Politica Internazionale

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mercoledì 9 marzo 2011

La UE stanzia 6.000 milioni di euro per le ex dittature

In una Unione Europea, che procede in ordine sparso, nei confronti della guerra libica, l'organismo centrale pensa già, giustamente al dopo e non solo nei confronti di Tripoli. Lo stanziamento per favorire la democratizzazione dei paesi che intendono proseguire sulla strada delle riforme democratiche e dei diritti civili sarà di 6.000 milioni di euro. Non solo un aiuto, ma un vero e proprio investimento per avere degli interlocutori che non siano più dittature. A parte i primi 30 milioni di euro destinati agli aiuti immediati, il resto del consistente finanziamento sarà destinato a sviluppare la vita democratica di paesi dove tale indirizzo politico non è praticamente mai esistito, si tratterà di formare intere popolazioni all'esercizio dei diritti civili e politici, allo sviluppo di quelle associazioni, come partiti o sindacati, che costituiscono la spina dorsale di ogni paese democratico e che sono sempre stati soffocati dalle dittature. Non saranno trascurati aspetti economici che dovranno favorire lo scambio e l'accesso ai mercati ai popoli della sponda sud del Mediterraneo, lo sviluppo delle energie rinnovabili e la formazione professionale. La direzione presa dalla UE pare andare verso una collaborazione fattiva con le ex dittature in un quadro, che nel futuro potrà essere di reciproca collaborazione specialmente sui problemi comuni, che non sono pochi essendo su sponde opposte di uno stesso mare.

La tattica francese in Libia

L'attivismo francese nei confronti del regime di Gheddafi scopre una realtà, secondaria allo sviluppo del conflitto, ma che scopre un velo sui rapporti all'interno della stessa Unione Europea. La Francia già da tempo ha messo gli occhi sulle commesse libiche e sullo sfruttamento dei giacimenti energetici. Il principale partner commerciale di Gheddafi è storicamente l'Italia, cui il rapporto con il dittatore libico è passato indenne attraverso governi di ogni colore e durata. Le commesse ed i contratti di fornitura hanno assicurato all'Italia notevoli introiti e riserve energetiche sostanziose. Ora con il regime in bilico e sull'orlo del collasso, fin da subito la Francia ha allacciato rapporti con i leader degli insorti per invertire la direzione commerciale del business del futuro stato libico. La Francia, inoltre punta ad estendere il proprio potere di infuenza politica nella sponda sud del Mediterraneo: dopo Marocco ed Algeria, la Libia, o che quello che deriverà dalla guerra, potrebbe andare ad aggiungersi alla sfera dei rapporti privilegiati di Parigi. Quella che si sta concretizzando è una battaglia diplomatica sottobanco per assicurarsi un rapporto privilegiato con le ricchezze libiche. Non molto filtra da questo campo di battaglia, ma l'impulso dato dalla Francia per la risoluzione ONU, rivela un insolito interesse di Parigi per la Libia. L'Italia dal canto suo, ha optato per una politica sottotraccia, un poco pavida, nei confronti dell'alleato Gheddafi, quasi ad aspettare la direzione della risoluzione del conflitto. Tuttavia, gli aiuti italiani giunti a Bengasi, quindi ai ribelli, con la marina militare, sono stati il primo gesto concreto di una potenza europea agli insorti; pare quasi che la diplomazia italiana abbia scelto una via poco vistosa con i ribelli, forse a causa dei tanti soldi investiti dallo stato libico di Gheddafi nelle maggiori industrie italiane. Per il nuovo stato libico che potrà nascere già previsto quindi un ruolo di arbitro tra le potenze europee.

martedì 8 marzo 2011

Prime divisioni nel clan Gheddafi

Spaccatura nel clan Gheddafi, tra la fazione dello scontro ad ogni costo e la fazione della trattativa. Il sintomo sarebbe stata una sparatoria all'interno della caserma dove è asseragliato il rais, scoppiata intorno ad una lite per la possibile soluzione del conflitto. Le divergenze segnalano un morale tutt'altro che alto, con le persone più vicine a Gheddafi, i figli e la famiglia in genere, favorevoli all'uso di ogni possibile mezzo militare per stroncare definitivamente la rivolta, il che è già un indice di grossa difficoltà, mentre i dignitari sarebbero più propensi ad una trattativa che possa permettere una via d'uscita che garantisca l'incolumità. Aldilà delle dichiarazioni di vittoria e dell'uso dei bombardamenti aerei, la parte in conflitto leale al leader libico comincia a temere concretamente un esito diverso del conflitto da quello sperato. La zona sotto il dominio di Gheddafi è sempre maggiormente sottoposta all'assedio dei ribelli, mentre in ambito internazionale la pressione diplomatica si accentua, anche grazie all'intervento della Lega Araba espressamente in favore di una creazione di una zona di non volo in territorio libico. Intanto si susseguono le voci per una immunità per il Rais in caso di resa: la prima voce voleva che l'offerta fosse partita dallo stesso Gheddafi e rifiutata dai ribelli, mentre, successivamente, sembrerebbe partita dai ribelli ma rifiutata dall'entourage del capo libico. In ogni caso sembrerebbe che una trattativa sia stata in qualche modo intavolata per mettere fine al massacro e sopratutto per garantire una via di uscita per il rais. Difficile dire verso quale paese possa concretizzarsi l'esilio di Gheddafi, anche se Chavez ha più volte manifestato la volontà di mettere in atto una mediazione tra le parti ed ha manifestato simpatia per il capo libico. Se questa via d'uscita prenderà corpo il nodo da sciogliere saranno le ricchezze dei Gheddafi, provenienti dal patrimonio nazionale ma di fatto incamerate dalla famiglia; le numerose partecipazioni azionarie e fondi comuni costituiscono una fortuna ingente già bloccata in diversi stati, tra cui, però, non sembra figurarel'Italia.

