo una componente violenta, data la diffusione del fenomeno si rischierebbe di travisare le ragioni del movimento, ma al tempo stesso si arriverebbe a situazioni di pericolosità sociale capaci di creare concreti casi di instabilità politica. Il problema è diventato troppo grosso per cercare soluzioni separate in ogni singolo stato, è necessario trovare soluzioni condivise a livello sovranazionale per governare e riformare il fenomeno della finanza.
venerdì 14 ottobre 2011
L'ombra sull'Europa
Una inchiesta del settimanale francese "Paris Match" ha rilevato che il 43% dei belgi ritiene che nel nazismo vi siano degli spunti interessanti circa i principi che salvaguardano la nazionalità del paese e le misure per stimolare l'economia. A parte l'ovvia e negativa considerazione sulla convenienza di individuare degli aspetti postivi nel nazismo, la rilevazione offre spunti interessanti per comprendere l'attuale fase che si è sviluppata in Europa e basata su distorte interpretazioni delle accezioni nazionalistiche e particolaristiche, che hanno avvantaggiato partiti o gruppi, non necessariamente di estrema destra, fondati sull'esaltazione del localismo, sulla chiusura agli stranieri con discriminazioni sia economiche che civili. Chi ha dato un giudizio positivo, anche solo su alcuni aspetti, del fenomeno nazista, non può averlo espresso per ignoranza (anche perchè alcune domande erano precise e circostanziate), ma consapevole di esprimere assertività su di una questione molto delimitata. Fatta questa premessa, doverosa per ciò che riguarda la parte metodologica, occorre capire perchè alcune persone, che vivono in un tempo relativamente vicino agli anni del fenomeno in questione, possano legarne in maniera positiva alcuni aspetti al momento attuale. Il senso di disagio per una immigrazione non regolata, spesso serbatoio per la manovalanza della delinquenza, una percezione, spesso errata, della distribuzione delle risorse, un senso di qualunquismo montante che, giunto all'estremizzazione delle istanze localistiche, spesso professate a discapito di altri territori della stessa nazione, sono, essenzialmente le ragioni che hanno determinato l'apprezzamento di alcuni aspetti della teoria nazista. Il fenomeno è una chiara conferma del successo dei partiti di estrema destra nel nord Europa, che ha portato fino ai tragici fatti norvegesi. Sono mancate risposte politiche, che governassero la trasformazione del mondo in cui viviamo, la delusione dei cittadini ha indirizzato la protesta anzichè su posizioni costruttive verso una chiusura indotta che ha il solo scopo di difendere quelli che sembrano priviliegi in pericolo. Ma nonostante queste ragioni, che sono effettive e reali, la tristezza che ispira questa analisi deve lasciare il posto ad una rabbia ragionata, che abbia come scopo la sconfitta di questi apprezzamenti per una dottrina politica da cancellare, il pericolo che la storia ritorni è sempre presente, anche se non in quelle forme l'assolutismo può ripresentarsi in maniera più subdola e manipolare le coscenze per i propri scopi. Ma forse ha già iniziato.
Il puzzle della tensione mondiale
C'è un sottile filo che lega le zone calde del pianeta. Ogni zona a rischio è collegata in qualche modo all'altra in un puzzle della tensione. Sulla carta geografica l'area di maggiore pressione è quella medio orientale, una fascia mediana che parte da Israele, attraversa la Siria, l'Iraq, l'Iran. In questa zona vastissima, che è stata la culla della civiltà, si addensano i pericoli maggiori per la pace mondiale. Però è anche vero che l'Afghanistan ed il Pakistan sono limitrofi, mentre i paesi del Mediterraneo del sud sono contigui ad Israele e Libano. E stiamo parlando soltanto di pericolo militare. Se allarghiamo l'orizzonte anche sulle questioni economiche la zona "rossa" si allarga ai paesi contigui al Pakistan, che confina con un territorio continuo che abbraccia India, Cina e Russia, giganti e rivali. Ora focalizzandoci soltanto sui pericoli militari appare chiaro che le guerre in corso e che sono, in qualche modo, dichiarate si stanno svolgendo in Afghanistan e Libia rappresentano conflitti limitati, che pur nella loro gravità, non paiono in grado di allargarsi se non in modo limitato e comunque ciò vale soltanto per il caso afghano, visto che quello libico è destinato a concludersi. Il caso iraqeno è differente perchè quello che è in corso è una sorta