Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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mercoledì 19 ottobre 2011
Egitto: la strana alleanza tra militari e radicali islamici contro i copti
Nell'Egitto del dopo Mubarak i disordini di cui sono stati vittima i copti nascondono una strategia dell'esercito, che ora occupa, di fatto, il potere. Se era vero che il regime precedente garantiva una maggiore protezione ai cristiani egiziani, questo fatto ha determinato il fatto che la comunità cristiana diventasse invisa agli ambienti più radicali dell'islam nazionale. Per certi versi si è manovrata una percezione sbagliata, che ha configurato nella protezione accordata da Mubarak una contiguità con il regime. Il rovesciamento del precedente governo ha avuto come protagonista la piazza, dove la parte islamica più radicale, pur non avendo un ruolo di guida preponderante, ha però avuto un fondamentale ruolo logistico e tattico, sopratutto con l'organizzazione dei Fratelli Musulmani, capaci di fornire una struttura alla protesta spontanea. Tuttavia il moto proveniente dalla rivolta della società civile non avrebbe potuto avere successo senza un tacito appoggio delle forze armate, che hanno saputo sganciarsi per tempo della dittatura, andando così a ritagliarsi il ruolo determinante che ha permesso la transizione di potere. Nonostante le dichiarazioni ufficiali, ora a comandare in Egitto sono i militari, che cercano di posticipare la data delle elezioni mettendo sempre nuovi paletti verso il regime democratico. La paura degli uomini con le stellette è di una proiezione troppo in avanti del paese, che possa relegare le forze armate su di un piano secondario, anche perchè le forze armate, forse, non hanno ancora insabbiato tutte le correità compiute con il vecchio regime. Il potere dei gruppi islamici più radicali rappresenta comunque una influenza sulla società civile e dietro le quinte non è difficile individuare una possibile comunità d'intenti proprio tra questi gruppi e l'esercito. In questa fase politica dell'Egitto, aperta ad ogni possibile sviluppo, trovare una sorta di nemico comune sul territorio nazionale, i copti nella fattispecie, rappresenta un parafulmine su cui concentrare le attenzioni per distoglierle da altre questioni, ancora più delicate. Le prove di questa alleanza sotterranea sono nel protagonismo e nella parzialità dell'intervento dell'esercito teso ad affiancare i gruppi islamici contro i copti e nella repressione a senso unico negli scontri. Quello che emerge è uno scenario dove l'Egitto inaugura la strada verso la democrazia in maniera sbagliata, lasciando una percentuale consistente, il 10% della popolazione, in una situazione di inferiorità; l'aspetto non confessionale della nuova forma di governo manca da subito e ciò rappresenta un problema per il prosieguo sulla strada della modernizzazione del paese.
martedì 18 ottobre 2011
Sociologia della violenza di piazza nell'era delle crisi finanziarie
La grande impressione degli scontri di Roma segue i fatti di Atene, che si sono ripetuti più volte da questa primavera, ed anche quelli di Londra, dove alcuni dimostranti hanno sottoposto le città dove si effettuavano cortei di protesta, a distruzioni e saccheggi, con tattiche assimilabili ad organizzazioni militari. Fatta implicita la condanna di questo modus operandi, che va anche ad inficiare le ragioni dei dimostranti pacifici, occorre analizzare la portata del fenomeno. La presenza di un'area antagonista fortemente militarizzata e capace di dimostrazioni di forza è un fatto relativamente nuovo. L'avversione militare al potere costituito, dalla fine degli anni '60 fino agli anni '80 inoltrati, avveniva con movimenti e bande armate organizzate in rigide strutture burocratico militari, che praticavano la così detta lotta armata con obiettivi ben definiti sia singoli, nel caso della lotta armata di matrice di estrema sinistra (in particolar modo in Italia e Germania), che più ampi, fino ad essere ricompresi nella definizione di strage, nel caso della destra estrema, specialmente nel caso italiano. Una serie di fattori ha determinato la fine dei movimenti terroristici, sia di natura investigativo poliziesca, sia per le mutate condizioni sia sociali che internazionali, tra cui la caduta del muro di Berlino e le sue conseguenze è stata uno dei fattori maggiori. Ma la rabbia sociale è rimasta e la fine dei partiti tradizionali, con la progressiva affermazione del così detto partito leggero, ha costituito la mancanza di una diga capace di contenere e controllare, almeno in parte, il fenomeno. La progressiva affermazione di sempre maggiori differenze di reddito e di possibilità hanno creato un aumento della forbice della diseguaglianza, andando ad alimentare il numero delle persone, sopratutto giovani, senza rete di protezione sociale. La crisi economica ha fatto il resto: un'ondata di rabbia ha travolto questi movimenti che hanno visto come unico sfogo l'esercizio della violenza in un contesto pubblico, sia come modo di protesta, sia come affermazione estrema delle proprie rivendicazioni. Non sembra che con questi movimenti vi siano margini di trattativa, l'assunto che sembra caratterizzarli pare il "tanto peggio, tanto meglio", ed il rifiuto di ogni forma