Arabia Saudita: un paese due comportamenti

Nella parte est dell'Arabia Saudita cova la protesta. In questa porzione del territorio del regno la popolazione è scita, minoranza nel totale del paese. Gli sciti protestano per la discriminazione sociale a cui sono soggetti, che si concreta con pesanti differenze circa il lavoro e le retribuzioni. Il governo saudita ha negato queste discriminazioni, ma il Re, al suo rientro in patria dopo tre mesi per motivi di salute, ha subito stanziato la somma di 26 milioni di euro, come sovvenzioni pubbliche. Un gesto interpretato per calmare la rivolta. Frattanto però, è stato anche mobilitato l'esercito, inviato nella zona per impedire eventuali allargamenti della protesta, che potrebbero sfociare in manifestazioni più eclatanti. L'Arabia Saudita è una monarchia, senza costituzione, perchè la legge fondamentale è il Corano, stesso e dove vige la legge islamica. Proprio alla legge islamica si appella il governo per impedire le manifestazioni di protesta, che inoltre violano la tradizione del regno. La minaccia dell'uso della forza giunta agli stanziamenti economici ed alla promessa di consultazioni elettorali, ma solo a livello locale, mira a scongiurare una deriva di manifestazioni di piazza che possano minare la stabilità dello stato. L'Arabiaper la Libia invoca l'intervento della NATO, ma al suo interno minaccia una repressione, che potrebbe anche essere feroce , mostrando al mondo un doppio atteggiamento mancante di coerenza politica. L'atteggiamento saudita svela una forte preoccupazione, innanzitutto per la mancata abitudine a proteste entro i propri confini ed anche all'atteggiamento da seguire per la gestione di questa manifestazioni, inoltre la preoccupazione è data anche dal fatto di essere praticamente circondata da paesi oggetto di continue proteste. Quello che si teme è che il tanto decantato effetto domino, si abbatta anche entro i confini del Regno. Tuttavia se la legislazione ed i metodi di governo continueranno nello stesso solco è inevitabile che l'Arabia Saudita vada incontro a nuove sollevazioni, ed anche l'instaurazione di democrazie in paesi vicini come l'Egitto favoriranno sempre di più i processi di emulazione.

L'evoluzione della crisi libica: stato attuale e scenari futuri

L'istituzione di una zona di non volo implica una azione militare preventiva, per distruggere le installazioni contraeree, ed una azione militare successiva di controllo, con l'uso eventuale della forza per sanzionare possibili infrazioni. L'impiego principale prevede l'arma aerea, ma è possibile nella fase preventiva anche l'impiego di forze terrestri. Obama ha affermato che se continueranno i bombardamenti la conseguenza più logica sarà proprio l'istituzione della zona di non volo, tuttavia questa azione dovrà essere coperta dall'ombrello dell'ONU, che, mediante un suo mandato, dovrà garantire il mandato ufficiale ai mezzi della NATO per operare. Ad una risoluzione in tal senso stanno lavorando le diplomazie di Regno Unito, Francia e Spagna. Ma l'unanimità del consiglio permanente difficilmente sarà raggiunta, infatti il ministro degli esteri russo ha già annunciato la sua contrarietà, in nome del prinicipio di non intervento sugli affari interni di ogni singola nazione, che regge l'impalcatura della politica estera di Mosca. A questo parere negativo si dovrà probabilmente aggiungere anche quello di Pechino, che sulla politica estera si ispira allo stesso principio della Russia. Quindi la strada dell'ONU per un possibile inmtervento in Libia, al momento pare difficilmente praticabile. Però la Lega Araba ha pubblicamente chiesto ad Obama un intervento armato che fermi la carneficina libica. La richiesta viene da una parte molto autorevole, che permette di superare, almeno sulla carta, le titubanze americane per un intervento in zona araba, ma al momento non pare convincere del tutto l'amministrazione americana, che teme di restare impantanata in un terzo teatro di conflitto (dopo Iraq ed Afghanistan). Dietro la richiesta della Lega Araba, oltre le dichiarate ragioni umanitarie, esistono consistenti regioni economiche, dettate dall'aumento del greggio, dovuto alla crisi libica, i grandi produttori, primo tra tutti l'Arabia Saudita, non hanno interesse ad un innalzamento del prezzo al barile, che rischia di innescare un pericoloso fenomeno inflattivo, che mette in pericolo la filiera dell'economia petrolifera, motore economico dei paesi arabi. C'è poi la posizione dell'Unione Africana, che pare orientarsi ad affiancare la richiesta della Lega Araba, per ragioni tutto sommato analoghe. Frattanto Gheddafi continua nella strategia del doppio binario, uso della forza interno e diplomazia sui generis verso l'esterno. Su questo secondo aspetto filtrano anche voci di una possibile negoziazione della resa da parte del rais alle condizioni di non essere sottoposto ad alcun processo, ne in Libia, ne all'estero e salvacondotti sia politici che economici per la sua famiglia ed il suo entourage. La richiesta però pare essere stata rifiutata dai ribelli, che intravedono concrete possbilità di vittoria. Se dall'ONU non ci sarà lo sblocco auspicato da USA, Gran Bretagna, Francia, Spagna, la NATO potrà sempre, in caso di decisione affermativa sull'intervento, aderire alla richiesta della Lega Araba e probabilmente dell'Unione Africana, anche se in questo caso potrebbe aprirsi un apericolosa spaccatura in seno al Consiglio permanente delle Nazioni Unite.

