Politica Internazionale

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lunedì 7 marzo 2011

Per l'AIEA i casi di Iran e Siria

L'instabilità politica attuale determina grande importanza per la prossima riunione dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Sul tavolo i dossier relativi ad Iran e Siria, casi particolarmente spinosi se analizzati da soli, ma ancor più problematici alla luce dell'evoluzione dello scenario internazionale attuale. In circa otto anni non è stato ancora possibile stabilire se l'arricchimento dell'uranio di Teheran è per fini civili o militari, alcuni analisti ritengono ancora improbabile che l'Iran sia giunto al livello tecnologico che consenta di costruire l'ordigno atomico, tuttavia il mutato scenario internazionale impone una verifica che dia certezza al mondo intero. Le ripetute minacce allo stato di Israele, che hanno fatto più volte temere il peggio, costituiscono una ragione in più per accelerare la conoscenza della verità. L'AIEA, richiederà all'Iran una maggiore cooperazione per accertare la verità dello stato dell'arte. Se possibile ancora più difficile la situazione della Siria, che da anni rifiuta le ispezioni dell'agenzia, specie in quei siti che costituiscono ragione di sospetto. La particolare vicinanza con il Libano e con Israele, impone una certa cautela, ma anche qui una certa solerzia, anche per la richiesta anche dagli USA, che ha formalizzato tale domanda mediante le richiesta ufficiale proveninente da 25 deputati americani. Per la Siria si prospetta una richiesta ufficiale di ispezione speciale.

Israele e la necessità di uno stato palestinese

Israele prova ad accelerare il processo di pace con l'ANP per arrivare al più presto ad una soluzione. Nel contesto generale delle sollevazioni dei paesi arabi per Tel Aviv sono venute meno certezze storiche, che permettevano una diversa gestione del rapporto con i palestinesi. Mutati gli equilibri ed in assenza di quale direzioni prenderanno i nuovi governi, la necessità per Israele di definire al più presto la questione palestinese è diventata improcrastinabile. Netanyahu punta alla costruzione di uno stato palestinese, seppur inizialmente con frontiere mobili ancora da definire, che fissi un punto fermo sulla buona volontà israeliana. La nascita e la definizione di uno stato autonomo Palestinese è vista come strumento essenziale sul quale puntare, per limitare le possibili tensioni con i nuovi governi arabi, riconoscere lo stato palestinese significherà presentare lo stato della stella di David sotto una nuova luce per impostare le relazioni diplomatiche sotto un profilo nuovo o mantenere quelli favorevoli come in precedenza, vedi l'Egitto. Il principale ostacolo a questa politica è la posizione di Hamas, che non riconosce la politica israeliana e vede negli sviluppi delle rivoluzioni arabe un fattore a suo favore; ciò potrebbe determinare una tattica attendista da parte di Hamas che andrebbe a concretizzarsi con un temporeggiamento attuato tramite la sollevazione di eccezioni o richieste non esaudibili da Israele. E' una guerra diplomatica di posizione, dove però a differenza del passato, il tempo gioca a favore dei palestinesi. Israele deve mettere a segno almeno un risultato in tempi brevi, prima che sia circondato da governi potenzialmente ostili, da mettere sul tavolo di possibili futuri negoziati o problemi diversi ma insorgenti. Inoltre, la pressione USA, per una soluzione, almeno abbozzata si è fatta certamente più pesante. Israele non può ignorare le richieste USA, specialmente dopo la presa di posizione di Obama in suo favore, come recentemente accaduto. Per gli estremisti palestinesi, però la fretta di Tel Aviv può essere un alleato come non ha mai avuto e che potrebbe permettergli di strappare condizioni positive comemai successo prima.

Gheddafi, le strategie e gli sviluppi

La strategia di Gheddafi si articola su due fronti: quello interno e quello internazionale. Sul fronte interno continua la guerriglia contro i ribelli usando le truppe mercenarie e fiaccando il popolo con violenza inusitata. Il regime del terrore imposto ai civili, anche a chi non si ribellato, significa operare la tattica della terra bruciata contro gli oppositori, scoraggiando con ritorsioni pesanti e preventive chi può ancora passare con il nemico. Per ora non si segnalano usi di armi chimiche, che il regime aveva sicuramente prima del 2003 e che doveva smaltire entro quella data. Gli scarsi controlli effettuati dalle organizzazioni internazionali preposte non permettono di affermare che lo smaltimento totale sia stato effettuato, tuttavia per ora il livello dello scontro si è mantenuto con l'impiego di armi convenzionali. Se Gheddafi non ha ancora impiegato armamenti chimici può volere dire due cose: o che lo smaltimento è stato effettuato oppure che le sorti del conflitto non sono poi così negative al dittatore, che se intende procedere con l'impiego delle armi convenzionali, intravede possibilità di successo. Sul piano internazionale Gheddafi alterna minacce all'Europa, che paiono però verosimili (immigrazione di massa, Al Qaeda), con rivendicazioni di non ingerenza (sopratutto verso Francia e Regno Unito) non riconoscendo però la natura non democratica del suo regime. Frattanto una nave militare italiana ha attraccato a Bengasi per portare aiuti umanitari nella capitale dei ribelli, che richiedono con forza l'aiuto internazionale anche in forma militare. I prossimi giorni potrebbero vedere combattimenti sanguinosi per l'obiettivo della Sirte, il golfo dove arrivano gli oleodotti, obiettivo strategico sia per Gheddafi che per i ribelli, la chiave energetica che può dare la svolta alla guerra.

