Politica Internazionale

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venerdì 31 dicembre 2010

L'Ungheria al comando della UE

Da domani, primo gennaio 2011, l'Ungheria assumerà la presidenza della UE, è una data importante perchè il paese che prenderà il comando della tanto faticosamente costruita organizzazione che riunisce i paesi del vecchio continente, organismo sorto su basi e fondamenta di democrazia e rispetto, è affetto da una deriva autoritaria conclamata con la legge che prevede la restrizione del diritto di stampa e quindi di parola, presupposto minimo per ogni democrazia. Non saranno sei mesi facili per l'Europa, l'Ungheria non è disposta a cedere sulla legge sulla stampa, ma, altresì, già la Germania ed il Lussemburgo non hanno escluso ricorso a sanzioni (come già successo per l'Austria di Heider) e probabilmente altre nazioni si accoderanno. La prima riflessione è che si rischia perlomeno un rallentamento nell'attività dell'unione, in un momento che, al contrario, richiede decisioni veloci ed efficaci per fronteggiare i movimenti economici e di politica estera che susseguono a ritmi non proprio da burocrazia ingessata. Ma la seconda riflessione è ben più pesante della prima prchè abbraccia l'essenza stessa dell'unione europea: è stato un bene un allargamento così indiscriminato, come quello che ha coinvolto i paesi provenienti dal patto di Varsavia, senza un processo graduale che fosse capace di prevenire scongiurare elementi pericolosi per la democrazia come la legge ungherese? L'Unione Europea ha senz'altro anticorpi dentro le sue istituzioni capaci di debellare problemi del genere presso le democrazie più evolute, si pensi ai primi 15-18 membri, ma non pare avere i mezzi per fronteggiare casi come quello ungherese in maniera veloce e risolutiva, il rischio è di paralizzare un'attività che deve essere sempre più univoca per dare risposte che per essere efficaci devono essere ultraveloci. Nell'entusiasmo seguito a quella che si credeva un'europeizzazione facile, perchè basata essenzialmente sull'aspetto territoriale, non si è dato peso a società non ancora mature politicamente ne economicamente, i cui loro stessi governanti hanno privilegiato l'aspetto economico più che quello sociale e culturale. Nella realtà, purtroppo, l'europa di serie A e di serie B, non è solo un fatto economico, ma anche politico, ed il fatto grave è che se sul primo aspetto si sprecano le analisi, sul secondo ci sono voluti casi gravi su aspetti ormai dati per scontati per averne un risalto. L'Europa ha bisogno di sempre maggiore unità, ma non sulla carta, nella realtà operativa con organismi sempre più in grado di dare un respiro sovranazionale al loro raggio di azione, casi gravi come quello di Budapest anzichè unire, disgregano e devono essere previsti per essere debellati, anche mediante il ricorso a soluzioni estreme come l'espulsione dal consesso europeo.

martedì 28 dicembre 2010

Gli USA allertano le ambasciate

Gli Stati Uniti dimostrano di prendere sul serio la minaccia bombe alle ambasciate italiane dopo i recenti casi occorsi alle rappresentanze diplomatiche di Cile e Svizzera. Intensificata la vigilanza e messe in campo nuove procedure per evitare possibili attentati anche dopo i falsi allarmi registrati per le sedi delle ambasciate presso la Santa Sede di Albania e Finlandia. La pista principalmente indicata dagli inquirenti italiani riguarda il movimento anarco-insurrezionalista ed andrebbe inquadrata nel non facile momento legato all'approvazione della legge di riforma del sistema universitario, anche in funzione dei numerosi cortei che hanno percorso le maggiori città italiane. Tuttavia con l'approvazione della legge ed anche in concomitanza delle festività di fine anno l'ipotesi non sembra reggere per l'allentamento delle manifestazioni da parte dei gruppi studenteschi, che di fatto, non hanno raggiunto il loro proposito. In Italia, spesso la pista anarchica storicamente è andata bene per tutte le stagioni, salvo poi scoprire l'innocenza degli indagati. E' vero che non siamo in presenza di attentati particolarmente gravi, come quelli che hanno segnato tristemente la storia italiana dove l'anarchismo ha costituito il capro espiatorio di ben altri colpevoli; qui siamo in presenza, in definitiva di atti poco più gravi  della pura dimostrazione contro obiettivi ben definiti, come la Svizzera, colpita per ritorsione a causa dell'estradizione di un componente del movimento anarchico. In quest'ottica la tesi del governo italiano potrebbe anche essere azzeccata, ma la domanda è perchè le bombe sono state inviate in questo momento? E perchè  insistere con questa strategia mantenendo sulla corda le legazioni diplomatiche anche con falsi allarmi? Lo scacchiere degli obiettivi colpiti o soltanto minacciati non sembra essere unito da un legame, ed il momento non è che un episodio tra i tanti di difficoltà vissuto dal paese italiano e sullo sfondo le grandi crisi mondiali appaiono molto lontane, ma lo stato di emergenza applicato dagli USA pone altre domande: è solo routine o si pensa che dietro questi attentati vi sia qualcosa di più taciuto o sconosciuto dalle autorità italiane? La galassia dei destabilizzatori è talmente vasta di possibilità che ogni ipotesi è aperta, ma il fatto è che lo stato di allerta non riguarda la sola sede di Roma, ma tutte le rappresentanze USA presenti nel pianeta; se Washington pensa di essere sotto attacco probabilmente pensa anche di esserlo per qualcosa di definito. In questo momento i punti caldi sono la Corea, l'Iran, la Palestina, i rapporti con la Cina, qualcuno di questi motivi può essere legato allo stato di allerta?

lunedì 27 dicembre 2010

Angola: situazione sempre piu' difficile

La situazione in Angola sta precipitando, l'impasse del dopo elezioni non si sblocca quindi Laurent Gbagbo cerca di aprire un fronte esterno, accusando USA e Francia di essere dietro all'opposizione risultata vincente dalla tornata elettorale. La prima mossa e' stata della CEDEAO, l'organizzazione economica dei paesi dell'Africa dell'ovest, che ha minacciato il ricorso alla forza militare per ristabilire la pace nel paese. Questo ipotetico intervento e' diretto contro lo sconfitto delle elezioni, che rifiuta il verdetto del voto denunciando brogli, per Gbagbo dietro a questa minaccia vi e' l'azione concordata di USA e Francia per favorire il suo avversario. La Francia, dal canto suo, e' presente con 900 uomini sul territorio ivoriano, mentre sono 15.000 i cittadini francesi ivi residenti. Il ministro della difesa francese Juppe' ha sottolineato che l'uso della forza spetta alla decisione delle Nazioni Unite, ma che i cittadini francesi presenti sul suolo della nazione africana saranno difesi militarmente in caso di bisogno.

giovedì 23 dicembre 2010

La minaccia atomica in Corea

La tensione tra le due Coree è tutt'altro che superata, siamo in presenza di una continua gara a superarsi nelle provocazioni. Nei giorni scorsi la Corea del Nord aveva espresso una dichiarazione distaccata ma che sembrava chiudere la diatriba; la Corea del Sud non ha desistito dalle manovre ma, anzi ha intensificato l'attività militare con l'uso di missili anticarro, proprio sul confine conteso. A Pyongyang questi ultimi sviluppi sono stati vissuti come una ulteriore provocazione e ne è scaturita la dichiarazione più pericolosa dall'inizio della vicenda: la Corea del Sud, ha minacciato ufficialmente l'uso dell'arma nucleare come strumento di dissuasione a possibili nuove esercitazioni. Sia gli USA che la Corea del Sud, ufficialmente non hanno dato grande peso alla possibilità di ritorsione nucleare, giustificando le esercitazioni militari come normale routine compiuta da uno stato sovrano nell'ambito dei propri confini. Tuttavia c'è da credere che la minaccia nucleare non sia affatto sottovalutata a nessuna latitudine del pianeta, mai come ora dalla fine della guerra fredda, ma senza le garanzie di allora, siamo stati così vicini ad uno scoppio di guerra non convenzionale che contempli l'uso dell'arma atomica.  Sottovalutare la minaccia non è salutare, Pyonyang è governata da un sistema fuori da ogni logica, forse solo la Cina può esercitare la sua influenza ma nel frattempo sarebbe bene che le parti avverse mantenessero un profilo il più basso possibile. L'ONU deve ora giocare un ruolo fondamentale crecando al più presto soluzione che permetta un'uscita onorevole per tutti gli attori, intavolare delle trattative che definiscano in modo definitivo la questione dei confini deve essere la prima priorità da percorrere come anticamera al problema nucleare.

