Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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giovedì 5 maggio 2011
Pakistan: il non-alleato
Dopo alcuni giorni dalla morte di Bin Laden, la diplomazia occidentale si interroga sul destino del Pakistan, nel quadro della lotta la terrorismo. Come giustamente ha osservato il premier inglese, nonostante i molti dubbi suscitati dall'ambiguo comportamento di Islamabad, abbandonare il paese significherebbe farlo guadagnare alle forze avverse. La vicenda di Bin Laden ha fatto emergere sulla superficie, tutti i dubbi legati alla fedeltà del governo pakistano. In realtà si conosce bene di avere di fronte un paese che comprende visioni differenti ed anche livelli di sovranità diversi a seconda della regione esaminata. Inoltre se si allarga l'analisi oltre il territorio fisico, anche nelle diverse branchie dello stato esiste una pluralità di diversi punti di vista che non consentono una azione omogenea. Certo esistono organizzazioni di cui pretendere il completo smantellamento come i servizi segreti, che sono fortemente sospettati di avere protetto Bin Laden, sul territorio pakistano. La realtà continua ad essere che il governo ha piena sovranità sulla capitale e su poco altro, poi man mano che ci si allontana entrano in gioco una serie di soggetti alternativi, come le organizzazioni tribali, che di volta in volta amministrano la giustizia secondo la loro convenienza o peggio sono, di fatto, alleati alle forze talebane, Questo è più vero più si è vicini, o addirittura entro, quella zona grigia al confine con l'Afghanistan che costituisce il principale rifugio delle forze avvere alla NATO. Il Pakistan costituisce un insieme di tribù ed etnie, che difficilmente possono essere controllate e che rappresentano la struttura portante della società pakistana, almeno quella al di fuori della zona attorno alla capitale. Questo insieme complesso risulta difficile da governare ed addirittura impossibile da incanalare entro lo schema militare pensato dagli USA. Ma il Pakistan è uno stato sovrano, che non si può invadere e ridurre sotto tutela come è successo per l'Afghanistan, quello che finora è mancata è stata una azione convincente della diplomazia che sappia convincere il governo di Islamabad ad accettare un aiuto sul proprio territorio con il fine di poterlo controllare. D'altronde è anche comprensibile l'atteggiamento del governo pakistano che si trova a gestire un territorio difficile, dovendo fare sfoggio continuo di un equilibrismo tattico-politico tra le diverse pressioni. In conclusione con la morte di Bin Laden si è eliminato un nemico ma si è avuta la certezza di avere al fianco un non-alleato.
Il mancato rispetto delle regole e l'esportazione della democrazia, il caso di Bin Laden
Le modalità di azione dell'intervento americano nell'operazione che ha portato alla morte di Bin Laden sono state contraddistinte, nel caso di mancata comunicazione al Pakistan, come è stato detto, da una palese violazione del diritto internazionale. L'azione militare compiuta in territorio straniero, senza autorizzazione, costituisce il mancato rispetto delle prerogative dello stato sovrano. E' pur vero che per gli USA si è trattato di un atto di guerra, nell'ambito di un conflitto globale, dove, in un certo senso, la realtà ha superato la regolamentazione del diritto. Tuttavia ciò che è accaduto crea un precedente pericoloso che soltanto poche voci hanno denunciato. Certamente non si tratta della prima operazione militare che uno stato compie sul territorio di un'altra nazione, ma la dimensione mediatica che ne ha messo in risalto l'importanza simbolica, ha creato, intanto la pubblica ammissione del fatto da parte degli USA e con questa l'elevazione a fatto pubblico. La mancanza di segretezza è stata sacrificata al sentimento di rivalsa americano contro la mente dell'attentato delle torri gemelle, e le scene di giubilo viste negli USA, fanno comprendere, in parte, la scelta di Obama. Ma questa scelta, che ha concesso molto alla sfera emotiva, resta in contrasto con i rapporti giuridici che regolano i rapporti tra gli stati. Il Pakistan, nel caso specifico, non ne esce bene, vede violato il proprio territorio con un'azione successivamente troppo pubblicizzata, quindi diventa vittima e per di più dileggiata agli occhi del mondo intero. Quello che si imputa agli USA è la mancata segretezza che è la prima regola in queste situazioni. Ciò offre il fianco a diversi motivi di critica, anche collegati al più volte dichiarato obiettivo americano di esportare la democrazia nel mondo. Dopo le rivelazioni di Wikileaks, che se vere confermerebbero pratiche terribili all'interno del carcere di Guantanamo, la vicenda della morte di Bin Laden, può essere letta come uno strumento poco ortodosso per portare il sentimento democratico nelle nazioni oppresse. Se le ragioni operative si scontrano con le norme giuridiche, queste situazioni, oltre ad essere ridotte al minimo, non devono godere di pubblicità. Il contrasto tra esportazione di regole certe e mancato rispetto delle stesse appare stridente e può rendere poco credibile l'azione americana.