di guerra civile, che rischia un vuoto di potere, capace di innescare qualcosa di maggiore. Il paese è nel mirino di Arabia Saudita ed Iran, che sottotraccia stanno già affrontandosi, ed inoltre potrebbe subire una secessione da nord ad opera dei Curdi; qui la situazione si complica perchè proprio il nord iraqeno è spesso teatro di azione delle truppe turche che sconfinano oltre il proprio territorio, creando un precedente pericolosissimo. La questione curda è fuoco che cova sotto la cenere e prima o poi dovrà essere affrontata, tuttavia il problema, per la pace mondiale, non è così pressante come la risoluzione della questione palestinese. Intorno a questa disputa ruota il destino di diverse situazioni collegate. Intanto finchè la Palestina non avrà il proprio stato sarà sempre un alibi per il mondo arabo, un alibi facile da usare sia per i terroristi che per gli stati. Nel secondo caso l'Iran ne è stato uno dei maggiori utilizzatori, fomentando attraverso questo motivo diversi gruppi ed ergendosi a difensore del popolo islamico. La Repubblica degli ayatollah sta usando la tattica di portare al limite gli avversari, ma la corda è vicino a rompersi. L'ultimo fatto ha soltanto ottenuto il risultato di compattare ancora maggiormente l'alleanza americana con l'Arabia Saudita. Inoltre il timore della bomba atomica iraniana sta prendendo campo ed il governo di Teheran pare schiacciato tra opinione pubblica internazionale ed opposizione interna. In questi casi si possono fare mosse avventate, la pericolosità del governo in carica appare enorme. Gli USA potrebbero così prevenire una eventuale azione iraniana, probabilmente diretta su Israele, con una ritorsione giustificata dal fallito attentato sul suolo americano. E' uno scenario possibile, che solo la diplomazia può evitare momentaneamente e lasciando inalterato il problema dell'armamento nucleare in mano agli Ayatollah. Per ora è meglio fermarsi qui, ma le connessioni non finiscono.
giovedì 13 ottobre 2011
Arabia Saudita-Iran: le grandi avversarie islamiche
Il mancato attentato contro l'Arabia Saudita riporta alla ribalta la rivalità tra Riyad e Teheran, che si basa su rivalità di tipo etnico, tra arabi e persiani, ed anche religioso, in conseguenza della disputa sulla legittimità dell'eredità del profeta che ha dato vita alle due principali visioni dell'islam: sunniti e sciti. Successivamente l'inimicizia è cresciuta con l'avvento degli ayatollah, vissuto dai sauditi come una minaccia per il loro regno.
Anche la scelta saudita di schierarsi come più fedele alleato nella regione, degli USA, ha contribuito a scavare ulteriormente il solco tra i due paesi. Recentemente, con le ribellioni coincise con la primavera araba, Riyad ha accusato Ahmadinejad di avere fornito sostegno alla minoranza scita presente nella penisola araba, che ha causato diversi problemi con manifestazioni e scioperi. L'Iran ha manovrato i dimostranti, che peraltro manifestavano per giusti motivi, per cospirare contro il governo saudita, provando ad aprire un fronte interno, a suo favore, per destabilizzare il paese. La comune frontiera che corre tra i confini dei due stati adiacenti, favorisce i timori sauditi sul possibile sviluppo della bomba atomica iraniana, tanto da fare diventare l'Arabia Saudita uno dei principali fautori della politica statunitense contro la ricerche nucleari di Teheran. Tra i due paesi si profila anche la questione iraqena, su Bagdad, infatti, hanno entrambi delle mire per ampliare l'influenza sia politica che economica, l'Iraq è stato fino ad ora un paese a maggioranza scita ma governato da sunniti, questa rivalità rischia di trasformarsi in un pericoloso confronto proprio grazie alle mosse dietro le quinte che stanno facendo Riyad e Teheran. Anche sul lato economico i due paesi vanno in direzioni opposte con scopi nettamente contrari: l'Arabia Saudita ha necessità di calmierare il prezzo del greggio per esercitare una strategia produttiva basata sul lungo periodo e tende quindi a ridurne la produzione di barili di petrolio, cosa che non fa l'Iran, che ha necessità di liquidi immediata per sostenere i suoi livelli produttivi intaccati dalla crisi mondiale. Questa nuova crisi tra i due paesi rappresenta un innalzamento di una temperatura già elevata, che rischia di sfociare in un pericoloso peggioramento che può avere ricadute, non solo per l'equilibrio regionale ma per gli assetti mondiali.
