Politica Internazionale

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lunedì 4 aprile 2011

La Cina prossimo scenario delle rivolte?

La Cina guarda sempre più con apprensione all'allargamento a macchia d'olio delle rivolte nel mondo arabo. Quello che temono i governanti cinesi, in un futuro molto prossimo, è di non riuscire più a contenere i fermenti che percorrono sempre di più la società civile, fino ad esserne travolti. Se si fosse guardato alla situazione cinese al suo interno prima delle rivolte arabe, la considerazione sarebbe stata che l'eventualità di una ondata di manifestazioni popolari sarebbe stata più verificabile in Cina, che nei paesi arabi. Questo per lo sviluppo sia culturale che tecnologico e per il livello di diffusione delle ricchezza molto più esteso in Cina, che avrebbe dovuto favorire una maggiore coscienza civile, requisito essenziale per esprimere pubblicamente il proprio scontento. Ciò non è successo e per il momento non pare succedere, per una combinazione di fattori, che sono riusciti a tenere al riparo Pechino da manifestazioni avverse. Essenzialmente sono due, a grandi linee, i fattori che hanno determinato questo blocco: la particolare cura delle istituzioni cinesi al controllo delle opposizoni e lo sviluppo economico, che anzichè determinare lo sviluppo dei valori necessari a manifestare, è stato indirizzato a valori consumistici tali da anestetizzare la grande massa dei cinesi. Certamente non basta questa pratica, che peraltro dovrebbe essere contraria ai principi comunisti, per bloccare anche le teste pensanti presenti all'interno della vasta nazione cinese. Le istituzioni temono talmente tanto la possibilità di una rivolta che hanno investito nel budget della sicurezza interna, una somma tale da eguagliare il budget della difesa. Non solo, è in atto una repressione così feroce ed intensa come non se ne vedevano da oltre dieci anni tesa a soffocare ogni voce contraria al regime, il quale, peraltro, sembra retrocedere su posizioni sempre più conservatrici, che non danno alcuna speranza ad aperture in senso democratico. Tutti questi segnali sono sintomi di grave disagio dell'apparato, di fronte ad un possibile sommovimento della società civile cinese, quello che appare è che l'unica previsione con cui il governo cinese si prepara ad affrontare una eventuale rivolta non è quello del dialogo o meglio delle riforme, ma quello della repressione violenta. Diversi analisti ritengono che la Cina sarà comunque, nonostante tutti i tentativi per scoraggiale, la prossima protagonista delle rivolte popolari; in questo caso le conseguenze sulla politica e sull'economia mondiale saranno enormi. Si pensi al consesso mondiale che condanna la repressione e poi cerca di fare affari con la Cina e si pensi al sistema produttivo, su cui si basa l'economia mondiale, menomato o addirittura paralizzato da rivolte e scioperi. L'ottusità della classe dirigente cinese rischia di creare una serie di disastri che riguarderanno tutto il mondo. La diplomazia mondiale ha potuto vedere cosa potrebbe succedere in piccolo con le rivolte arabe, la storia, meglio la cronaca, dovrebbe fare elaborare ai protagonisti internazionali un piano per fare pressione sugli affari interni della Cina prima che sia troppo tardi.