di dibattito canalizzato e regolato da norme solitamente accettate, non fa che confermare l'assoluto rifiuto per la società che combattono. Va detto che ai componenti iniziali dell'area antagonista: squatter, componenti dei centri sociali, che, all'inizio, pur essendo determinati e combattivi, non sommavano una grande quantità di elementi, si sono aggiunti progressivamente numeri consistenti provenienti da espulsi dal mondo del lavoro, appartenenti a territori su cui sono stati progettate infrastrutture non condivise dai residenti e genericamente vittime della situazione finanziaria. Ciò che contraddistingue l'azione violenta è il senso di profonda ingiustizia che costringe a caricare il peso di manovre finanziarie fatte da altri soggetti sulla collettività, rifiutando il modo di manifestare pacifico, perchè ritenuto inutile. La devastazione che prende di mira banche, agenzie interinali ed edifici governativi ha il chiaro scopo di rimarcare il rifiuto di una società in cui non riconoscersi. Un fatto nuovo è la internazionalità del movimento violento, che determina, oltre ad una condivisione comune delle idee, degli scopi e delle finalità, anche una intercambiabilità ed un mutuo sostegno degli stessi attori fisici che compiono le devastazioni: non è raro vedere scritte e striscioni in greco e spagnolo in Italia e viceversa, che dimostrano la presenza di elementi di altri stati nella nazione dove si svolgono le manifestazioni. Come ovviare a questo fenomeno? Se in una prima fase la prevenzione è il mezzo più efficace, sul lungo periodo non basta puntare sulla limitazione dei movimenti degli elementi ritenuti più pericolosi, ed anzi una soluzione del genere protratta nel tempo rischia di innescare fenomeni di emulazione che vanno soltanto ad aumentare le fila di questi movimenti. Scartando l'ipotesi più ovvia, che è quella di sistemare le storture del sistema economico finanziario mondiale, perchè la più difficile da percorrere, occorrerebbe mettere in campo una azione sociale capillare, capace da un lato di smussare le evidenti difficoltà pratiche della gran parte degli aderenti a questi movimenti e dall'altra canalizzare queste forme di associazionismo di ribellione in forme più costruttive di volontariato verso le stesse fasce sociali, come, in parte già avviene con le attività di molti centri sociali in tutta Europa.
Il fenomeno degli indignati
Il movimento degli indignados aumenta sempre di più ed incontra sempre maggiori adesioni, anche da persone che possono essere riconosciute come appartenenti dell'establishment della stessa finanza. Le questioni messe sul tappeto sono ormai pressanti, perchè agiscono concretamente sulla vita dei cittadini, dal ceto medio in giù. La grande mobilitazione giovanile è integrata con persone di età più elevata ed è un dato comune in tutto il movimento. La connotazione distintiva non è solo politica, che anzi pare minoritaria a livello generale, ma rientra sopratutto nei concreti bisogni dei cittadini che dimostrano e di quelli che danno soltanto un appoggio morale al movimento. La grande novità del movimento è l'opposizione, anzichè ad una causa politica, tranne che per l'Italia dove la situazione su quel versante è particolarmente esacerbata, ad una causa basata sull'utilizzazione della leva finanziaria. L'invasione nella vita pratica delle persone degli effetti dell'azione finanziaria ha determinato una compressione dei redditi andando ad eroderne la ricchezza, fino ad un punto che pare di non ritorno. Le persone non protestano più tanto per le idee ma per le condizioni di vita a cui loro malgrado sono sottoposte, anche in conseguenza di mancati interventi di protezione da parte dello Stato. Lo stesso Stato diventa quindi bersaglio per la manifesta incapacità di gestire l'emergenza, di cui, alla fine, resta esso stesso vittima. Se da un lato vi è infatti concreta incapacità degli uomini di governo, è altresì vero che la situazione risulta ormai incancrenita e trovare forme di interventi che non intacchino il sistema finanziario in modo da avere grosse ripercussioni sul sitema produttivo e sociale è praticamente impossibile. Il caso greco è esemplificativo di cosa potrebbe succedere, ed in effetti pur non essendoci le condizioni così negative a livello macro in molte altre nazioni, le ricadute a livello sociale sono spesso ugualmente gravi. Quello che si sta concretizzando è un arretramento significativo del sistema sociale di ammortizzazione e di aiuto nei confronti delle famiglie, che, è bene ricordarlo continuano a pagare tasse anche per questi servizi. Senza colpire significativamente le storture finanziarie la rabbia della folla è destinata a salire ed episodi come quelli di Roma non saranno, purtroppo, più isolati. Se, disgraziatamente, nel movimenti degli indignati dovesse prendere campo una componente violenta, data la diffusione del fenomeno si rischierebbe di travisare le ragioni del movimento, ma al tempo stesso si arriverebbe a situazioni di pericolosità sociale capaci di creare concreti casi di instabilità politica. Il problema è diventato troppo grosso per cercare soluzioni separate in ogni singolo stato, è necessario trovare soluzioni condivise a livello sovranazionale per governare e riformare il fenomeno della finanza.
