Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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domenica 7 agosto 2011
Il debito male dell'economia mondiale
Dietro il declassamento americano esiste il problema strutturale della gestione finanziaria di molti stati. Il ricorso incondizionato al debito per fare funzionare macchine statali sempre piu’ farraginose e’ ormai una pratica che il mondo deve lasciarsi alle spalle, per non ingolfare in maniera definitiva il meccanismo economico, che muove il sistema. Tutto e’ dovuto alla mancata lungimiranza dei governi occidentali all’indomani della caduta del muro di Berlino. Non si e’ colto che da quel momento tutto cambiava e non era piu’ come prima. Anzi, pur venedo a mancare i presupposti fondamentali, si e’ continuato a perseverare su quella strada, senza accorgersi che il falso piano diventava una salita sempre piu’ erta ed accidentata. Neppure l’affermarsi della globalizzazione a messo un fermo a questa pratica dell’indebitamento all’infinito; si e’ pensato, anzi, che con la crescita di nuove economie, il pozzo da cui attingere fosse ancora piu’ profondo. In effetti per un periodo e’ stato cosi’, veniva comodo a tutti e due i lati, della domanda e dell’offerta, prendere e dare denaro per alimentare un circolo commerciale, che pareva non avere fine. Ma le crisi finanziarie e le varie bolle esplose hanno iniziato da un tempo, che doveva avviare meccanismi di adeguata salvaguardia, a segnalare il prossimo blocco del sistema. Purtroppo si e’ preferito guardare a questi segnali con sufficienza, senza elaborare strategie, che senza essere piu’ preventive, potessero, almeno, dare un freno ai fenomeni negativi. Siamo ad ora, il conto si sta presentando in tutta la sua drammaticita’ e purtroppo si continua a mettere in campo solo provvedimenti tampone che, mentre turano alcune falle, nel contempo ne provocano altre ancora piu’ grandi. Mai come ora la politica e’ stata in ostaggio di se stessa. Difficile immaginare un futuro diverso da un impoverimento generale del sistema, forse occorre mettere in dubbio che il modello che prevede una crescita indefinita, per aggiungere sempre maggiore prodotto, sia quello giusto. Forse occorre ripensare su basi nuove l’intera economia mondiale, partendo dal dato che esiste un surplus di produzione non smaltito ne smaltibile dal mercato, e che quindi rappresenta l’errore di valutazione da cui parte il baco che blocca il sistema. Questo e’ certamente vero per le economie mature, ma come farlo comprendere alle economie emergenti, che basano la propria forza sulla capacita’ produttiva? In effetti il problema di grande masse che si affacciano al benessere ha bisogno, per coltivare ed incrementare questo nuovo stato, di economie avanzate capaci di assorbirne la produzione. Ma appunto il problema e’ che questi mercati maturi si scoprono, all’improvviso poveri di risorse liquide e quindi non sono piu’ capaci di prendere la produzione, che nel sistema generale i paesi emergenti producono. Questo perche’ la catena del debito si e’ rotta. Ora i paesi produttori sono anche creditori, troppo creditori per potersi permettere loro stessi ulteriori immissioni di liquidita’ nel sistema, praticamente si sono resi conto che ricompravano con lo stesso denaro quello che loro stessi producevano. E’ chiaro quindi che tutti devono fare un passo indietro, il primo provvedimento da prendere e’ creare a livello mondiale una azione di sostenibilita’ finaziaria che nel minor tempo possibile, ma difficile da quantificare, ridia equilibrio al sistema crecando di avvicinarsi il piu’ possibile ad un punto di pareggio finaziario, per poi ripartire su basi di crescita minore o addirittura di descrescita per puntare su una produzione che assicuri stabilita’ ed equilibrio.