mercoledì 22 dicembre 2010

Francia e Germania bloccano Schengen per Bulgaria e Romania

La Francia e la Germania hanno deciso di bloccare lo spazio di Schengen per Bulgaria e Romania e ne hanno informato la Commissione Europea. La decisione mette il dito nella piaga sul problema dei cittadini comunitari appartenenti alle nazioni di Bucarest e Sofia ed il rispettivo comportamento. Berlino e Parigi motivano la loro decisione imputando ai due paesi gli scarsi risultati nella lotta al crimine organizzato ed alla lotta alla corruzione e sul piano legislativo comunitario affermano che è necessaria l'unanimità per ratificare l'allargamento del trattato di libera circolazione. Le ragioni politiche di questa mossa stanno nel difficile momento e rapporto che i partiti al governo hanno con il loro elettorato e cercano di guadagnare consensi con una mossa ad effetto che non incida su bilanci già gravati dalla crisi. Tuttavia è innegabile che il problema in senso concreto esista ed anzi sia Bulgaria che Romania abbiano approfittato della situazione incamerando contributi destinati al problema che sono stati stornati su altri capitoli di bilancio. Ma la questione investe anche i rapporti tra i membri dell'Unione Europea confermando, di fatto, che esiste un'europa a due velocità e che l'edificio comunitario faticosamente costruito non possiede poi basi tanto solide. Il problema economico sta dietro la questione, l'investimento di risorse per combattere la criminalità richiede sempre maggiori investimenti, bloccare la libera circolazione permette di abbattere una quota considerevole del budget previsto senza troppi dolori sul fronte interno ed anche sul fronte europeo si possono tacitare le contestazioni da posizioni di forza. Funzionari dell'Unione Europea hanno comunque visitato sia Bulgaria che Romania per stilare un rapporto sui progressi dei rispettivi stati sulle materie del contendere e sulla base di questo rapporto la Commissione Europea  emetterà presumibilmente una disposizione che in ogni caso sarà fonte di contrasti.

L'impasse della Costa d'Avorio

Nella Costa d'Avorio situazione difficile, continua l'impasse politica provocata dal capo di stato uscente, Gbabo, perdente alle elezioni. Sconfitto dal rivale Ouattara forte della vittoria elettorale e dell'appoggio della comunità internazionale, Gbabo, è già stato protagonista della guerra civile che sconvolto il paese tra il 2002 ed il 2004, quando fu accusato di regime dittatoriale dall'allora avversario Soro. La strategia di Gbabo per il mantenimento del potere  è il temporeggiamento attraverso la richiesta dell'istituzione di una commissione di valutazione della crisi post elettorale comprendente le Nazioni Unite e dell'Unione Africana, peraltro organismi che riconoscono la vittoria di Outtara. Lo scenario induce preoccupazione nei vertici ONU, Ban Ki-moon ha espresso il timore che i caschi blu presenti nel paese vengano coinvolti in una situazione critica per la possibilità  di scontri tra le opposte fazioni.  

martedì 21 dicembre 2010

Per Europa e Cina accordi sui temi economici

La Cina si adopererà per mantenere in buona salute uno dei suoi migliori clienti: l'Unione Europea. In occasione dell'apertura dei colloqui bilaterali sinoeuropei attraverso la dichiarazione ufficiale del vicepremier cinese ha affermato di appoggiare le azioni intraprese da UE e FMI per fronteggiare il debito di alcuni paesi particolarmente in difficoltà, mentre il ministro del commercio estero di Pechino ha dichiarato di prestare grande attenzione al fatto che la crisi del debito europeo sia costantemente sotto controllo. Le preoccupazioni cinesi sono legittime e duplici, la Cina ha come clienti pregiati i paesi europei, che però sono anche investitori e portatori di know-how essenziale per la crescita costante e per l'innalzamento della qualità dei prodotti locali, ma è anche creditrice in quanto detentrice di titoli emessi da tutti i paesi UE. Una situazione di difficoltà più o meno grave dei paesi europei fa subito scattare il segnale di allarme per l'economia cinese, quindi le istituzioni devono subito attivarsi per bloccare o almeno sedare le crisi sopraggiunte. Già in passato la Cina è intervenuta direttamente per sostenere l'euro, il caso greco è solo quello più eclatante, ma in questa occasione si assiste ad una vera e propria dichiarazione di intenti, non certo disinteressata. Nel vertice bilaterale gli accordi raggiunti prevedono una collaborazioneper una crescita sostenibile ma sopratutto per un approccio non protezionistico ai commerci internazionali , eventualità molto temuta dalla Cina e più volte minacciata dagli USA; guadagnare questo impegno dall'Europa significa molto per Pechino, perchè vuole dire che con la UE non si dovrebbe aprire un fronte di mancato accordo sulle tematiche del commercio estero, permettendo maggiore concentrazione sulla battaglia per l'apprezzamento della moneta cinese attualmente combattuta con Washington.

lunedì 20 dicembre 2010

Coree fine dell'incubo

La Corea del Nord rompe il preoccupante  silenzio dall'inizio delle esercitazioni della Corea del Sud e dichiara, attraverso l'agenzia KCNA, che alle manovre militari di Seul non vale la pena di reagire. Sembra così concludersi positivamente il pericoloso tira e molla seguito al bombardamento dell'isola sudcoreana sul confine dei due stati effettuato da Pyongyang. Evidentemente si tratta di una vittoria della diplomazia che ha operato alacremente al di fuori dei riflettori, tutto il mondo tira un sospiro di sollievo ma le questioni di fondo risultano ancora sul tappeto. L'atomica nordcoreana, il sempre maggiore peso cinese, il controllo delle vie di comunicazione e trasporto marine, il tutto inquadrato nella contrapposizione di alleanze ed equlibri che ruota intorno al rapporto conflittuale tra USA e Cina, con la UE spettatore interessato. La fine della vicenda, se vera fine è stata, segna un punto a favore della collaborazione tra gli stati e l'ONU, che hanno fattivamente collaborato per scongiurare il pericolo di un conflitto sui cui esiti non si potevano prevedere le conseguenze. Molto importante l'azione della Russia, che pur non essendo coinvolta in modo diretto, come USA e Cina, ha voluto assumere un ruolo di protagonista nella soluzione della questione. Probabilmente la molla che ha fatto scattare un impegno tanto fattivo è stato anche il pericolo che l'ago della bilancia si spostasse a favore di uno dei contendenti maggiori che stavano dietro le due Coree, compromettendo così l'equilibrio attuale. In questo momento storico così particolare se lo status quo subisce variazioni di così grande portata, come sarebbe potuto accadere in uno scenario possibile, rischia di innescare una reazione a catena sullo scenario internazionale di portata non facilmente quantificabile. Più defilata la posizione della UE, che ha assunto un ruolo quasi subalterno nella questione, d'accordo che le due Coree sono lontane, ma uno scenario globale come l'attuale richiede un impegno ed una presenza di maggiore peso in tutti i punti caldi ed i nodi cruciali del panorama complessivo.

Israele si sente accerchiato e teme l'atomica iraniana

La politica estera Israeliana ha cercato di attivare una sorta di cintura di sicurezza intessendo buone relazioni con i governi di Turchia, Egitto e Giordania, tuttavia gli analisti rilevano che questi buoni rapporti si fermano al livello istituzionale senza incontrare il favore delle rispettive popolazioni. Si tratta di un problema non da poco per il paese della stella di David, giacchè l'intensificarsi della delaicizzazione di questi paesi favorisce partiti e movimenti di stampo religioso. La questione palestinese ha una grande presa su società sempre più islamizzate, dalle più tiepide fino a quelle più integraliste. Con la Turchia, unico paese di religione islamica con il quale esiste un accordo di mutua cooperazione per la difesa, il nocciolo della questione è l'esercito della mezzaluna che sta perdendo quote consistenti di potere all'interno delle istituzioni turche. Le forze armate di Ankara sono tradizionalmente laiche e vedono di buon occhio la collaborazione con Israele anche per gli avanzati strumenti e metodi che l'esercito israeliano condivide con loro, ma il crescente peso politico di partiti a componente religiosa sta rosicchiando sempre più peso specifico nell'importanza politica generale. In Libano la fazione dei cristiano maroniti sembra propendere verso un'alleanza non strategica ma tattica con gli Hezbollah, questo determinerebbe la fine dei rapporti con . Sono tutti segnali che innervosisconoTel Aviv e contribuiscono a generare un pericoloso senso di accerchiamento in una fase molto difficile contrassegnata dal pericolo nucleare iraniano. Il rischio di conflitto aleggia sempre, la situazione iraniana non si sblocca nonostante le sanzioni ONU e la condanna internazionale, Israele teme concretamente l'atomica iraniana ed un possibile uso contro i suoi territori, ciò rende pericolosamente instabile il suo atteggiamento combatutto tra cautela e voglia di intervento. Fino ad ora si è preferito esercitare mezzi di contrasto alternativi come la guerra elettronica ed il sostegno agli oppositori del regime degli Ayatollah, ma l'accumulo di armamenti pesanti alla frontiera insieme all'esercito USA è un fatto concreto. D'altra parte proprio gli USA pensano di dotare uno scudo nucleare per i paesi arabi propri alleati in caso di avvenuta costruzione dell'atomica di Teheran. Dunque in mancanza di successo, come pare, della soluzione diplomatica si passa alla fase della minaccia militare, è un passo rischioso che si gioca su equlibrismi fortemente instabili, meglio sarebbe avesse successo la carta dell'opposizione interna che, però al momento non pare in grado di rovesciare un regime che gode di grande capacità di controllo interno ed anche di consistente appoggio popolare. La vicenda è ora aperta a tutte le soluzioni speriamo prevalga l'equilibrio e la ponderazione.