venerdì 14 ottobre 2011
L'ombra sull'Europa
Una inchiesta del settimanale francese "Paris Match" ha rilevato che il 43% dei belgi ritiene che nel nazismo vi siano degli spunti interessanti circa i principi che salvaguardano la nazionalità del paese e le misure per stimolare l'economia. A parte l'ovvia e negativa considerazione sulla convenienza di individuare degli aspetti postivi nel nazismo, la rilevazione offre spunti interessanti per comprendere l'attuale fase che si è sviluppata in Europa e basata su distorte interpretazioni delle accezioni nazionalistiche e particolaristiche, che hanno avvantaggiato partiti o gruppi, non necessariamente di estrema destra, fondati sull'esaltazione del localismo, sulla chiusura agli stranieri con discriminazioni sia economiche che civili. Chi ha dato un giudizio positivo, anche solo su alcuni aspetti, del fenomeno nazista, non può averlo espresso per ignoranza (anche perchè alcune domande erano precise e circostanziate), ma consapevole di esprimere assertività su di una questione molto delimitata. Fatta questa premessa, doverosa per ciò che riguarda la parte metodologica, occorre capire perchè alcune persone, che vivono in un tempo relativamente vicino agli anni del fenomeno in questione, possano legarne in maniera positiva alcuni aspetti al momento attuale. Il senso di disagio per una immigrazione non regolata, spesso serbatoio per la manovalanza della delinquenza, una percezione, spesso errata, della distribuzione delle risorse, un senso di qualunquismo montante che, giunto all'estremizzazione delle istanze localistiche, spesso professate a discapito di altri territori della stessa nazione, sono, essenzialmente le ragioni che hanno determinato l'apprezzamento di alcuni aspetti della teoria nazista. Il fenomeno è una chiara conferma del successo dei partiti di estrema destra nel nord Europa, che ha portato fino ai tragici fatti norvegesi. Sono mancate risposte politiche, che governassero la trasformazione del mondo in cui viviamo, la delusione dei cittadini ha indirizzato la protesta anzichè su posizioni costruttive verso una chiusura indotta che ha il solo scopo di difendere quelli che sembrano priviliegi in pericolo. Ma nonostante queste ragioni, che sono effettive e reali, la tristezza che ispira questa analisi deve lasciare il posto ad una rabbia ragionata, che abbia come scopo la sconfitta di questi apprezzamenti per una dottrina politica da cancellare, il pericolo che la storia ritorni è sempre presente, anche se non in quelle forme l'assolutismo può ripresentarsi in maniera più subdola e manipolare le coscenze per i propri scopi. Ma forse ha già iniziato.