In Sudamerica nascono il CELAC e l'AIP
Il centro e sud america cerca di essere protagonista del proprio destino varando nuovi soggetti internazionali, mediante accordi ed unioni tra stati. Si tratta di un'esigenza che nasce dalla consapevolezza di potere recitare un ruolo non più subalterno nel teatro internazionale. La ricchezza di materie prime ed il rinnovato indirizzo verso forme compiute di democrazia giunte con la trasformazione, seppur graduale, della società ha determinato la necessità di ricercare forme di aggregazione tra le nazioni della regione, che possano permettere uno sviluppo, sopratutto economico, ma anche politico, che consenta una ricaduta positiva anche sui cittadini. Quindi trenta paesi dell'area latinoamericana si sono riuniti a Caracas per la costituzione della CELAC, Comunità degli stati latinoamericani e caraibici. Uno dei principali scopi della nascente organizzazione è quello di arginare l'influenza americana e di essere alternativa all'organizzazione deglistati americani, l'OSA. L'assunto di fondo della nascita del CELAC è la promozione dell'integrazione regionale per favorire lo sviluppo sostenibile nella regione. Le regole di funzionamento della nascente organizzazione saranno improntate a norme democratiche e ciò rappresenta un indirizzo significativo in una regione, che in un passato recente, è stata governata da dittature, sopratutto militari. Ma il CELAC non è l'unico nuovo soggetto internazionale di nuova fondazione nell'area sudamericana, infatti a Lima viene celebrata la nascita dell'AIP, Accordo del pacifico o anche accordo di integrazione profonda, che ha come membri Perù, Colombia, Messico e Cile. Gli obiettivi dell'AIP saranno orientati verso lo sviluppo economico e commerciale ed avranno gli USA come interlocutore principale per rafforzare sia la parte economica ma anche per la persecuzione del crimine dell'area ed in particolare il narcotraffico ed il riciclaggio del denaro. Secondo alcuni analisti l'AIP dovrebbe competere con il Mercosur sul piano commerciale ma il dato più rilevante, confermato il privilegio dei rapporti con gli USA, sarà quello politico: infatti proprio il criterio di favorire Washington come interlocutore principale viene visto come argine americano al tentativo dei paesi del continente di sganciarsi dalla sfera di influenza USA.
mercoledì 4 maggio 2011
USA-Pakistan: alleanza al tramonto?
La morte di Bin Laden ha essenzialmente un valore simbolico, sul lato pratico non si avranno ripercussioni, se non dal punto di vista mediatico, come lo sviluppo di questi giorni sta dimostrando. Più importanti sono le implicazioni che stanno dietro all'operazione e le riflessioni sulle ricadute di politica estera. Occorre partire dal ruolo del Pakistan nella vicenda. Islamabad appare sempre più distante dall'alleanza con gli USA, l'azione contro Bin Laden dimostra, se era necessario dimostrarlo, che il Pakistan non è ritenuto un alleato affidabile nella lotta al terrorismo. Eseguire un'azione militare in territorio straniero, senza avvisare le autorità di quello stato, che dovrebbe essere un alleato, costituisce la più incontrovertibile delle prove, della considerazione e dell'affidabilità di cui gode. Il Pakistan ha avuto una politica ondeggiante con i talebani, che continuano ad essere stabilizzati sul territorio di Islamabad al confine con l'Afghanistan. Tuttavia ora sta emergendo un nuovo elemento che allontana ulteriormente il paese asiatico da Washington. L'espansione economica cinese ha da tempo individuato nel Pakistan un partner di grande potenzialità, che, a sua volta, ha cercato, su mandato cinese, di coinvolgere l'Afghanistan nella sfera di influenza di Pechino. L'Afghanistan possiede una delle miniere di rame più estese del mondo, materiale sempre più essenziale nell'industria. Kabul pare abbia declinato l'offerta, preferendo Karzai, rimanere fedele alleato americano, ma questo era scontato; non scontata la manovra pakistana che mira a sganciarsi dalla sfera americana per abbracciare l'universo cinese. Ma dietro a questa direzione intrapresa da Islamabad sta ancora un'altro attore, avversario della Cina nella corsa all'espansione economica: l'India. Tradizionale nemico del Pakistan per motivi di confini, l'India è una delle principali economie emergenti e come tale ha grande necessità di materie prime, per le quali si trova spesso in competizione con gli appetiti cinesi. Quello che emerge è un doppio confronto che si sta delineando attorno al paese afghano: da una parte USA ed India, dall'altra Cina e Pakistan. Lo scacchiere che si presenta ha delle variabili di difficile sviluppo: come conciliare infatti l'alleanza tra USA e Pakistan in un tale contesto? Se si interrompesse la pur fragile alleanza che sviluppi comporterebbe in relazione alle basi talebane presenti al confine tra Afghanistan e Pakistan. Quello che potrebbe nascere sarebbe un confronto tale da generare una totale revisione della exit strategy americana dall'Afghanistan.