domenica 19 dicembre 2010

Tra le due Coree sale la tensione

Sale al tensione tra le due Coree e si fa frenetica l’attività diplomatica per evitare il precipitarsi della situazione. La Corea del Nord ha dichiarato che se ci saranno le esercitazioni nel mar Giallo, già programmate per la scorsa settimana e rinviate per il maltempo, la risposta sarà dura ed il disastro sarà inevitabile. Seul da parte sua non arretra e conferma le manovre sul confine fissato dall’ONU dopo la guerra di Corea terminata nel 1953, questo, peraltro è il motivo del contendere: Pyongyang ha scatenato la bagarre  perchè non riconosce l’assegnazione alla parte Sud dell’isola di Yenpyeong (quella cannoneggiata) e di altre piccole isole. Nelle acque di queste isole la Corea del Sud ha effettuato le precedenti manovre militari dove avrebbe, secondo Pyongyang, sconfinato nelle acque territoriali del Nord, da qui la ritorsione militare. Quello che si rischia è ben più di qualche colpo di cannone, in questo momento nella zona ci sono concentrate consistenti forze militari in stato di emergenza e mobilitate per l’azione. La preoccupazione delle diplomazie è tangibile, tanto da fare muovere la Russia, l’ONU, la Cina egli USA, tutti però, sulle rispettive poszioni. In questo momento la più attiva pare Mosca che cerca di scongiurare le esercitazioni del mar Giallo  per guadagnare tempo per una pausa di riflessione che coinvolga direttamente i due paesi in un negoziato magari sotto l’egida dell’ONU.

Giappone: riassetto delle forze armate

Con le mutate condizioni dello scenario internazionale e la fine della guerra fredda cambia la strategia militare del Giappone. Ormai il possibile nemico sta nella regione asiatica infatti sono la Cina e la Corea del Nord a preoccupare l’impero del sol levante. L’alleanza che si muove con Tokyo comprende, oltre agli USA, il maggiore alleato, anche Corea del Sud ed Australia. Il punto cruciale e’ la questione del Mar Giallo ed i paesi che si muovono in abbinata con la Repubblica Popolare Cinese, la questione non investe la sola difesa nazionale ma anche il problema delle rotte commerciali attraverso le quali si muovono le merci. In questo quadro, anche per razionalizzare le disponibilita’ di bilancio, il Giappone cambia la composizione della propria forza militare riducendo le armate terrestri a favore di un rafforzamento dell’aviazione ma soprattutto della marina, incrementando non solo gli effettivi ma i mezzi da impiegare. Occorrono infatti nuove navi ma soprattutto aumentare il numero dei sommergibili che consentono un pattugliamento piu’ agile ed un impiego piu’ veloce in caso di emergenza di impiego. L’aumentata attenzione verso le vie del mare segnala che il livello di guardia dei nipponici e’ ben oltre la soglia della normalita’;  la crisi delle due Coree ha solo accelerato un processo gia’ in corso, l’incremento sempre maggiore dell’importanza e della potenza cinese tenevano gia’ sotto pressione Tokyo, che gia’ da tempo pensava questa strategia militare. La regione asiatica e’ cosi’ ora un campo aperto a sviluppi che possono prevedere un piccolo equilibrio del terrore dove si fronteggiano la Cina ed i suoi alleati, Corea del Nord, Birmania ed altri (dotati di armi nucleari) da una parte opposti ad USA, Giappone, Corea del Sud fino all’Australia. La partita si gioca su di un terreno cruciale per il trasporto delle merci verso mercati in forte espansione in grado di condizionare una parte importante della ricchezza mondiale

I cristiani scappano dall'Iraq

Tragli effetti della guerra iraqena e dell’escalation di violenza nel paese diBagdad vi è la crescente intolleranza religiosa perpetrata ai danni della minoranza crisitiana. La dimensione dell’abbandono del paese ha assunto proporzioni di esodo a causa del grande numero di persone costrette ad abbandonare la propria nazione per la persecuzione degl integralisti islamici. A parte l’episodio più eclatante dell’attacco operato da Al Qaeda lo scorso 31 ottobre alla chiesa di Bagdad, la vita dei cristiani in Iraq è ogni giorno più difficile, paradossalmente erano più protetti con il sanguinario regime precedente.  Questo spaccato inquietante mostra come potrebbe essere, ed in parte è già, un paese sotto il potere della parte più integralista  di una religione, che cerca di imporre con la violenza la propria visione. Siamo in un laboratorio politico e sociale dove si vede un sviluppo futuro possibile del decorso storico. Il dovere degli stati, ma sopratutto delle organizzazioni sovranazionali è impedire che questa possibilità diventi realtà, l’azione delle sole organizzazioni umanitarie non basta ad imporre la via democratica, come non bastano le sole armi e forse non basta neanche l’azione congiunta senza un sostegno fattivo delle democrazie in termini di soldi, tempo ed intenzioni. Quello che è davanti è il pericolo di radicalizzare lo scontro di civiltà, di ritornare alla divisione tra crociati ed ottomani, senza favorire le parti meno estreme si impone soltanto la via della violenza e non quella del dialogo, un confronto continuo tra chi vuole collaborare con buone intenzioni è la sola via d’uscita.

giovedì 16 dicembre 2010

La battaglia dei diritti sconosciuta in patria

Dopo la sedia vuota di Liu Xiaobo, un'altra sedia non è stata occupata, se non dalla bandiera cubana, infatti Guillermo Farinas non ha potuto ritirare il premio Sakharov 2010 per la libertà di pensiero, nonostante l le molte pressioni del presidente del Parlamento Europeo Buzek. Cuba ha trattenuto il dissidente bloccando il permesso di espatrio. I regimi assoluti sono sempre più messi in difficoltà dalle premiazioni di rilevanza internazionale che costituiscono una cassa di risonanza enorme e permettono di focalizzare le problematiche dei diritti umani sulle quali i governi e  le pubbliche opinioni dei paesi occidentali sono molto sensibili. Ma se all'esterno le situazioni sono conosciute, grazie alla grande pubblicità mediatica, all'interno dei paesi di origine dei premiati, quelli oggetto di critiche per la mancanza dei diritti, la pubblica opinione interna è tenuta pressochè all'oscuro. Molti cinesi non conoscono la vicenda del premio Nobel, proprio grazie a quei diritti che sono negati e per la cui denuncia vengono assegnati i premi riferiti alle battaglie dei diritti umani. La censura operata è feroce, il controllo delle fonti d'informazione provenienti dall'esterno è serrato, ma c'è anche un'azione più subdola, che i governi degli stati dittatoriali hanno imparato bene dal capitalismo: l'introduzione di un sempre maggiore livello di consumismo teso ad addormentare le coscienze. Non è un caso che Cuba abbia aperto da poco il proprio mercato ai beni di consumo una volta vietati e che la Cina sia ormai il paradiso dei centri commerciali. La popolazione reduce da anni di povertà e penuria è stata frastornata con un'invasione di prodotti, peraltro costruiti a prezzi insostenibili sul piano dei diritti, che ha sortito il sonno della ragione. La nuova condizione sociale associata al più stretto controllo statale si è così rivelata una miscela letale che non permette di prendere coscienza dell'azione dei pochi che si battono per i diritti di tutti. 