domenica 6 marzo 2011

Libia: la divisione tribale ed il pericolo Somalia

Con il passare dei giorni e delle ore il conflitto libico registra sempre di più un equilibrio allarmante. Il rischio concreto è di avere un situazione del tipo di quella somala a poche ore dal cuore dell'Europa. La condizione del paese somalo è un drammatico susseguirsi di instabilità e di violenze, un mix tra nazionalismo ed estremismo religioso, lontano dalla risoluzione. Con la Libia condivide l'antico colonialismo italiano, ma sopratutto l'assenza di una articolazione sociale che faccia da cuscinetto tra le avverse fazioni. La Libia è uno stato artificiale, composto da tre grandi territori: Tripolitania, Cirenaica e zona desertica, che prima del 1951 non stavano assieme, l'identità nazionale è artefatta, costruita sul collante del petrolio e sul culto di Gheddafi, peraltro imposto con la violenza. La divisione tribale è l'unica struttura presente sul territorio, non esistono sindacati, partiti politici clandestini o in esilio. La divisione tribale è a compartimenti stagni, non vi è scambio culturale tra i diversi clan, che hanno maggiore affinità con i popoli delle rispettive nazioni di confine: Egitto, Tunisia ed Algeria. Insomma un quadro particolarmente diviso in un paese molto ricco, già per gli standard africani, ed ancora di più potenzialmente, in un supposto quadro che preveda una maggiore e più equa suddivisione del reddito. In questo panorama l'anomalia è il tessuto urbano dove si è incubato ed è scoppiato il seme della rivolta, che a seguire si è esteso alla società tribale. Non che i clan vivano al di fuori dei centri urbani, anzi spesso sono i protagonisti della vita sociale perchè detengono posti chiave dell'amministrazione di Gheddafi, che non è un monolite, ma perchè, pur, a volte, non condividendo la politica del rais, mantenevano le loro nicchie conservando il potere che gestivano. La scintilla della rivolta ha provocato, tra l'altro, la consapevolezza tra la società tribale di muoversi allo scoperto contro o a favore di Gheddafi. Rotto il fragile equilibrio lo scenario futuro si può prefigurare come una continua guerra per il predominio del paese da parte di un gruppo o di un'alleanza di gruppi tribali sugli altri, oppure si può immaginare una divisione pacifica del territorio libico sulla base delle diverse zone occupate dalle diverse tribù, secondo la consuetudine della stanzialità. In questo caso sarebbe la fine della Libia come nazione, come è stato fino ad ora. Se la seconda eventualità potrebbe avere effetti meno cruenti, anche se la presenza dell'oro nero costituirà un dosso difficilmente negoziabile, la prima ipotesi prevede scenari inquietanti. Uno stato in guerra incastonato tra regimi in caduta libera, sulla costa mediterranea e con ingenti riserve energetiche, presenta un ordigno difficilmente disinnescabile, le conseguenze economiche e sociali sarebbero particamente ingestibili da paesi oltretutto in crisi economica. A monte di tutto il fattore Gheddafi, il primo da togliere dalla scacchiera per avere una possibilità di soluzione il più veloce possibile.