sabato 6 agosto 2011
L'ingerenza, una necessità sempre maggiore
Sull’evoluzione dei recenti fatti di politica internazionale occorre fare delle riflessioni che possano avviare una regolamentazione a livello planetario dell’ingerenza da parte di soggetti esterni, all’interno degli affari dei singoli stati. La premessa necessaria, ma insufficiente, e’ costituita dal punto di partenza della necessita’ che vengano rispettati i diritti fondamentali della persona. Il diritto all’autodeterminazione, alla alimentazione, all’istruzione ed anche alla manifestazione dei propri pensieri dovrebbero essere assicurati in maniera automatica, dovrebbero cioe’ essere dati per scontati in ogni singolo ordinamento statale. Ovviamente non e’ cosi’, anzi spesso la sopraffazione della persona, in senso generale, senza arrivare a considerazioni di differenze di sesso, orientamento politico o sessuale o razziale, e’ invece proprio quella che e’ regolamentata nella legislazione, che opera il soffocamento dei diritti fondamentali. Da qui ad arrivare alla soppressione fisica dei rei, di chi e’, cioe’, oggetto della norma, il passo e’ breve. Non per niente siamo in una fase storica dove alcuni popoli, che sono oggetto di queste legislazioni, che vengono eufemisticamente chiamate illiberali, stanno portando alla ribalta della cronaca i loro sommovimenti, le loro rivolte, per affrancarsi da questi ordinamenti repressivi ed affrontare una fase nuova della loro vita. Ora, il tema a cui guardare e’ questo: esiste un dovere delle organizzazini internazionali, in prima battuta, e delle potenze mondiali, immediatamente dopo, ad entrare nell’alveo politico interno di un singolo stato, per sanare situazioni di evidente violazione dei diritti fondamentali dei cittadini di quegli stessi stati? La domanda poi si estende alla forma ed alle modalita’ di questo eventuale intervento. E’ impossibile non richiamare esempi concreti, che l’attualita’ ci fornisce: la Libia, dove l’intervento, di tipo militare, e’ ancora in corso; la Siria, dove nonostante le sanzioni, si assiste impotenti al massacro dei civili e quindi rappresenta un esempio di assenza di ingerenza; la Somalia dove si attua un intervento, peraltro insufficiente, di tipo umanitario, ma si tralascia l’opzione militare, che sarebbe complementare alla riuscita dell’invio degli aiuti umanitari. Questi sono i casi piu’ eclatanti, ma chi ci vieta di pensare alla Cina, all’Iran, alla Corea del Nord, alla Bielorussia ed a molti altri casi, dove il potere statuale si fonda sulla negazione dei diritti. E’ chiaro che estendere cosi’ tanto il problema, che comunque esiste, non permette in concreto, di affrontare il discorso. Limitandoci ai tre casi sopra citati, che sono di maggiore attualita’, siamo di fronte a tre casi scuola, dove la presenza della violazione prevista dalla premessa, e’ stata affrontata con altrettante modalita’. La conseguenza diretta e’ l’assenza di uniformita’ della risposta, ed e’ il nocciolo da cui discende, semplificando in maniera estrema, la necessita’ di adeguare, in qualche modo, tempi e modi per intervenire. Ricordiamoci che siamo in un regime di autodeterminazione degli stati, quindi occorerebbe regolamentare a livello superiore l’ingerenza. L’ottimo sarebbe costituito da un riconoscimento universale di questa necessita’, ma per le ragioni di cui sopra cio’ e’ impossibile. Come superare quindi l’ostacolo? Il primo passo e’ una riforma radicale delle nazioni unite, che oltrepassi lo strumento del consiglio di sicurezza, per abbracciare una piu’ ampia suddivisione della responsabilita’ decisionale ed operativa, non e’ questa la sede per affrontare in maniera piu’ approfondita la questione, tuttavia occorre sottolineare la necessita’ di una maggiore autonomia finanziaria delle Nazioni Unite ed anche dell’assoluta obbligatorieta’ di una disponibilita’ di potere contare su di una propria forza armata. Seppure nelle profonde differenze culturali e politiche che sono presenti nei paesi del globo, la necessita’ di assicurare i diritti fondamentali in maniera stabile deve essere la prima missione dell’ONU e delle grandi potenze democratiche, non solo in un’ottica di rispetto delle leggi, ma anche un investimento sul futuro prossimo degli assetti economici e commerciali ai quali il mondo va incontro. Superare lo sfruttamento di una parte della popolazione mondiale significa aprire opportunita’ sempre maggiori per i mercati, ma sopratutto per la stabilita’ politica del globo, che deve fondarsi sempre piu’ su valori condivisi e comuni.