mercoledì 15 dicembre 2010

Solo risposte comuni possono risolvere i problemi economici del mondo

La città di Buenos Aires è assediata da oltre 13.000 persone, che si sono accampate in un terreno coincidente con lo spazio del parco Indoamericano. Si tratta perlopiù di immigrati boliviani e paraguaiani che reclamano migliori condizioni di vita. Le dimostrazioni sono avvenute in coincidenza del progetto di urbanizzazione di uno spazio molto vasto ai confini della Città denominato "Villa Miseria". Il progetto potrebbe essere una valvola di sfogo lavorativo per l'asfittica economia argentina. Questo è uno dei tanti casi di povertà presenti nel mondo che rischia di sfociare in disordini, anche gravi. La progressiva riduzione dei sistemi di welfare giunta ad una massa di immigrazione sempre più numerosa genera, in una congiuntura economica negativa, situazioni di sempre maggiore emergenza. Negli effetti della globalizzazione, arrivata troppo veloce per la scarsa elasticità dei sistemi economici e burocratici degli stati, non si sono presentati contrappesi di autoregolazione ma soltanto un flusso di stravolgimenti del sistema quo ante. Le crisi economiche, che si succedono, determinano sempre nuovi scenari a cui non si è preparati, pare di essere sempre un passo indietro allo svolgersi degli eventi. Occorre ripensare i modi di produzione e di consumo, rivedendo la corsa all'illusione consumista; interrompere la spirale che avvolge il sistema mondo in modo sempre più stretto. Ma se la globalizzazione è un fenomeno per definizione, appunto, globale, la risposta degli stati non può essere molteplice, occorrono soluzioni sempre più univoche che uniformino le modalità di affrontare i problemi. Chiaramente è utopico pretendere una sola ed unica risposta, perchè le differenze e le esigenze degli attori sono talmente tante e di genere diverso che risulta impossibile ottenere una singolarità economica e normativa conveniente alla totalità. Ma esistono oraganizzazioni sovrastatali che devono acquisire sempre più peso grazie alla contribuzione di idee e sostentamenti di un numero sempre più vasto di paesi. Ma è necessario anche il loro proprio impulso a favorirne la sempre maggiore importanza e peso specifico nello scenario politico ed economico. Si deve anche superare la logica dei blocchi perchè questa non esiste di fronte allo scenario dell'economia globale, una maggiore cooperazione può diffondere un maggiore benessere generale ed una maggiore attenzione allo sfruttamento delle risorse e dell'ambiente. Situazioni come quella di Buenos Aires è una delle tante spie che segnalano la necessità di cambiare modo di affrontare la questione.

La Corea del Sud inizia le esercitazioni dei civili

In un clima surreale di apprensione e paura la Corea del Sud ha iniziato le esercitazioni di difesa civile, preparatorie ad un eventuale attacco proveniente dalla parte Nord del paese. La decisione di effettuare le esercitazioni non solo ai militari ma anche ai civili è una spia dei sentimenti che albergano nelle coscienze dei governanti di Seoul, la minaccia di un conflitto è tenuta in grande considerazione e molto temuta dal paese, inoltre si temono le reazioni di Pyongyang anche alle continue pressioni provenienti dall'occidente per il problema atomica. La situazione tra le due Coree è di stasi, ma la tensione rimane alta lungo la frontiera e nelle sale diplomatiche; il lavorio sottotraccia di USA e Cina continua alacremente per scongiurare il conflitto, ma le difficoltà restano, sullo sfondo la situazione tra i due paesi non migliora anche perchè non vengono intrattenute relazioni diplomatiche dirette.

martedì 14 dicembre 2010

La UE contro i trafficanti di esseri umani

Importante decisione della UE, dopo il silenzio sul Nobel per la pace. La nuova direttiva è diretta contro i trafficanti di esseri umani, rafforzando la protezione delle vittime. I campi di applicazione della nuova norma, che dovrà essere recepita dalle legislazioni nazionali entro due anni, abbracciano una vasta gamma di reati connessi con la tratta delle persone, infatti mira a colpire l'industria del sesso, l'ambito del lavoro, che comprende un'ampia casistica che va dallo sfruttamento fino all'impiego forzato, la mendicità, il matrimonio illegale ed anche il commercio degli organi. La normativa era già da tempo allo studio, malignamente si può collegare la sua uscita all'assenza di prese di posizioni ufficiali sulla vicenda del Nobel, quasi un lavaggio delle coscienze; tuttavia la nuova direttiva è un passo avanti nel cristallizzare in modo normativo la concezione della protezione dell'essere umano, è mettere nero su bianco cose che dovrebbero essere scontate, piuttosto, quello che salta subito agli occhi è il ritardo con cui si è arrivati alla stesura del dettato normativo. Sarà interessante vedere come i singoli stati si rapporteranno al recepimento della norma, visto che la gran parte dei governi della UE è composta o appoggiata da partiti e movimenti che considerano tali diritti solo in base ad un diritto di cittadinanza limitato e  che sono chiusi rispetto all'esterno, hanno tendenze conservative su basi territoriali fino a fare del razzismo la loro bandiera; ci troviamo, insomma, di fronte ad una gamma molto estesa di visioni  di fronte allo straniero ed anche una legge che dovrebbe essere scontata a livello universale  potrà essere ostacolata grazie ad artifici parlamentari. Tra le conseguenze imprevedibili anche i rapporti  tra gli stati, si pensi al comportamento del governo libico con i migranti, la sanzione contri i trafficanti si potrà estendere anche a uomini delle istituzioni di paesi dittatoriali? Se si, quali saranno le implicazioni? Gli interessi toccati sono molti e le difficoltà non poche, ma la scrittura della norma è già un punto di partenza.

lunedì 13 dicembre 2010

Birmania: nuovo socio del club nucleare?

La riduzione dei costi e la disponibilità tecnologica rischiano di favorire la proliferazione nucleare nel pianeta. L’ultima entrata nel club dell’atomica potrebbe essere la Birmania, dove, secondo fonti riservate USA, si sta lavorando per costruire un nuovo ordigno nucleare con il concorso di esperti nordcoreani e russi. La Birmania è retta da una giunta militare ed i diritti civili non sono rispettati tanto da sottoporre il paese  a sanzioni da parte di Stati Uniti ed Europa (che ha mantenuto gli aiuti umanitari). Sulla scena internazionale la Birmania è quasi sempre stata ai margini ed è salita alla ribalta per la vicenda del premio Nobel per la pace 1991 Aung San Suu Kyi relegata per anni agli arresti e liberata solo a Novembre di quest’anno. La creazione di una bomba atomica  può essere intesa come volontà di accreditarsi come potenza emergente, la nazione è ricca di materie prime come gas e petrolio ed ha avviato fruttuose collaborazioni economiche con Cina ed India, la sua posizione geografica con i suoi porti permette di essere una testa di ponte verso l’oceano indiano, un punto chiave per il trasporto delle merci. I due giganti economici competono direttamente per accapparrarsi le risorse birmane, ma la Cina appare in vantaggio per la grande liquidità immessa nel sistema birmano, consentendo la creazione di importanti infrastrutture; mentre la Russia ha commerci sostanziosi sul capitolo armamenti, per i quali gli stanziamenti della giunta sono notevoli. Per tutti questi motivi la preoccupazione degli USA è comprensibile, potrebbe trovarsi di fronte un paese avverso in una zona chiave del pianeta, dotato di un’arma di distruzione di massa, per di più alleato alla Corea del Nord. Il quadro generale pare influenzato dalla Cina, che sta materialmente dietro questi paesi, la strategia di Pechino cerca di aumentare sempre di più la propria sfera d’influenza nella regione asiatica, sia dal punto di vista politico che economico, le nazioni di questa zona sono considerate strategiche sia per le risorse che come mercato economico per la produzione e la vendita di beni, favorire un’atomica ulteriore nella regione significa mettere una barriera agli Stati Uniti, in un momento particolare  per il paese a stelle e strisce impegnato su più fronti. Questa debolezza causata dai troppi impegni sullo scacchiere internazionale favorisce manovre alternative agli avversari degli americani che mettono in campo strategie e minacce sempre nuove nella guerra per il predominio economico.

Nobel: l'Europa assente alla premiazione

Alla premiazione del Nobel per la pace c’erano delle assenze molto piu’ pesanti che quella del premiato. C’era un silenzio assordante e vile da parte delle democrazie europee, che con la loro assenza hanno di fatto avallato la dura repressione cinese sui diritti umani. E’ stata scritta una triste e vergognosa pagina per la lotta dei diritti fondamentali che ogni cittadino di questo mondo dovrebbe avere. Non andare a presenziare la premiazione del Nobel per la pace pare cancellare anni di discorsi e battaglie che il vecchio continente con la sua storia e le sue istituzioni ha portato avanti. Alla prova dei fatti e’ sembrato un castello di carta che e’ crollato alla prima minaccia economica. Mai come ora, in un momento economico cosi’ difficile, il gesto di andare contro alla superpotenza economica Cinese avrebbe avuto un significato particolare; invece aldila’ delle poche frasi di circostanza le istituzioni tutte del vecchio continente hanno preferito il silenzio complice alla manifestazione di solidarieta’ chiara e trasparente, unico sostegno tangibile per tutti quelli che lottano per le liberta’ fondamentali. Non sembra casuale che solo Obama, pressato dalle rivelazioni interessate di Wikileaks, che sembrano sempre di piu’ un disegno contro la sua amministrazione, ci abbia messo la faccia; la sua battaglia sara’ anche economica ma di fatto e’ l’unico che ha garantito l’appoggio alla battaglia dei diritti umani, alla fine il risultato e’ quello che conta. L’Europa, con il suo silenzio (che pare assenso) avra’ guadagnato qualche prebenda, ma mai come in questo caso il danno di immagine e credibilita’ che consegue all’atto sara’ una perdita difficilmente quantificabile in termini di credito morale. Cosa vuole dire avere taciuto? Il sistema cinese cocktail micidiale tra comunismo e capitalismo senza regole, le regole del libero mercato senza freni praticate in un contesto politico senza i contrappesi legislativi di garanzia, sembra il sogno di ogni capitano d’industria, e’ un sistema oltre ogni ideologia e’ soltanto puro sfruttamento che usa sopire le coscienze con il consumismo piu’ sfrenato. Non appoggiare fattivamente il Nobel per la pace significa incrementare l’erosione progressiva delle liberta’, che ora diamo per scontate, ma in un triste domani potrebbero non essere piu’ tali. Ancora una volta dobbiamo guardare all’America con speranza, ed e’ quasi un ossimoro: il paese capitalista per eccellenza che lotta contro un paese ancora piu’ capitalista.