Anche la scelta saudita di schierarsi come più fedele alleato nella regione, degli USA, ha contribuito a scavare ulteriormente il solco tra i due paesi. Recentemente, con le ribellioni coincise con la primavera araba, Riyad ha accusato Ahmadinejad di avere fornito sostegno alla minoranza scita presente nella penisola araba, che ha causato diversi problemi con manifestazioni e scioperi. L'Iran ha manovrato i dimostranti, che peraltro manifestavano per giusti motivi, per cospirare contro il governo saudita, provando ad aprire un fronte interno, a suo favore, per destabilizzare il paese. La comune frontiera che corre tra i confini dei due stati adiacenti, favorisce i timori sauditi sul possibile sviluppo della bomba atomica iraniana, tanto da fare diventare l'Arabia Saudita uno dei principali fautori della politica statunitense contro la ricerche nucleari di Teheran. Tra i due paesi si profila anche la questione iraqena, su Bagdad, infatti, hanno entrambi delle mire per ampliare l'influenza sia politica che economica, l'Iraq è stato fino ad ora un paese a maggioranza scita ma governato da sunniti, questa rivalità rischia di trasformarsi in un pericoloso confronto proprio grazie alle mosse dietro le quinte che stanno facendo Riyad e Teheran. Anche sul lato economico i due paesi vanno in direzioni opposte con scopi nettamente contrari: l'Arabia Saudita ha necessità di calmierare il prezzo del greggio per esercitare una strategia produttiva basata sul lungo periodo e tende quindi a ridurne la produzione di barili di petrolio, cosa che non fa l'Iran, che ha necessità di liquidi immediata per sostenere i suoi livelli produttivi intaccati dalla crisi mondiale. Questa nuova crisi tra i due paesi rappresenta un innalzamento di una temperatura già elevata, che rischia di sfociare in un pericoloso peggioramento che può avere ricadute, non solo per l'equilibrio regionale ma per gli assetti mondiali.
Gli USA premono su Cina e Russia contro l'Iran
Gli strascichi della vicenda dei falliti attentati negli Stati Uniti, addebitati all'organizzazione dell'Iran, aprono una fase pericolosa. Anche se per ora la strategia statunitense è quella di inasprire le sanzioni e coinvolgere tutto il Consiglio di sicurezza nella condanna a Teheran, filtrano notizie di allerta per le forze USA. L'obiettivo primario è quello di coinvolgere, nelle sanzioni contro l'Iran, la Cina e la Russia, restie ad ingerirsi negli affari interni degli stati. Le due superpotenze hanno rifiutato di sanzionare Teheran per la questione nucleare, lasciando, di fatto, uno spazio di manovra, sul piano internazionale, all'Iran. Un coinvolgimento di Cina e Russia metterebbe la repubblica islamica in grossa difficoltà di fronte al mondo. Il peso specifico delle sanzioni condivise anche da Pechino e Mosca, salirebbe parecchio e ridurrebbe lo stato iraniano ad un pesante isolamento diplomatico. Il lavorio diplomatico americano sta spingendo in questa direzione, anche se è pressochè impossibile ottenere un voto unanime in sede di Consiglio di sicurezza dell'ONU, per la presenza del Libano, governato dal movimento Hezbollah, uno dei maggiori alleati di Teheran. Tuttavia la chiave per portare verso gli USA i due pesi massimi del Consiglio di sicurezza è l'importanza della mancata vittima dell'attentato, infatti l'Arabia Saudita è il più grande produttore di petrolio e potrebbe gettare sulla bilancia la sua forza determinante di fornitore di greggio, argomento a cui è particolarmente sensibile la Cina. Se l'Arabia riuscirà ad essere determinante in questo senso, potrebbe avere anche un ruolo essenziale per scongiurare una eventuale opzione militare, che sta montando in alcuni ambienti americani. L'amministrazione americana, infatti, pur non ritenendo praticabile in tempi immediati questa soluzione, non scarta a priori una ritorsione armata verso obiettivi iraniani. Ciò darebbe l'avvio ad una pericolosa escalation diplomatico militare che coinvolgerebbe l'intero pianeta andando verosimilmente a sconvolgere gli attuali equilibri. Soluzione che potrebbe essere scartata nel caso Washington trovasse soddisfazione sul piano diplomatico.