Il puzzle della tensione mondiale
C'è un sottile filo che lega le zone calde del pianeta. Ogni zona a rischio è collegata in qualche modo all'altra in un puzzle della tensione. Sulla carta geografica l'area di maggiore pressione è quella medio orientale, una fascia mediana che parte da Israele, attraversa la Siria, l'Iraq, l'Iran. In questa zona vastissima, che è stata la culla della civiltà, si addensano i pericoli maggiori per la pace mondiale. Però è anche vero che l'Afghanistan ed il Pakistan sono limitrofi, mentre i paesi del Mediterraneo del sud sono contigui ad Israele e Libano. E stiamo parlando soltanto di pericolo militare. Se allarghiamo l'orizzonte anche sulle questioni economiche la zona "rossa" si allarga ai paesi contigui al Pakistan, che confina con un territorio continuo che abbraccia India, Cina e Russia, giganti e rivali. Ora focalizzandoci soltanto sui pericoli militari appare chiaro che le guerre in corso e che sono, in qualche modo, dichiarate si stanno svolgendo in Afghanistan e Libia rappresentano conflitti limitati, che pur nella loro gravità, non paiono in grado di allargarsi se non in modo limitato e comunque ciò vale soltanto per il caso afghano, visto che quello libico è destinato a concludersi. Il caso iraqeno è differente perchè quello che è in corso è una sorta di guerra civile, che rischia un vuoto di potere, capace di innescare qualcosa di maggiore. Il paese è nel mirino di Arabia Saudita ed Iran, che sottotraccia stanno già affrontandosi, ed inoltre potrebbe subire una secessione da nord ad opera dei Curdi; qui la situazione si complica perchè proprio il nord iraqeno è spesso teatro di azione delle truppe turche che sconfinano oltre il proprio territorio, creando un precedente pericolosissimo. La questione curda è fuoco che cova sotto la cenere e prima o poi dovrà essere affrontata, tuttavia il problema, per la pace mondiale, non è così pressante come la risoluzione della questione palestinese. Intorno a questa disputa ruota il destino di diverse situazioni collegate. Intanto finchè la Palestina non avrà il proprio stato sarà sempre un alibi per il mondo arabo, un alibi facile da usare sia per i terroristi che per gli stati. Nel secondo caso l'Iran ne è stato uno dei maggiori utilizzatori, fomentando attraverso questo motivo diversi gruppi ed ergendosi a difensore del popolo islamico. La Repubblica degli ayatollah sta usando la tattica di portare al limite gli avversari, ma la corda è vicino a rompersi. L'ultimo fatto ha soltanto ottenuto il risultato di compattare ancora maggiormente l'alleanza americana con l'Arabia Saudita. Inoltre il timore della bomba atomica iraniana sta prendendo campo ed il governo di Teheran pare schiacciato tra opinione pubblica internazionale ed opposizione interna. In questi casi si possono fare mosse avventate, la pericolosità del governo in carica appare enorme. Gli USA potrebbero così prevenire una eventuale azione iraniana, probabilmente diretta su Israele, con una ritorsione giustificata dal fallito attentato sul suolo americano. E' uno scenario possibile, che solo la diplomazia può evitare momentaneamente e lasciando inalterato il problema dell'armamento nucleare in mano agli Ayatollah. Per ora è meglio fermarsi qui, ma le connessioni non finiscono.
giovedì 13 ottobre 2011
Arabia Saudita-Iran: le grandi avversarie islamiche
Il mancato attentato contro l'Arabia Saudita riporta alla ribalta la rivalità tra Riyad e Teheran, che si basa su rivalità di tipo etnico, tra arabi e persiani, ed anche religioso, in conseguenza della disputa sulla legittimità dell'eredità del profeta che ha dato vita alle due principali visioni dell'islam: sunniti e sciti. Successivamente l'inimicizia è cresciuta con l'avvento degli ayatollah, vissuto dai sauditi come una minaccia per il loro regno.
Anche la scelta saudita di schierarsi come più fedele alleato nella regione, degli USA, ha contribuito a scavare ulteriormente il solco tra i due paesi. Recentemente, con le ribellioni coincise con la primavera araba, Riyad ha accusato Ahmadinejad di avere fornito sostegno alla minoranza scita presente nella penisola araba, che ha causato diversi problemi con manifestazioni e scioperi. L'Iran ha manovrato i dimostranti, che peraltro manifestavano per giusti motivi, per cospirare contro il governo saudita, provando ad aprire un fronte interno, a suo favore, per destabilizzare il paese. La comune frontiera che corre tra i confini dei due stati adiacenti, favorisce i timori sauditi sul possibile sviluppo della bomba atomica iraniana, tanto da fare diventare l'Arabia Saudita uno dei principali fautori della politica statunitense contro la ricerche nucleari di Teheran. Tra i due paesi si profila anche la questione iraqena, su Bagdad, infatti, hanno entrambi delle mire per ampliare l'influenza sia politica che economica, l'Iraq è stato fino ad ora un paese a maggioranza scita ma governato da sunniti, questa rivalità rischia di trasformarsi in un pericoloso confronto proprio grazie alle mosse dietro le quinte che stanno facendo Riyad e Teheran. Anche sul lato economico i due paesi vanno in direzioni opposte con scopi nettamente contrari: l'Arabia Saudita ha necessità di calmierare il prezzo del greggio per esercitare una strategia produttiva basata sul lungo periodo e tende quindi a ridurne la produzione di barili di petrolio, cosa che non fa l'Iran, che ha necessità di liquidi immediata per sostenere i suoi livelli produttivi intaccati dalla crisi mondiale. Questa nuova crisi tra i due paesi rappresenta un innalzamento di una temperatura già elevata, che rischia di sfociare in un pericoloso peggioramento che può avere ricadute, non solo per l'equilibrio regionale ma per gli assetti mondiali.