La Turchia prova a fermare il conflitto libico

La Turchia, unico paese islamico all'interno della NATO, prova una mediazione nel conflitto libico, con l'intento di raggiungere un cessate il fuoco. I colloqui con l'emissario di Gheddafi, il vice ministro degli esteri Obeidi, dovrebbero avvenire a breve, dopo che lo stesso ha già avuto colloqui con il governo greco. Il messaggio del rais di Tripoli è quello di arrivare ad una interruzione delle ostilità militari, dato che il quadro attuale segnala un'impasse difficile da superare. Dal punto di vista bellico si è ad un punto di stallo, i ribelli pur contando sulla forza aerea della NATO, non riescono ad avere ragione dell'artiglieria pesante di Gheddafi, che a sua volta, non riesce a fare passi avanti proprio perchè schiacciato dagli aerei dei volenterosi. Il conflitto, senza una soluzione diplomatica, resta di rimanere fermo nelle secche dell'equilibrio militare. La Turchia si pone come interlocutore affidabile perchè non ha dato il suo appoggio all'uso della forza aerea, limitandosi al blocco navale. Ankara è particolarmente al corrente della trattativa avendo già ricevuto un esponente del Consiglio Nazionale, in sostanza i ribelli. La necessità di Gheddafi di arrivare ad una soluzione è dovuta in gran parte all'isolamento internazionale, dopo che, anche l'Italia, che era il maggiore alleato di Tripoli, ha riconosciuto il Consiglio dei ribelli, come unico interlocutore della nazione libica. A margine di questi sviluppi diplomatici, il dato da sottolineare è la sempre maggiore attività della Turchia in campo internazionale, dopo la dichiarazione di disponibilità alla Siria per aiutarla nel processo di democratizzazione, i vari contatti avviati sia in campo politico che economico nella regione ora prova con il compito più difficile: quello di portare alla fine il conflitto militare libico. L'azione turca, se coronata da successo darà una grande rilevanza in campo internazionale ad Ankara, che potrà essere portata in dote ad una UE che finora l'ha rifutata; se la Turchia conseguisse un tale successo sarà problematico dirle ancora di no.

In Brasile basi logistiche di terroristi islamici

In una recente inchiesta del più diffuso settimanale brasiliano, "Veja", è emerso come il paese verde-oro sia diventato una base per diversi gruppi terroristici di matrice islamica, fra cui Al Qaeda, Hamas ed Hezbolla. Ciò che favorisce questo fenomeno è il fatto che la legislazione penale brasiliana non prevede il crimine di terrorismo. Il territorio più frequentato da questi terroristi è la cosidetta zona delle tre frontiere, che comprende appunto le linee di confine tra Brasile, Argentina e Paraguay, dove i terroristi vivono confusi con la gente comune. L'exploit dell'economia brasiliana ha richiamato sul suo territorio una gran massa di immigrati in cerca di un lavoro, gran parte di questi lavoratori sono arabi; ciò permette ai terroristi di infiltrarsi agevolmente tra di loro e vivere facilmente nascosti. Il Brasile, in se stesso, per il momento, non pare oggetto di azioni terroristiche, ma esclusivamente una base da dove amministrare le organizzazioni di appartenenza. Significativa, in quest'ottica, la cattura del coordinatore della propaganda di Al Qaeda. L'immenso stato brasiliano pare anche un'ottima base per gestire fondi, confondendoli con le ricche rimesse prodotte dai lavoratori arabi. La globalizzazione e la repressione militare, nei luoghi di origine, ha, dunque spinto, le organizzazioni terroristiche a cercare alternative almeno per le funzioni di retroguardia, andando a sfruttare, dove ci sono, quei buchi dell'ordinamento delle legislazioni di quegli stati che consentano una facile stanzialità sul territorio. Il pericolo per uno stato dove c'è una organizzazione terroristica in sonno è latente, perchè può sempre operare un salto operativo, creando un nuovo fronte all'interno del paese ospitante. Il Brasile ha una collaborazione continua con la CIA, che ha recentemente consentito la cattura di numerosi terroristi. L'evolversi della situazione internazionale pone il Brasile di fronte a scelte non facili da operare all'interno del proprio ordinamento, per dotarsi di strumenti adeguati per combattere il fenomeno.