mercoledì 12 ottobre 2011
Sventato attentato iraniano in USA
Se, come sembra, l'Iran ha tentato veramente di assassinare l'ambasciatore saudita a Washington, occorre fare alcune riflessioni per cercare di comprendere quale tattica ha intrapreso Teheran. L'obiettivo del rappresentante della monarchia sunnita, con la quale l'Iran si contende il primato dell'islamismo, significa, appunto, dare un duplice segnale forte sulla scena internazionale ai propri alleati, infatti colpire sul territorio americano l'ambasciatore saudita avrebbe significato dare una dimostrazione di forza di non poco conto. L'attentato rientrerebbe in un piano più vasto, che avrebbe avuto come obiettivo anche diplomatici israeliani. Si tratterebbe, cioè, di un strategia volta a mettere in allarme le cancellerie dei paesi alleati contro l'Iran e l'estremismo islamico. Il momento attuale, per sviluppare questi piani concorda con la difficile situazione di isolamento di Israele, le continue sommosse degli sciti in Arabia Saudita ed anche la complicata situazione di Obama alla vigilia delle elezioni presidenziali. Se azioni terroristiche ripetute possono portare ancora più scompiglio in situazioni particolarmente cariche di tensione, il periodo attuale presenta occasioni favorevoli. Tuttavia per quale ragione l'Iran si deve esporre alle naturali ritorsioni, prestando il fianco per un attentato che alla fine non è neanche riuscito? Un motivo può essere una perdita di leadership che l'Iran sta subendo per gli sviluppi sia della primavera araba che dei nuovi assetti geopolitici che stanno favorendo nuovi soggetti come la Turchia. L'Iran vuole fare presa sui soggetti più estremi, Hezbollah, Talebani, Siria, dimostrando di avere una forza in grado di affrontare soggetti più forti. Se questa ipotesi dovesse essere vera, sarebbe una spia che la situazione per l'Iran non sarebbe tanto buona, questa azione potrebbe costituire la mossa della disperazione, anche per contrastare l'ondata di opposizione interna che non si è mai sopita.
Ma quello che ora rischia di aprirsi è un inasprimento delle relazioni tra USA ed Iran, peraltro già sufficientemente tese. Sarà difficile che Washington accetti la teoria di Teheran, che ha definito ridicola la ricostruzione americana. Sulle possibili forme di ritorsione americane la speranza è che si concretizzino con un aggravemento delle sanzioni, come annunciato dalla Clinton, tuttavia non sono da escludere azioni più pesanti, che però potrebbero suscitare reazioni non prevedibili, con conseguenze fortemente negative sugli assetti attuali.
Ma quello che ora rischia di aprirsi è un inasprimento delle relazioni tra USA ed Iran, peraltro già sufficientemente tese. Sarà difficile che Washington accetti la teoria di Teheran, che ha definito ridicola la ricostruzione americana. Sulle possibili forme di ritorsione americane la speranza è che si concretizzino con un aggravemento delle sanzioni, come annunciato dalla Clinton, tuttavia non sono da escludere azioni più pesanti, che però potrebbero suscitare reazioni non prevedibili, con conseguenze fortemente negative sugli assetti attuali.
Per la nuova Libia è l'ora di gestire il petrolio
Il conflitto libico continua nelle ultime roccaforti gadafiste, ma Sirte è praticamente caduta e la sua conquista da parte delle truppe del CNT è vissuta come fortemente simbolica per il legame della città con il clan del colonnello, mentre le ultime sacche di resistenza si oppongono, alle ormai truppe governative, soltanto nella zona di Bani Walid. La NATO ritiene che togliendo l'ultimo accesso al mare ai lealisti di Gheddafi, il conflitto sia veramente alle battute finali. Intanto il governo libico di transizione inizia ad addentrarsi nella gestione della maggiore ricchezza del paese: il petrolio. Una delle molle che ha scatenato il conflitto è stata la condizione di povertà del popolo libico, addebitata, oltre alla gestione del rais, anche alla corruzione fortemente estesa nei gangli burocratici del sistema di governo di Tripoli. Una delle maggiori branche dell'amministrazione di Gheddafi ad essere contaminata dal fenomeno della corruttela è stata proprio quella relativa alla gestione dell'oro nero. L'intenzione dei nuovi amministratori libici è da subito quella di esaminare i contratti per trovare chi si è arricchito a scapito dei cittadini. Sul fronte dei contratti per la fornitura di greggio, motivo di trepidazione di diversi governi occidentali, alla ripresa della piena produzione è prevista la priorità verso le raffinerie domestiche, per soddisfare principalmente i fabbisogni interni, lasciando per l'esportazione l'eccedenza. Tuttavia la Libia è un paese di tre milioni di abitanti, con necessità contenute, questa affermazione pare la premessa per una ricontrattazione delle destinazioni e delle quantità delle forniture del petrolio. Non è un mistero, che l'aiuto al CNT sia stato fortemente interessato, l'intervento immediato di Francia e Regno Unito è stato dettato anche dall'esigenza di incrementare le proprie importazioni di greggio dal paese libico a scapito di chi se ne avvantaggiava maggiormente e cioè l'Italia. Roma ha più volte ribadito che i contratti precedentemente presi non si toccano, ma la fase in cui entra la vicenda, non pare assicurare l'assunto italiano in toto, il futuro del petrolio libico sarà oggetto di una trattativa serrata, che lascerà degli scontenti sul terreno.
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