lunedì 7 marzo 2011

Per l'AIEA i casi di Iran e Siria

L'instabilità politica attuale determina grande importanza per la prossima riunione dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica. Sul tavolo i dossier relativi ad Iran e Siria, casi particolarmente spinosi se analizzati da soli, ma ancor più problematici alla luce dell'evoluzione dello scenario internazionale attuale. In circa otto anni non è stato ancora possibile stabilire se l'arricchimento dell'uranio di Teheran è per fini civili o militari, alcuni analisti ritengono ancora improbabile che l'Iran sia giunto al livello tecnologico che consenta di costruire l'ordigno atomico, tuttavia il mutato scenario internazionale impone una verifica che dia certezza al mondo intero. Le ripetute minacce allo stato di Israele, che hanno fatto più volte temere il peggio, costituiscono una ragione in più per accelerare la conoscenza della verità. L'AIEA, richiederà all'Iran una maggiore cooperazione per accertare la verità dello stato dell'arte. Se possibile ancora più difficile la situazione della Siria, che da anni rifiuta le ispezioni dell'agenzia, specie in quei siti che costituiscono ragione di sospetto. La particolare vicinanza con il Libano e con Israele, impone una certa cautela, ma anche qui una certa solerzia, anche per la richiesta anche dagli USA, che ha formalizzato tale domanda mediante le richiesta ufficiale proveninente da 25 deputati americani. Per la Siria si prospetta una richiesta ufficiale di ispezione speciale.

Israele e la necessità di uno stato palestinese

Israele prova ad accelerare il processo di pace con l'ANP per arrivare al più presto ad una soluzione. Nel contesto generale delle sollevazioni dei paesi arabi per Tel Aviv sono venute meno certezze storiche, che permettevano una diversa gestione del rapporto con i palestinesi. Mutati gli equilibri ed in assenza di quale direzioni prenderanno i nuovi governi, la necessità per Israele di definire al più presto la questione palestinese è diventata improcrastinabile. Netanyahu punta alla costruzione di uno stato palestinese, seppur inizialmente con frontiere mobili ancora da definire, che fissi un punto fermo sulla buona volontà israeliana. La nascita e la definizione di uno stato autonomo Palestinese è vista come strumento essenziale sul quale puntare, per limitare le possibili tensioni con i nuovi governi arabi, riconoscere lo stato palestinese significherà presentare lo stato della stella di David sotto una nuova luce per impostare le relazioni diplomatiche sotto un profilo nuovo o mantenere quelli favorevoli come in precedenza, vedi l'Egitto. Il principale ostacolo a questa politica è la posizione di Hamas, che non riconosce la politica israeliana e vede negli sviluppi delle rivoluzioni arabe un fattore a suo favore; ciò potrebbe determinare una tattica attendista da parte di Hamas che andrebbe a concretizzarsi con un temporeggiamento attuato tramite la sollevazione di eccezioni o richieste non esaudibili da Israele. E' una guerra diplomatica di posizione, dove però a differenza del passato, il tempo gioca a favore dei palestinesi. Israele deve mettere a segno almeno un risultato in tempi brevi, prima che sia circondato da governi potenzialmente ostili, da mettere sul tavolo di possibili futuri negoziati o problemi diversi ma insorgenti. Inoltre, la pressione USA, per una soluzione, almeno abbozzata si è fatta certamente più pesante. Israele non può ignorare le richieste USA, specialmente dopo la presa di posizione di Obama in suo favore, come recentemente accaduto. Per gli estremisti palestinesi, però la fretta di Tel Aviv può essere un alleato come non ha mai avuto e che potrebbe permettergli di strappare condizioni positive comemai successo prima.