domenica 3 aprile 2011

Il protagonismo di Sarkozy

Sarkozy cerca disperatamente la ribalta internazionale; vuole imporsi come protagonista dell'agone diplomatico e ricerca continuamente visibilità. La sua strategia gli impone un superlavoro diplomatico che lo porta a viaggiare incessantemente e senza sosta. Giappone, Costa d'Avorio, Cina: il presidente francese pare avere il dono dell'ubiquità e mentre incontra Cameron o la Merkel pianifica l'intervento in Libia. Cosa c'è dietro a questo tour de force, perchè Sarkozy si affanna in questa maniera per assicurarsi il centro della scena? Forse il problema va ricercato nella non buona situazione di casa, dove il suo partito arranca e dove i sondaggi non gli garantiscono la rielezione nelle prossime presidenziali. Il piano di Sarkozy è quello di risvegliare il sentimento della grandeur francese, riportare al centro della scena internazionale la Francia, come protagonista assoluta nella politica estera mondiale, farne, cioè, un nuovo soggetto mondiale capace di trovare una propria influenza in grado di dirigere e risolvere le problematiche mondiali, una sorta di nuova superpotenza al di fuori dagli schemi vigenti. Il piano è funzionale alle aspirazioni della persona, che non riscuote il gradimento desiderato; la Francia, alle prese con la crisi economica mondiale ed i problemi interni legati all'immigrazione proveniente dalle ex colonie, pare alle prese con problemi non facilmente risolvibili, tanto è vero che lo sbando della società civile porta i favori del pronostico delle presidenziali alla figlia di Le Pen, condannando la repubblica transalpina al populismo di stampo neofascista. In questo quadro Sarkozy, non trovando soluzioni ai problemi interni punta tutto sulle problematiche internazionali, non raccogliendo, in verità, poi grandi successi. Lo scippo del comando militare della guerra libica da parte della NATO, la dice lunga sulla capacità del presidente francese di imporsi sulla scena internzaionale. Col tempo si vedrà se la strategia di Sarkozy sarà vincente, al contrario della partenza, le occasioni non potranno senz'altro mancare.

sabato 2 aprile 2011

Le migrazioni mettono a nudo l'occidente

La Francia dice che l'Italia è giustificata a rimandare indietro i migranti in Tunisia. Questa affermazione la dice lunga sulle intenzioni e sulle possibilità dei due stati di fronte all'ondata migratoria che sta investendo la sponda nord del Mediterraneo. Quella che emerge è l'incapacità generale di gestire un fenomeno, che pur già presente in maniera consistente, ha assunto proporzioni tali da non essere più controllato. L'assunto contiene la resa totale del mondo occidentale di fronte ai problemi del cosidetto terzo mondo. Non avere a disposizione strumenti ed alternative valide per gestire il problema, denuncia una miopia di fondo che deve rimettere in discussione il ruolo dell'occidente sul panorama mondiale. Sembra di assistere al fallimento della globalizzazione o meglio della globalizzazione a senso unico. E' bastata la caduta di un dittatore per inceppare tutto il meccanismo fondato su di un castello di carta. Nessuno stato o organismo sovranazionale ha saputo mettere a punto una alternativa che andasse a sostituire un piano fondato su di un solo elemento. A parte la questione solidaristica, che va ad intercettare i sentimenti di sole porzioni della società, il problema deve essere affrontato con un'ottica rinnovata alla luce degli sconvolgimenti dei paesi arabi; quella che si è creata è una situazione da cui non si torna indietro. Non paiono efficaci azione sporadiche dove si effettuano pagamenti tampone per turare falle più grosse del buco. Il momento impone una strategia di ampio respiro con investimenti strutturati e strutturali che consentano la stanzialità dei migranti nel loro paese di origine, non è solo un problema economico, che è comunque rilevante, ma anche un problema politico, che richiede aiuti consistenti sul piano organizzativo dei nascenti sistemi politici, finalmente affrancati dalle dittature. Tuttavia in questa fase di transizione è necessaria una collaborazione comune non sul piano negativo del problema, ma su quello positivo, orientato cioè alla risoluzione del problema, anzichè all'atteggiamento esclusivamente passivo. Uscire dal cortile di casa ed unirsi per la risoluzione del problema appare l'unica strada praticabile.