Anche la scelta saudita di schierarsi come più fedele alleato nella regione, degli USA, ha contribuito a scavare ulteriormente il solco tra i due paesi. Recentemente, con le ribellioni coincise con la primavera araba, Riyad ha accusato Ahmadinejad di avere fornito sostegno alla minoranza scita presente nella penisola araba, che ha causato diversi problemi con manifestazioni e scioperi. L'Iran ha manovrato i dimostranti, che peraltro manifestavano per giusti motivi, per cospirare contro il governo saudita, provando ad aprire un fronte interno, a suo favore, per destabilizzare il paese. La comune frontiera che corre tra i confini dei due stati adiacenti, favorisce i timori sauditi sul possibile sviluppo della bomba atomica iraniana, tanto da fare diventare l'Arabia Saudita uno dei principali fautori della politica statunitense contro la ricerche nucleari di Teheran. Tra i due paesi si profila anche la questione iraqena, su Bagdad, infatti, hanno entrambi delle mire per ampliare l'influenza sia politica che economica, l'Iraq è stato fino ad ora un paese a maggioranza scita ma governato da sunniti, questa rivalità rischia di trasformarsi in un pericoloso confronto proprio grazie alle mosse dietro le quinte che stanno facendo Riyad e Teheran. Anche sul lato economico i due paesi vanno in direzioni opposte con scopi nettamente contrari: l'Arabia Saudita ha necessità di calmierare il prezzo del greggio per esercitare una strategia produttiva basata sul lungo periodo e tende quindi a ridurne la produzione di barili di petrolio, cosa che non fa l'Iran, che ha necessità di liquidi immediata per sostenere i suoi livelli produttivi intaccati dalla crisi mondiale. Questa nuova crisi tra i due paesi rappresenta un innalzamento di una temperatura già elevata, che rischia di sfociare in un pericoloso peggioramento che può avere ricadute, non solo per l'equilibrio regionale ma per gli assetti mondiali.
Gli USA premono su Cina e Russia contro l'Iran
Gli strascichi della vicenda dei falliti attentati negli Stati Uniti, addebitati all'organizzazione dell'Iran, aprono una fase pericolosa. Anche se per ora la strategia statunitense è quella di inasprire le sanzioni e coinvolgere tutto il Consiglio di sicurezza nella condanna a Teheran, filtrano notizie di allerta per le forze USA. L'obiettivo primario è quello di coinvolgere, nelle sanzioni contro l'Iran, la Cina e la Russia, restie ad ingerirsi negli affari interni degli stati. Le due superpotenze hanno rifiutato di sanzionare Teheran per la questione nucleare, lasciando, di fatto, uno spazio di manovra, sul piano internazionale, all'Iran. Un coinvolgimento di Cina e Russia metterebbe la repubblica islamica in grossa difficoltà di fronte al mondo. Il peso specifico delle sanzioni condivise anche da Pechino e Mosca, salirebbe parecchio e ridurrebbe lo stato iraniano ad un pesante isolamento diplomatico. Il lavorio diplomatico americano sta spingendo in questa direzione, anche se è pressochè impossibile ottenere un voto unanime in sede di Consiglio di sicurezza dell'ONU, per la presenza del Libano, governato dal movimento Hezbollah, uno dei maggiori alleati di Teheran. Tuttavia la chiave per portare verso gli USA i due pesi massimi del Consiglio di sicurezza è l'importanza della mancata vittima dell'attentato, infatti l'Arabia Saudita è il più grande produttore di petrolio e potrebbe gettare sulla bilancia la sua forza determinante di fornitore di greggio, argomento a cui è particolarmente sensibile la Cina. Se l'Arabia riuscirà ad essere determinante in questo senso, potrebbe avere anche un ruolo essenziale per scongiurare una eventuale opzione militare, che sta montando in alcuni ambienti americani. L'amministrazione americana, infatti, pur non ritenendo praticabile in tempi immediati questa soluzione, non scarta a priori una ritorsione armata verso obiettivi iraniani. Ciò darebbe l'avvio ad una pericolosa escalation diplomatico militare che coinvolgerebbe l'intero pianeta andando verosimilmente a sconvolgere gli attuali equilibri. Soluzione che potrebbe essere scartata nel caso Washington trovasse soddisfazione sul piano diplomatico.
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