venerdì 10 dicembre 2010

Il giorno del Nobel

Ci sarà una sedia vuota nella sala della consegna del premio Nobel per la pace 2010, ne il dissidente cinese ne alcun membro della sua famiglia sarà presente per ritirare il premio. La Cina continua nella sua irritazione, dopo avere istituito, più per contrastare al suo interno la rilevanza del Nobel, che come attacco verso l’esterno, ilpremio Confucio, ha aumentato la stretta nei confronti dei dissidenti incrementando la pressione poliziesca ed il blocco dei siti internet di CNN e BBC. Le autorità presidiano i punti chiave di Pechino e pattugliano le vie adiacenti all’abitazione di Liu Xiaobo. La Cina presenta al suo interno  il premio Nobel come esaltazione dei valori occidentali, facendo leva sul sentimento nazionalista sempre presente nei cinesi; la manovra serve a screditare l’importanza del premio Nobel, che riporta alla ribalta il tema dei diritti umani all’interno del sistema capitalista e comunista cinese. Se al suo interno Pechino riesce comunque a gestire la situazione, seppure con qualche difficoltà, agli occhi del mondo la situazione è più problematica, più volte la comunità internazionale ha sollecitato alla Cina quelle prime riforme essenziali tali da garantire almeno l’applicazione dei più elementari diritti democratici. Se l’evoluzione economica, ottenuta a prezzi sociali molto rilevanti, ha garantito, perlomeno in alcune zone del paese, una crescita degli standard di vita, non è andata di pari passo l’evoluzione dei diritti, che anzi, proprio per la spinta economica basata sulla grande forza lavoro e sulle  condizioni lavorative molto pesanti, hanno subito talvolta addirittura una compressione. Siamo in un contesto politico e sociale cristallizzato da anni di dittatura comunista che il benessere ha solo attenuato per la concessione del consumismo, senza una crescita della massa popolare, dove soltanto una minima parte del gran numero di persone che compone la totalità della popolazione riesce ha comprendere la necessità di uno sviluppo democratico dello stato. Stiamo parlando del condizionamento di un numero enorme di persone, solo l’aiuto dell’opinione pubblica esterna può rompere il guscio protettivo costruito dal regime. Per questo motivo il premio Nobel ha così infastidito Pechino, la speranza è che apra una breccia nel vertice oltre che nella popolazione.

I difensori di Assange

Vladimir Putin si arruola tra i difensori di Assange, tacciando gli USA di non essere una democrazia, concetto che sa tanto di pensiero sovietico (di cui Putin era funzionario, KGB per la precisione); il fatto apre una riflessione più ampia sulla diffusione dei file e le ragioni di chi difende  Wikileaks in nome della libertà di stampa. Dato per scontato che la libertà di stampa è proprio uno dei capisaldi della democrazia (su cui Putin e  la Russia dovrebbero riflettere, sopratutto dopo i recenti casi di uccisione e pestaggi dei giornalisti), nel quadro più ampio delle relazioni internazionali si deve operare una riflessione con alcuni distinguo. Nella diffusione dei file riservati siamo in presenza di un’azione a senso unico contro gli Stati Uniti, non è una valutazione è un fatto concreto, l’unica diplomazia colpita è quella americana, non esistono file riservati analoghi di alcun altro paese che Wikileaks disveli. Se fossimo in presenza di una associazione che si muove con i principi con cui afferma di muoversi Wikileaks non pare dovrebbe esserci un solo paese sotto attacco, questa non è un’osservazione da poco, fornire una risposta concreta soltanto a questa riflessione chiarirebbe molte domande in un solo colpo. Frattanto Assange è diventato una sorta di paladino degli hacker, sui quali esercita giustamente il fascino del pirata informatico, piedistallo su cui è salito grazie ai media, che non hanno mai approfondito la questione in maniera appropriata. D’altro canto è comprensibile che i giornalisti si siano buttati a peso morto su questa quantità di dati, ma finito l’entusiasmo iniziale sono mancate le giuste riflessioni, si va avanti sulla cronaca e non si scava dietro la notizia; con l’arresto dell’australiano si spera di capire di più sulla strategia di Wikileaks.

giovedì 9 dicembre 2010

La Cina entra ufficialmente nella disputa coreana

La diplomazia cinese si muove ufficialmente verso la Corea del Nord. Questo passo sancisce la fuoriuscita dall’immobilismo diplomatico ufficiale e l’interessamento alla crisi del Mar Giallo, mettendo in campo il capo della diplomazia di Pechino Dai Binnguo. In realtà i contatti tra la Cina e la Corea del Nord non si sono mai interrotti, ma sono rimasti nell’ambito della riservatezza e dell’ufficiosità. L’entrata in campo ufficiale è stata più volte sollecitata da Washington, che richiedeva aiuto al principale alleato della Nord Corea, affinchè premesse per per una soluzione pacifica e veloce della crisi delle due Coree. Pechino, per lavorando sottotraccia, ha nicchiato con un atteggiamento che sfiorava l’ambiguità, pur condannando l’escalation militare, non ha realmente preso parte ufficiale alla dissuasione dell’uso della forza. L’impressione americana è stata, probabilmente, che la politica cinese usasse questo nuovo fronte per mettere in difficoltà l’amministrazione di Obama, lesinando il suo intervento autorevole presso Pyongyang. Ora, con la mossa ufficiale di Pechino, sarà interessante vedere se l’intervento sarà limitato alla crisi attuale o se toccherà un orizzonte più ampio come il problema nucleare nordcoreano. Gli attori coinvolti oltre alla Cina ed agli USA, in qualità di superpotenze, sono le due Coree ma anche Giappone e Russia; la presenza di un’atomica nel sud est asiatico, in uno stato potenzialmente fuori dai blocchi e dal controllo, crea notevole apprensione nella regione, l’augurio è che da una situazione sfavorevole come è la tensione nel Mar Giallo si arrivi ad una trattativa sul disarmo nucleare nella regione.

martedì 7 dicembre 2010

Ancora su Wikileaks

Lo stillicidio di informazioni che Wikileaks sta rilasciando genera più di un sospetto, quale può essere il motivo di questa parsimonia di notizie, quali le intenzioni di mettere in circolo informazioni se non già risapute perlomeno intuite? Nel caso italiano, ad esempio, i dossier erano costituiti da articoli di giornale rilevati secondo le percezioni e le intenzioni dell’addetto di ambasciata che compilava i fascicoli. L’attesa generata induceva ad aspettarsi rivelazioni su trame e colpi di stato, invece ci troviamo a notizie buone per la stampa, che contrabbanda come colpi di scena. Se dal punto di vista del corretto comportamento, della prassi diplomatica  si possono ammettere comportamenti non consoni, che in quest’ottica generano corrette reprimende, ma la pratica non detta dell’azione diplomatica  prevede per ogni cancelleria, ambasciata e consolato niente di meno che quello che wikileaks fa passare come rivelazioni sconvolgenti. L’ultimo file che ha generato dure reazioni è quello degli obiettivi sensibili messi sotto sorveglianza dagli USA in territorio straniero senza, però avvisare i governi competenti per territorialità. E’ chiaro che la pratica non è ortodossa, e le reazioni sono giuste e comprensibili, ma se si guarda alla  realtà delle cose il lavoro sottotraccia è uso comune nell’azione dei governi. Resta il fatto che gli USA, oltre a non fidarsi dei propri alleati più stretti, si pensi al caso della Gran Bretagna, continua a perseguire la missione che si è autoaffidata di gendarme del mondo, è probabile che ciò sia un retaggio della vecchia amministrazione Bush, peraltro non toccata dai file di Wikileaks, se non di striscio, che Obama non è ancora riuscito a correggere. L’accanimento di Assange contro il governo Obama e la segretaria di stato Clinton appare più di una spia, con l’arresto del capo di Wikileaks si spera venga fatta maggiore chiarezza sugli scopi dell’organizzazione dell’australiano.