martedì 3 maggio 2011
Il futuro di Al Qaeda
Quale futuro ora per Al Qaeda? La morte di Bin Laden ha solo un valore simbolico, ma la dice lunga sulla difficolta’ dell’organizzazione nel ritagliarsi un proprio spazio che vada aldila’ della pura eversione estremista. Per la verita’ il successo di Al Qaeda ha dimostrato di incrinarsi gia’ durante i primi vagiti delle rivoluzioni arabe, il tentativo di inserirsi nel fulcro delle ribellioni e’ miseramente fallito per palese differenza di opinioni e di obiettivi delle masse in lotta per i diritti civili, anziche’ per l’affermazione delle leggi islamiche. Ingessata nel proprio schema antioccidentale e puramente islamico, Al Qaeda, non ha saputo interpretare in anticipo la direzione ed i voleri delle masse, denunciando una rigidita’ cher potrebbe comprometterne definitivamente l’esistenza. E’ pur vero che quel momento e’ ancora lontano per la presenza costante di uno zoccolo duro che si richiama ai principi piu’ integrali dell’islamismo, ma il potere di contagio dei mezzi di informazione ha abbondantemente scalfito quelle posizioni e quei sentimenti. Per tutte le organizzazioni terroristiche e per la creatura di Bin Laden, in particolare, la primavera araba costituisce una delle piu’ nefaste evenienze che potevano accadere, perche’ limita, con evidenza lampante, lo spazio di manovra che possa permettere la presa sulla popolazione, che e’, in definitiva cio’ che ne determina il successo. Senza sostrato e sostegno popolare, non pare possibile come le organizzazioni eversive di matrice islamica possano ancora operare su grande scala. Avendo puntato fin dall’inizio sul consenso generale, ora per Al Qaeda manca il terreno sotto i piedi e quello che deve spaventare sara’ come si riconvertira’ l’organizzazione sopratutto sul piano operativo. Le sue roccaforti si sono ridotte, la zona al confine tra Pakistan ed Afghanistan, lo Yemen e le zone deseriche occidentali appena sotto la fascia mediterranea, restano gli avamposti dove l’organizzazione gode ancora di vasta popolarita’, vi e’ poi l’appoggio iraniano, che usa Al Qaeda come propria testa di ponte secondo il proprio bisogno; oltre poco altro. Ma questo restringimento della manovra imporra’ scelte drastiche: per recupperare visibilita’ in maniera veloce e poco costosa potrebbe optare per attentati in serie ad obiettivi di medio calibro mediante kamikaze singoli, in modo di tenere sotto pressione il nemico occidentale, ma sarebbe comunque un ripiego se confrontato ai grnadi attentati dei primi anni duemila. La morte di Bin Laden arriva quindi in un momento di flessione della curva qaeddista e cio’ e’ sicuramente un simbolo della sua decadenza, ma questo non deve fare abbassare la guardia: l’animale ferito solitamente e’ piu’ pericoloso.