Problema curdo per la Siria

Il problema curdo si manifesta all'interno della crisi siriana.
Il malessere dei cittadini di etnia curda presenti nello stato di Damasco si acuisce in questa fase della crisi, fino ad arrivare alla richiesta di indipendenza. Assad, nel quadro della legge di riforma, che dovrà andare a sostituire la legge speciale in corso dal 1962, non ha tenuto conto delle istanze della minoranza curda. L'integrazione dei curdi, che seguono il culto musulmano sunnita, nella società siriana è di fatto già avvenuto dal lato economico, ma non politico, manca infatti alla minoranza etnica il requisito della nazionalità siriana; per questo motivo le richieste curde vertono sul riconoscimento dei loro diritti in quanto cittadini del paese in cui vivono e non vertono, invece, su richieste di maggiore indipendenza o federalismo per i loro territori. Si tratta di una minoranza fondamentalmente pacifica, che, però, nel caso non si vedesse riconosciute, in questo momento, le proprie richieste, potrebbe subire l'influenza della parte curda che sta oltre la frontiera siriana. Le rivendicazioni curde sulla creazione di una propria nazione sono da tempo sul tavolo delle questioni internazionali e, di fatto, non vengono mai affrontate per il rifiuto delle nazioni che ospitano le minoranze turche; in questo momento di sommovimenti nel mondo arabo l'apertura di un ulteriore fronte nel panorama internazionale costituirebbe un danno ai già difficili equilibri non solo della regione ma mondiali. La questione riguarda, quindi da vicino la Siria, perchè il rischio di frammentazione dello stato è presente e si va ad aggiungere alle altre problematiche del paese. La posizione chiave del paese nella regione mette sotto i riflettori internazionali la situazione che si sta evolvendo, mentre lo status quo ante sta comunciando a sgretolarsi.

Schengen è insufficiente per gestire il transito dei migranti

Bruxelles condanna Parigi per i controlli alla frontiera italiana in aperta violazione al trattato di Schengen. La querelle tra la Francia e l'Italia sugli immigrati, specialmente tunisini, che transitano dalla penisola per dirigersi nel paese transalpino, va inquadrata nell'irrigidimento dei rapporti tra i due paesi iniziato con la questione dell'intervento in Libia. Roma vive con fastidio la scelta interventista francese e sospetta che dietro la fretta della discesa in campo ci siano ragioni legate alle ricche commesse che la Libia ha stipulato con aziende italiane. Il raffreddamento dei rapporti tra i due paesi ha determinato una questione sugli immigrati: Parigi accusa Roma di praticare la politica "delle maglie larghe", che si concretizza, la Francia accusa, con una sorveglianza allentata dei migranti, che scappano dai centri per dirigersi verso la frontiera francese. L'Italia ha ribattuto che è illegale la chiusura delle frontiere. Tuttavia esiste un accordo bilaterale tra i due paesi che permetterebbe di rimandare indietro i migranti nello stato (Italia o Francia) di provenienza. Parigi per ovviare alla violazione di Schengen afferma di effettuare soltanto controlli sporadici nel raggio di 20 km dal confine con L'italia esercitando il proprio diritto di controllo sul proprio territorio. A parte il fatto che si sta toccando uno dei punti più bassi circa le relazioni diplomatiche tra i due paesi, che tra l'altro hanno due governi di medesimo orientamento politico, ancora una volta l'Europa agisce con logica pilatesca, ribadendo l'efficacia della legge in vigore, che, evidentemente non basta a regolare casi particolari, come quello di questi giorni. In effetti Schengen pare regolare la situazione in regime di normalità, ma non prevede casi particolari con rilevanza di urgenza. Quello che fa la Francia, anche se contro il dispositivo vigente, è comprensibile, perchè nella singola fattispecie è costretta a farsi carico di un problema di un'altro paese. L'assenza dell'Europa alla fine sta dietro il problema, la mancanza di un intervento deciso che risolva il problema, giunta al vuoto normativo, determina una situazione di incertezza che lascia ai singoli stati la gestione del problema: ma non sempre la soluzione è concordata.