lunedì 6 dicembre 2010

I fronti diplomatici USA in Cina e penisola Araba

Due fronti internazionali occupano le forze diplomatiche USA, in questo momento, da un lato la Cina e dall’altro i paesi Arabi più ricchi. La questione con la Cina nasce dalla mancata sanzione ufficiale da parte di Pechino alla Corea del Nord; Obama ha necessità di risolvere al più presto la questione delle due Coree perchè non può permettersi un coinvolgimento troppo lungo, sia per il tempo che economicamente, in un possibile conflitto in cui è finito controvoglia trascinato da Corea del Sud e Giappone, partner essenziali per la bandiera a stelle e strisce. Gli USA contavano più sul lavoro diplomatico, che sull’uso della forza, e sull’appoggio del più grande partner dei nordcoreani: la Cina.  Pechino ha mantenuto un basso profilo, pur condannando l’aggressione all’isola sudcoreana non è andata, ufficialmente, oltre le dichiarazioni di facciata contro l’episodio bellico. L’impressione è che la Cina lavori sottotraccia perchè in Corea del Nord è in atto una transizione dinastica al potere (unico caso al mondo di dinastia comunista), Pechino considera la Corea del Nord un punto chiave per il proprio scacchiere di alleanze, giacchè bilancia l’alleanza della Corea del Sud con gli USA. Non si tratta solo di geopolitica e di alleanza militare, si tratta sopratutto di un’alleanza in chiave economica, la Cina non vuole ai suoi confini un concorrente economico agguerrito come potrebbe essere la Corea unita. Gli USA, in questo momento, hanno esigenze più urgenti distogliere l’attenzione dai teatri di Iraq ed Afghanistan non rientrava nei piani e si trovano coinvolti in una contesa di cui non avevano bisogno. Per questo motivo l’atteggiamento pacato di Pechino non è risultato gradito ad Obama. Ma non c’è solo la Cina a preoccupare Washington, indagini accurate sui movimenti di denaro dagli stati arabi più ricchi (E.A.U. ed Arabia in particolare) verso Iraq, Afghanistan ma sopratutto Pakistan hanno individuato il principale canale di finanziamento dei gruppi terroristici. La grande massa di rimesse di lavoratori emigrati nei paesi ricchi produce un flusso costante di denaro, ma i dati numerici effettivi delle transazioni verso il Pakistan sono il doppio di quelle ufficiali, è chiaro che si tratta di fondi occulti che vanno nella quasi totalità dei gruppi terroristici dell’Islam estremo. Non solo, è praticamente accertato il finanziamento diretto con passaggio di capitali, ma anche di armi e know-how dall’Iran verso i gruppi terroristici quali Hezbollah, Al Qaeda ed anche quelli dell’America Latina. Bloccare o almeno limitare questi flussi vuole dire restringere le possibilità di manovra dei gruppi terroristici ed indirizzare le guerre in corso verso la parola fine.