lunedì 2 maggio 2011
Gheddafi al bivio
I recenti appelli di Gheddafi alla trattativa, sia alla NATO che ai ribelli, sono caduti nel vuoto. Così come le minacce all'Italia, sono parse l'ultimo patetico tentativo di fare una qualche impressione. La posizione del rais si aggrava sempre di più, i missili dei volenterosi arrivano sempre più vicino, ma per il momento Gheddafi non sembra volere abbIandonare il campo, anche se pare avere dato corso a tutte le risorse possibili per ribaltare con l'esito del conflitto anche il proprio. Una trattativa con i ribelli non è più possibile: il conflitto è andato troppo avanti per le forze opposte a Tripoli, e dare una chance simile a Gheddafi significherebbe, almeno, accreditarlo ancora come detentore legittimo del potere. I ribelli puntano invece alla completa delegittimazione del rais, sopratutto per evitare che una parte della Libia, la Tripolitania, resti sotto il suo potere e costituisca in futuro la base dalla quale ripartire alla conquista dei territori staccatisi dallo stato originario. Appare evidente che per Gheddafi la permanenza a Tripoli non è più possibile, le strade sono solo due o l'eliminazione fisica o l'esilio. Fino a questo momento il colonnello ha cercato di prendere tempo, sperando in un evento che potesse rovesciare le sorti del conflitto, impantanato in una sorta di stasi per l'equilibrio delle forze. La NATO, invece, ha necessità di sbloccare la situazione per concludere nel minor tempo possibile il conflitto. Questa ragione spiega l'intensificazione degli attacchi aerei con la partecipazione anche di nuovi stati membri. Militarmente l'esercito regolare può contare ancora sulla supremazia di terra, in virtù di uomini meglio addestrati ed armati, ma che operano senza l'appoggio dell'arma aerea, completamente debellata, e con l'artiglieria ormai ridotta. Ma gli attacchi incessanti dei volenterosi, che possono colpire indisturbati, non paiono dare chence a Tripoli e tutto si riduce sulla durata del conflitto. In questo lasso di tempo Gheddafi andrà incontro al proprio destino, che potrebbe essere di esiliato di lusso, se si deciderà a partire verso uno degli stati africani, che ha lautamente finanziato, oppure se, nella migliore delle ipotesi, si vedrà contestare dal tribunale dell'Aja diversi capi di imputazione.
Obama più forte senza Bin Laden
La morte di Osama Bin Laden, se sarà confermata dalla presenza del cadavere, pone una pietra tombale sull'attentato dell'undici settembre. I toni trionfalistici di Obama riconciliano gli USA con se stessi e vendicano la ferita più profonda dell'immaginario collettivo americano. Il colpo avrà un'impatto tremendo sul morale degli avversari talebani, che perdono il loro capo carismatico, e mette un'ipoteca sulla rielezione del presidente americano per il suo secondo mandato. Le implicazioni di questo risultato impongono, però un'analisi più approfondita delle ripercussioni che si svilupperanno nei teatri internazionali. Lo scenario con maggiori ricadute sarà senz'altro l'Afghanistan, dove le forze contrarie alla coalizione della NATO, dovrebbero accusare il colpo soltanto dal punto di vista emotivo, l'organizzazione talebana è comunque radicata e militarmente preparata per reggere l'urto della morte del proprio capo carismatico, tuttavia se l'alleanza riuscirà a sferrare colpi ben assestati in tempi immediatamente brevi potrebbe dare la spallata decisiva e riconquistare le zone più ostiche. Nel mondo musulmano più radicale l'evento sarà sicuramente vissuto come l'ennesima ingiustizia americana, ciò potrebbe determinare anche casi di attentatori isolati, l'eventualità è oltremodo peridolosa giacchè quello che si può verificare potrebbe sfuggire al controllo delle stesse organizzazioni terroristiche. Dal punto di vista dell'organizzazione Al Qaeda, la morte di Bin Laden non pare influire sul funzionamento dell'organizzazione, che ha ormai raggiunto un livello talmente avanzato di ramificazione e differenziazione territoriale da essere ormai indipendente dal suo ideatore, che tra l'altro, aveva ormai una valenza più di simbolo che di effettiva direzione. Bin Laden sopravviverà come simbolo nella lotta contro gli americani ed i "crociati" in generale, ma la sua morte rappresenta un indubbio successo della strategia di Obama nella lotta al terrore, quello che muore è il simbolo stesso del terrorismo antioccidentale e rappresenta un peso non indifferente da mettere sul piatto del prestigio internazionale e della validità dei metodi usati. Per la politica di Obama un trionfo, che i rivali repubblicani difficilmente potranno contrastare, che apre le porte alla strada della rielezione.
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