sabato 5 marzo 2011

L'Assemblea del popolo cinese richiede maggiore stabilità

La riunione dell'Assemblea del popolo cinese sta fornendo indicazioni sulla direzione verso la quale intende muoversi il colosso di Pechino. Sono indicazioni sostanziali che registrano un malessere diffuso nella popolazione e che sono i veri temi su cui si misurerà la Cina nel futuro prossimo. Il nemico cinese è al suo interno ed è lo sviluppo economico spinto oltre ogni limite con le sue storture che si vengono a creare in maniera naturale. L'ammissione in sede ufficiale che le profonde diseguaglianze giunte alla corruzione elevata creano un malessere sociale diffuso è un fatto nuovo ed importante per la compassata burocrazia di partito, la presa d'atto che queste sono di ostacolo ad un fluire più normale della vita dei cittadini e quindi dello stato, pone domande concrete sulla loro risoluzione. L'obiettivo principale dichiarato è la maggiore stabilità, senza la quale l'impalcatura stessa del sistema statale attuale rischia di incrinarsi. E' chiaro, che alla fine il risultato da raggiungere è la conservazione dell'attuale forma di stato, dove devono convivere le regole del comunismo politico con le regole economiche del capitalismo, senza allargare le maglie del controllo politico istituzionale a favore della obiezione. La leva maggiore dei movimenti per la democrazia in Cina è proprio la sottolineatura costante della diseguaglianza e della corruzione dilagante, sono i punti forti che permettono di incrementare e canalizzare lo scontento di masse enormi, proprio perchè sono ragioni talmente evidenti e preticamente impossibili da smentire. I governanti cinesi si sono resi conto della ragione degli oppositori e per questo intendono far mancare loro il terreno di coltura. Alla fine, seppure con obiettivi diversi sia lo stato, che l'opposizione fuorilegge, convergono sulle ragioni delle storture del sistema. Il problema è il metodo per combetterle: l'Assemblea del popolo farà discendere dall'alto la legislazione ed i metodi senza un'efficace azione di controllo e di contrappeso come richiesto dai movimenti per i diritti civili. Sia come sia il problema è diventato talmente esteso e pericoloso che la presa d'atto ufficiale è un segnale forte, peccato che le masse saranno anestetizzate con ancora maggiore consumismo.

venerdì 4 marzo 2011

La Cina modernizza le sue forze armate

La Cina intende ammodernare il suo esercito al ritmo della sua crescita economica, la necessità di competere al livello degli Stati Uniti è data da una serie di ragioni geopolitiche che indirizzano la scelta cinese ad innalzare il livello qualitativo dell'esercito più grande del mondo. Sono infatti 2, 3 milioni i componenti delle forze armate della Repubblica Popolare, quindi la quantità non è un problema per i reclutatori di Pechino. Fino ad ora le forze armate cinesi hanno avuto una natura difensiva, anche in ossequio all'indirizzo della politica internazionale di Pechino fondato sulla teoria del non intervento. Una delle principale ragioni della possibile inversione di rotta è l'attivismo degli USA nella regione del Pacifico che comprende i Mari del Giappone e della Cina Orientale e gli stati di Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Pechino non gradisce la presenza costante della flotta americana in quelle acque e mira a contrapporre una flotta ugualmente equipaggiata, in casi di bisogno. Inoltre per interpretare il ruolo di grande potenza dovrà adeguare la teoria del non intervento in una politica internazionale più attiva, che comprenda un ruolo importante nelle missioni umanitarie e nelle operazioni militari di pace. Per recitare un ruolo importante nel teatro diplomatico che conta, la Cina deve modificare il suo ruolo di potenza economica che non collima con quello di comprimario internazionale. L'ammodernamento militare è il primo passo per andare in quella direzione.

La Corea del Nord e la paura dei palloncini

La Corea del Sud sta praticando una guerra psicologica con il Nord, che risulta avere tanto infastidito da minacciare rappresaglie militari e surriscaldando di nuovo le relazioni tra i due paesi. Sull'onda delle rivolte dei paesi arabi e nella speranza che un qualcosa di analogo si verifichi anche nella parte Nore della Corea, Seul ha iniziato a bombardare i vicini con palloncini che portano messaggi contenenti esortazioni alla ribellione al regime di Pyonyang. La condizione della vita dei nordcoreani versa in una situazione preoccupante per la mancanza di generi alimentari e la per la carenza di energia, è una popolazione fiaccata da anni di povertà sia materiale che ideologica, dove appare difficile la possibilità che si possa sviluppare un movimento di opposizione al regime. Il clima creato negli anni dai governanti è quello di un perenne stato di assedio del paese, dove alla popolazione viene fatto credere di trovarsi accerchiata da nemici, che vogliono scalzare l'ordine costituito, che è anche il migliore possibile. I mezzi di comunicazione sono in mano all'élite del paese, qui non è come nei paesi arabi, facebook e twitter non sono strumenti diffusi ed i palloncini, od i messaggi in bottiglia, sono ancora l'unica forma di comunicazione possibile, ancorchè in una sola direzione. Tuttavia il regime nordcoreano, in questo comune a tutte le dittature del mondo, teme l'effetto nordafrica. Il grado di isolamento è talmente elevato da temere anche dei bigliettini attaccati a pezzi di plastica gonfiati. Ma il grado di paura della popolazione è tale da escludere forme di ribellione per la paura delle severe punizioni. Soltanto un intervento esterno può migliorare la vita dei nordcoreani.