varie

Due fronti internazionali occupano le forze diplomatiche USA, in questo momento, da un lato la Cina e dall’altro i paesi Arabi più ricchi. La questione con la Cina nasce dalla mancata sanzione ufficiale da parte di Pechino alla Corea del Nord; Obama ha necessità di risolvere al più presto la questione delle due Coree perchè non può permettersi un coinvolgimento troppo lungo, sia per il tempo che economicamente, in un possibile conflitto in cui è finito controvoglia trascinato da Corea del Sud e Giappone, partner essenziali per la bandiera a stelle e strisce. Gli USA contavano più sul lavoro diplomatico, che sull’uso della forza, e sull’appoggio del più grande partner dei nordcoreani: la Cina.  Pechino ha mantenuto un basso profilo, pur condannando l’aggressione all’isola sudcoreana non è andata, ufficialmente, oltre le dichiarazioni di facciata contro l’episodio bellico. L’impressione è che la Cina lavori sottotraccia perchè in Corea del Nord è in atto una transizione dinastica al potere (unico caso al mondo di dinastia comunista), Pechino considera la Corea del Nord un punto chiave per il proprio scacchiere di alleanze, giacchè bilancia l’alleanza della Corea del Sud con gli USA. Non si tratta solo di geopolitica e di alleanza militare, si tratta sopratutto di un’alleanza in chiave economica, la Cina non vuole ai suoi confini un concorrente economico agguerrito come potrebbe essere la Corea unita. Gli USA, in questo momento, hanno esigenze più urgenti distogliere l’attenzione dai teatri di Iraq ed Afghanistan non rientrava nei piani e si trovano coinvolti in una contesa di cui non avevano bisogno. Per questo motivo l’atteggiamento pacato di Pechino non è risultato gradito ad Obama. Ma non c’è solo la Cina a preoccupare Washington, indagini accurate sui movimenti di denaro dagli stati arabi più ricchi (E.A.U. ed Arabia in particolare) verso Iraq, Afghanistan ma sopratutto Pakistan hanno individuato il principale canale di finanziamento dei gruppi terroristici. La grande massa di rimesse di lavoratori emigrati nei paesi ricchi produce un flusso costante di denaro, ma i dati numerici effettivi delle transazioni verso il Pakistan sono il doppio di quelle ufficiali, è chiaro che si tratta di fondi occulti che vanno nella quasi totalità dei gruppi terroristici dell’Islam estremo. Non solo, è praticamente accertato il finanziamento diretto con passaggio di capitali, ma anche di armi e know-how dall’Iran verso i gruppi terroristici quali Hezbollah, Al Qaeda ed anche quelli dell’America Latina. Bloccare o almeno limitare questi flussi vuole dire restringere le possibilità di manovra dei gruppi terroristici ed indirizzare le guerre in corso verso la parola fine.
La crisi finanziaria attuale ha tra i maggiori responsabili il settore bancario; la massa di prestiti immessi nel sistema varia da quattro volte il pil dell’Irlanda in crisi alle cinque volte della più solida Gran Bretagna. La situazione economica non pare in via di rapida risoluzione, non basta la locomotiva tedesca a trainare un sistema in difficoltà generale e purtroppo alcuni esperti come Strauss Kahn prevedono una nuova crisi finanziaria che riguarderà principalmente le banche. La grande esposizione bancaria potrebbe creare l’accartocciamento del sistema e generare una crisi a cascata che coinvolgerebbe, dopo le banche, tutti i settori produttivi a causa del blocco del credito. E’ una visione catastrofica, che contempla se non un blocco totale, una paralisi del sistema economico a livello mondiale. In questo scenario futuribile, ma purtroppo possibile, si innesta la strategia di Wikileaks, che non a caso, minaccia nuove rivelazioni  proprio sul sistema bancario. Il tempismo perfetto suscita più di un sospetto sulla volontà destabilizzatrice dell’australiano. Dopo le minacce e le attese per i primi file, rivelatesi poi poco più di una bolla di sapone non appaiono credibili le intenzioni di Assange come novello Robin Hood, eroe disinteressato contro il sistema; minacce come le sue, anche se infondate, possono provocare durante l’attesa dei documenti pesanti passivi borsistici, a chi conviene in questo momento una speculazione del genere? Una volta per risollevare l’economia si diceva che occorreva ricorrere alla guerra, ora questo non basta più per smaltire il surplus di produzione e peraltro è praticamente impossibile, per fortuna,  praticare azioni militari di eserciti regolari sui territori dei paesi ricchi, che al massimo patiscono azioni terroristiche; l’opzione  militare è ancora utilizzata per i paesi poveri. Le possibilità della tecnologia consentono operazioni più fini che non lo spargimento di sangue, chi sta dietro a Wikileaks pare più interessato a praticare il dissesto politico e finanziario, la guerra reale a certe latitudini non è più conveniente, più redditizio è spostare informazioni con la conseguenza di permettere determinate azioni convenienti a determinate lobby piuttosto che ad altre, siamo in un quadro ancora troppo oscuro per chi sta fuori ma le prossime vicende dovrebbero alzare la nebbia almeno un poco.
Pronte al via le manovre militari congiunte tra USA e Giappone, in concomitanza con il cinquantesimo anniversario dell’alleanza tra i due paesi. Ingenti le forze messe in campo: un totale di 44.000 soldati, 40 navi da guerra nipponiche e 20 statunitensi, tra cui la portaerei nucleare George Washington, un dispiegamento enorme di forza, a cui si aggiungeranno, come osservatori, militari sudcoreani. Il segnale, in questo momento, è per la Corea del Nord, già sotto la lente per l’attività connessa alla costruzione della bomba atomica, ed ora sotto stretta osservazione per le scaramuccie militari al confine con la Corea del Sud. Pyongyang per ora non ha emesso alcuna dichiarazione ufficiale, ma è fin troppo palese che consideri le prossime manovre nel Mar Giallo come una provocazione, tutto sta a vedere se le minaccia sortirà l’effetto di spaventare il regime dinastico comunista o se, di contro, farà ulteriormente alzare la tensione. Gli USA sono stati sollecitati dai giapponesi, che più volte ed in più sedi hanno sollevato il problema nordcoreano, la vicinanza di uno stato fuori dal controllo e dagli schemi in possesso di un’atomica suscita a Tokyo molte preoccupazioni, non certo sopite dalle cannonate sparate verso l’isola di Yeonpyeong, dove, frattanto, la Corea del Sud dichiara di avere posizionato parte della propria artiglieria pesante, pronta a rispondere al fuoco nemico; la strategia militare, continuano le fonti governative di Seul, prevede anche l’impiego della forza aerea pronta ad alzarsi in volo in caso di attacco. Per ora tra le due Coree la situazione è di stallo, aldilà dei preparativi militari, che ci sono anche nel nord, quello che si registra è un gelo diplomatico profondo, l’unico lavoro è quello sottotraccia di USA e Cina, che hanno attivato tutti i canali disponibili per smorzare le possibilità di conflitto. Anche la Cina non ha emesso dichiarazioni, per ora, sulle manovre congiunte USA e Giappone, ma se il silenzio resterà tale, potrebbe suonare come monito per la Corea del Nord, di fatto sanzionata dal suo principale alleato. Difficile capire le strategia nordcoreana, quale scopo, in un momento di transizione dinastica e sotto stretta osservazione mondiale per il problema dell’atomica, può avere un possibile conflitto con il paese gemello? La tesi della strategia diversiva per spostare l’attenzione dalla bomba atomica non pare reggere, perchè anzichè allontanare l’attenzione l’aumenta, pare più probabile, invece, rimarcare l’opposizione ad una paventata riunione in un unico paese delle due coree sotto l’egida del sud, a questa possibilità i burocrati militari del nord potrebbero avere risposto con l’azione militare per aumentare il solco tra i due paesi, stroncando sul nascere un’unione in senso democratico.
L’irritazione della Cina continua a salire per il caso del Nobel per la pace. Dichiarazioni ufficiali di Pechino, provenienti dal portavoce del ministero degli esteri, parlano della difficoltà oggettiva di mantenere rapporti amichevoli con la Norvegia, proprio per l’attribuzione del prestigioso, e mediatico, premio al dissidente Liu Xiaobo, attualmente condannato ad undici anni di prigione. Inoltre sono stati sospesi i negoziati per il libero scambio tra i due paesi, ufficialmente per consultazioni interne in seno al governo cinese. La Norvegia tira dritto per la sua strada, malgrado l’assenza certa di Lui Xiaobo, il comitato per l’assegnazione del premio Nobel ha confermato la premiazione per la data prevista: il 10 dicembre. I casi del genere nella storia del premio sono stati pochi, anche perchè in assenza del premiato c’era chi ne ha fatto le veci. Per la Cina la cassa di risonanza mediatica con ripercussioni negative sarà impressionante, Pechino si aspetta di essere sulla bocca di tutti i paesi più importanti e  delle organizzazioni internazionali, che daranno sicuramente la loro condanna al comportamento cinese. Non sarà un buon biglietto da visita per le aspirazioni cinesi di superpotenza accettata al tavolo delle nazioni che contano; la politica cinese si muove a fatica sul terreno dei diritti umani ed un ostacolo del calibro del premio Nobel non è un inciampo da poco. D’altra parte il fronte interno è di altrettanto difficile gestione, la sindacalizzazione e la  presa di coscenza dei lavoratori giunta alle pressioni sui diritti umani proveniente dal ceto intellettuale, pongono i governanti cinesi a mosse ben ponderate; allentare la stretta con concessioni ai lavoratori sulle condizioni di lavoro  è cosa ben diversa dal concedere la libertà, anche a tempo, ad un dissidente per ritirare il premio Nobel, su questo Pechino non può cedere. Ma minacciare la rottura diplomatica con un paese per il solo fatto di consegnare un premio, sia pure il Nobel, è segnale di grande disagio, di non riuscire a gestire la situazione, in questo caso, per il versante diplomatico il gigante mostra piedi d’argilla.
La vittoria nel referendum per l’espulsione degli stranieri autori di particolari crimini in Svizzera scava un solco profondo con la UE; i trattati bilaterali e la direzione presa dall’Europa su questi temi vanno nel senso opposto dal sentire comune della Confederazione elvetica. Il problema è sostanziale su questo binario l’entrata in Europa della Svizzera non è facile, in più siamo di fronte ad un paese spaccato a metà, infatti se è vero che in tutti i cantoni meno uno ha prevalso la vittoria dell’espatrio, su base linguistica il rapporto si/no è schiacciante nella popolazione di lingua tedesca ma molto meno in quella di lingua francese. Non che nel paese ci sia molta difformità, dato che la proposta alternativa al quesito referendario prevedeva comunque l’espulsione, ma applicata ad una rosa meno ampia di reati. Dunque la Svizzera appare abbastanza compatta sul problema della criminalità proveniente da fuori, la novità è che ha sancito con referendum quello che è un sentire comune delle popolazioni europee ma non delle istituzioni della UE. L’affermarsi di partiti nazionalisti e localisti portatrici di istanze particolari e territoriali, con una visione chiusa sull’immigrazione costituisce terreno fertile per argomenti come quello discusso nella confederazione di Berna e costituisce un pericolo per le politiche comunitarie, sempre più in equilibrio, per conciliare le richieste periferiche con le tendenze centrali. Il sintomo di visioni così radicali è una spia per la UE, che deve al più presto affrontare il malessere con finanziamenti e politiche ad hoc, in modo da gestire il disagio dal centro, per impedire pericolose fughe in avanti dalle periferie con comportamenti, anche normativi, che portino ad una spaccatura pericolosa nel nuovo tessuto sociale. La UE non può fare a meno dell’immigrazione sopratutto per ragioni economiche, limitare le situazioni potenzialmente pericolose è una necessità per non scivolare in pericolosi estremismi.
I primi file confidenziali di Wikileaks non hanno detto nulla che gia’ non si sapeva, al di la’ delle dichiarazioni di facciata in onore di segreti di pulcinella, cara ad una visione ipocrita e vecchia dell’azione diplomatica,  e’ stato tutt’altro che l’undici settembre della diplomazia mondiale. Giudizi gia’ letti su tutti i giornali, su cui non vale la pena soffermarsi. E’ importante, invece, riflettere su una frase particolare di Assange, che afferma che nessun altro governo americano ha contrastato la liberta’ di stampa come ha fatto Obama. L’affermazione e’ particolarmente forte, ma anche indicativa di qualcosa che puo’ star dietro a tutto il polverone alzato. Prima cosa, i file diffusi, ormai e’ acclarato, non danneggiano alcuno, se non la Clinton, come capo della diplomazia americana, ma soltanto perche’ i giudizi della sua amministrazione sono stati resi pubblici, ma si tratta di giudizi che tutte le cancellerie e le organizzazioni diplomatiche hanno nei loro archivi, e’ il loro lavoro emettere giudizi per le loro alte cariche, quindi fino a qui nulla di strano. Seconda cosa, non vengono praticamente toccate, almeno fino ad ora, le precedenti amministrazioni repubblicane, ed anche nei casi dei file riguardanti la tortura, niente di nuovo, esistevano gia’ abbondanti inchieste giornalistiche. Terza cosa il clamore mediatico sollevato, ha creato una attesa anche spasmodica nei governi e nelle opinioni pubbliche, attesa giustificata per quello promesso, ma delusa per quello ottenuto, puo’ trattarsi di un metodo di ricatto verso qualcuno? Si tenga conto che si dice di altri file riservati pronti ad essere messi in rete, ma perche’ bruciare l’effetto come ormai e’ stato fatto con autentiche bolle di sapone? La vittima principale e’ chiaro e’ la macchina ed il modo di intendere la politica internazionale di Obama, forse Assange e’ indirizzato da qualcuno che si muove dentro gli USA ed ha interessi opposti al presidente statunitense? Nel caso dei file della tortura l’autore dell’esportazione dei file riservati dovrebbe essere stato un caporale dei marine, chi conosce l’ordine gerarchico dei gradi militari sa bene che il grado di caporale e’ uno dei piu’  bassi della scala e non puo’ certo avere accesso a tali informazioni scritte nero su bianco. Per adesso la talpa negli archivi diplomatici non si conosce ancora, ma va da se che non puo’ essere stato l’equivalente di un caporale. La vicenda Wikileaks e’ ben lungi dalla soluzione, ma una soluzione verosimile potrebbe essere una macchinazione, forse lobbistica, ai danni del presidente Obama e della sua concezione di politica estera, tesa al coinvolgimento sempre piu’ intenso di tutti gli stati nella gestione delle relazione internazionale, che prevede per gli USA non piu’ il ruolo di gendarme del mondo in solitaria.
Sono ore di attesa nelle cancellerie dei paesi Europei, la minaccia di Wikileaks allunga la sua ombra con la concreta possibilità di rivelare documenti scottanti e compromettenti circa l’azione politica, diplomatica e militare nei confronti di altri stati sovrani in associazione con gli USA. Boutade, minaccia vana o rischio reale? Dai primi movimenti delle personalità più autorevoli dei governi traspare una sincera preoccupazione, sintomo di uno stato di agitazione di chi ha qualcosa da nacondere o di cui vergognarsi. Più volte articoli provenineti da più parti hanno scritto di accordi sottobanco, di operazioni militari oltre il limite della legalità, di manovre per favorire persone od organizzazioni che facevano comodo a certe tendenze politiche o spingevano situazioni contingenti verso la soluzione voluta, ma erano congetture basate su informazioni limitate oppure sul collegamento di fatti reali, che però, potevano apparire avulsi dal contesto in cui erano inseriti, se non collegati ad arte; ora saremmo di fronte a documenti ufficiali segretati e coperti dalla massima riservatezza, prove inconfutabili di manovre oscure sempre sospettate ma mai dimostrate. Non che sia una novità, il corso della storia è costellato di questi episodi, solo che in questo momento storico è maturata una coscienza critica dell’opinione pubblica che non potrebbe tollerare certi metodi. Le conseguenze sono di portata difficilmente immaginabili, non perchè non si verificherebbero, ma perchè quello che potrebbe seguire è realmente difficile da quantificare. Dire che cadrebbero governi non è un’ipotesi peregrina, ma sarebbe, in definitiva il male minore, quello che si dovrebbe temere è la fine di alleanze, il crollo borsistico, l’accartocciarsi di castelli finanziari e finanche l’esplosione di conflitti. A chi giova tutto ciò? Perchè divulgare ora documenti tanto compromettenti (sempre che sia vero)? Ed anche la sola minaccia così gravida di conseguenze, a chi fa comodo? Se fossimo in un romanzo di Fleming, dietro di sarebbe la Spectre di turno, ma adesso chi è questa Spectre? Oppure è possibile che dietro ci sia solo chi dice di esserci? Potremmo essere in presenza di una reale volontà di fare chiarezza e pulizia di una politica distorta per avviare una fase nuova caratterizzata dalla chiarezza e dalla correttezza? Sono domande alle quali ora è impossibile dare risposta perchè se si conoscesse la soluzione si intuirebbe facilmente la direzione verso cui andare. E’ chiaro che lo stato di allarme che si sta registrando segnala che qualcosa prima è successo ma, forse, ancora peggio, qualcosa può succedere. Dovremo attendere poco.
L’ordinazione di un nuovo vescovo da parte della “Associazione patriottica cattolica cinese”, la chiesa cattolica riconosciuta dal governo di Pechino ma non da Roma, ha provocato le proteste del Vaticano. In Cina esistono due organizzazioni cattoliche, la già citata “Associazione patriottica cattolica cinese”, dipendente direttamente dallo stato e non riconosciuta dalla chiesa cattolica romana e la cosidetta chiesa cattolica sotterranea,  osteggiata dallo stato ma riconosciuta dal Papa. Secondo dati non ufficiali la chiesa sotterranea sarebbe composta da 16 milioni di fedeli mentre la prima è accreditata di 5 milioni di componenti, tuttavia molti fedeli seguono entrambe le confessioni, questo dato sarebbe giustificato dai continui contatti, chiaramente non ufficiali che sono continuati ad intercorrere tra le due chiese. Il Vaticano è uno dei 25 stati che non riconosce la Repubblica Popolare Cinese come stato legittimo ed ha più volte attaccato il regime di Pechino sul tema dei diritti umani; nei giorni scorsi l’ordinazione del vescovo da parte della chiesa ufficiale cinese ha scatenato le proteste del Vaticano che sente sempre più invasa la sua sfera d’interesse. La risposta del governo cinese è stata singolare: il Vaticano è stato accusato di restringere la libertà religiosa della chiesa cattolica ufficiale cinese. Al di là delle ovvie obiezioni a questa risposta quello che appare chiaro è la difficoltà delle istituzioni cinesi ad affrontare l’argomento; la risposta fornita alle critiche vaticane pare un’autogol di portata internazionale. Ma il tema va inquadrato in una visione più ampia: alla Cina non basta più la potenza economica per accrescere il proprio prestigio internazionale ed assurgere a potenza globale, le condizioni dei diritti umani e della libertà politica e religiosa, sono fonte continua di critica dell’opinione pubblica internazionale e degli enti sovranazionali e solo la grande capacità produttiva ed economica, hanno risparmiato a Pechino sanzioni e restrizioni commerciali. Il rispetto dei diritti non è solo una questione morale ma anche economica, Pechino basa la sua forza economica sulla quantità, quantità di merci prodotte, quantità di forza lavoro da impiegare e questo immenso numero di braccia è impiegato in una situazione normativa dove i diritti dei lavoratori sono praticamente inesistenti; ciò crea uno sbilanciamento concorrenziale con le altre nazioni sia dal punto di vista dei costi organizzativi e burocratici sia dal punto di vista retributivo. La Cina è sensibile a questi argomenti ed è conscia che il progressivo affermarsi dei diritti sia ineluttabile (la pressione non è solo internazionale, anche nell’interno del paese si stanno piano piano affermando associazioni dei diritti, ci sono scipoeri ed agitazioni)  tuttavia cerca di rallentare questo processo pur cercando di accreditare le piccole novità in materia introdotte come grandi innovazioni. In quest’ottica anche la promozione di un’organizzazione cattolica, seppur inquadrata nello stato, può essere veicolo di pubblicità ed è per questo che la critica vaticana, proveniente da un microfono sempre amplificato, ha colpito così tanto i dirigenti cinesi.

Il fronte coreano pericolo per il mondo

L’episodio bellico tra le due Coree scopre i nervi nella zona del sud est asiatico. Washington teme che si apra un nuovo fronte che sarebbe difficile da gestire sia sul piano militare che diplomatico, gli USA ritengono la Corea del Sud alleato strategico nello scacchiere regionale per la vicinanza con la Corea del Nord,  stato da tenere sotto controllo per lo sviluppo dell’atomica, quindi il coinvolgimento diretto sarebbe pressoche automatico. Nelle basi americane sul territorio di Seul staziona già un contingente consistente delle truppe americane pronto all’impiego immediato, ma una nuova guerra avrebbe un impatto fortemente negativo sull’opinione pubblica americana nel momento appena successivo alla sconfitta elettorale democratica.  Tuttavia Obama non intende passare sopra all’attacco missilistico di Pyongyang, tanto è vero che da domenica 28 novembre la marina militare americana inizierà manovre congiunte con Seul proprio di fronte alle coste nord coreane; mostrando i muscoli gli USA tentano di dissuadere   il regime nord coreano ad un uso ulteriore della forza. Nel frattempo la UE mette in campo la propria diplomazia per scongiurare il conflitto, i paesi europei già impegnati negli scenari iraqeno e afghano non potrebbero permettersi economicamente nuove prove militari che sarebbero sicuramente richieste dagli USA. Il pericolo di un coinvolgimento a catena indesiderato viene vissuto con più che apprensione dal mondo occidentale, già concentrato sull’atteggiamento iraniano  e sugli sviluppi dell’atomica della repubblica islamica. Gli sforzi diplomatici convergono sulla Cina, sulla cui azione era già focalizzata l’attenzione in funzione di dissuasione dell’atomica nordcoreana, ora l’atteggiamento cinese risulta ancora più determinante con l’aggravarsi della situazione; Pechino non desidera imbarcarsi, non solo in un conflitto, ma nemmeno in una schermaglia diplomatica con USA e UE, dopo le difficoltà e le trattative incontrate sulle battaglie per la svalutazione della propria moneta, la concentrazione della Cina è pressoche totale sull’economia tuttavia Pyongyang è un alleato prezioso per la propria posizione fisica nella regione e Pechino ha più di un argomento per ridurlo alla ragione. Resta il Giappone, come ultimo attore sulla scena, Tokio ha più volte manifestato preoccupazione per l’atomica nord coreana e per le ricadute sulla propria economia causate da un vicino così turbolento; le cannonate sull’isola sud coreana hanno inasprito la condizione giapponese  ed hanno determinato la richiesta di sanzioni internazionali pesanti, per Pyongyang non si annunciano tempi facili.