venerdì 5 agosto 2011
Le buone intenzioni di Obama
Barack Obama vieta l’ingresso negli Stati Uniti a criminali di guerra e a chi ha violato gravemedam,entali nte i diritti umani. Inoltre verra’ creato un comitato per la prevenzione delle atrocita’ per dare modo agli USA di impedire in modo preventivo atti di violenza su grande scala. Le ragioni fondamentali di questa nuova normativa sono da ricercare nella continua ricerca dell’affermazione dei diritti umani, come valori fondamentali della nazione americana, attraverso i quali assicurare la pace e la giustizia e combattere la delinquenza. Materialmente sara’ il Dipartimento di Stato ad occuparsi dell’attuazione pratica del provvedimento, vietando l’entrata sul suolo americano ai sospetti delle violazioni dei diritti umani, per ragioni di sicurezza interna. Il governo statunitense, con questa misura, conferma la volonta’ di mettere al centro della propria azione diplomatica l’intenzione di combattere la crescente violazione dei diritti fondamentali dell’uomo anche in maniera preventiva. Obama prosegue nella direzione delle buone intenzioni, che pero’ in molti casi restano solo sulla carta. La promessa elettorale di chiudere Guantanamo e’ rimasta, in concreto sulla carta. Conciliare questa evidente violazione non solo dei diritti umani, ma anche della legislazione internazionale appare subito un contrasto evidente dalle parole del persidente statunitense. Come sara’ altrettanto difficile conciliare la misura appena varata con le visite dei funzionari e dei membri governativi, che guidano potenze economiche emergenti, che non brillano certo per il rispetto dei diritti civili. Il primo pensiero va alla Cina, con cui i rapporti economici con gli USA sono sempre piu’ stretti, ed e’ stata spesso oggetto di critiche, proprio su questo tema, da parte dell’ammnistrazione americana. La difficolta’ di applicare la nuova norma sara’ presumibilmente aggirata con l’opportuna discrezionalita’ di ogni singolo caso, ottenendone cosi’ la reale vanificazione. Certamente e’ presto emettere un giudizio cosi’ drastico ma le premesse non sono certo incoraggianti, d’altronde e’ la stessa azione complessiva di Obama che si e’ afflosciata appiattendosi su posizioni molto lontane da quelle di partenza e che quindi fa legittimamente dubitare, che una norma cosi’ giusta non vada aldila’ delle buone intenzioni.
giovedì 4 agosto 2011
La pena di morte ancora troppo praticata nel mondo
Il rapporto dell'associazione "Nessuno tocchi Caino" sulla pratica della pena di morte nel mondo, registra una sensibile diminuzione della condanna capitale. Ma nonostante questo dato ancora troppi paesi fanno uso della pena di morte come sanzione penale, per contrastare sia fenomeni delittuosi di tipo comune, che di tipo politico. E' significativo che la maggior parte di paesi dove si pratica questo tipo di pena siano dittature o regimi illiberali, che sovente nascondono reati politici dietro a sentenze di altra natura. La Cina è di gran lunga in testa alla classifica con oltre 5.000 esecuzioni. Pechino ha ridotto i reati passibili della pena capitale, ma la crescente industrializzazione del paese avanza di pari passo con la corruzione, male sociale endemico nella Repubblica Popolare cinese, che i tribunali sanzionano spesso con la pena capitale. L'Iran ha incrementato le condanne a morte, anche in ragione delle sommosse politiche, e le commina anche verso gli omossesuali. Al terzo posto la Corea del Nord dove le esecuzioni sono state 60. Va detto che dietro i dati ufficiali ci sono diverse situazione dubbie che potrebbero rientrare nella casistica ma per ragioni di opportunità non vengono denunciate dagli stati stessi. Nella triste classifica figurano al quinto posto, dopo lo Yemen, anche gli Stati Uniti, dove la pena di morte è ancora vigente in alcuni stati; è singolare che un paese che si vanta di esportare la democrazia, si trovi così in alto nella graduatoria delle nazioni che usano la condanna capitale. Tuttavia esistono casi di stati dove si discute del reintegro della pena di morte come Panama ed addirittura il Regno Unito, dove recenti casi di assassinio di minori hanno ridestato la voglia del patibolo. La questione comunque, va letta in un discorso più ampio: dove esiste la pena di morte sovente mancano anche le garanzie della presenza dei diritti più elementari dell'individuo, la pena capitale, costituisce cioè, una spia spesso inequivocabile della mancanza di democrazia e diritti civili e politici.
Assad concede il multipartitismo
Sotto la pressione dell'opinione pubblica internazionale il presidente siriano Assad, prova ad allentare la stretta concedendo alla Siria il multipartitismo. Il decreto emanato attua una legge approvata il 24 luglio scorso dal governo e rende effettivo il provvedimento senza il passaggio in parlamento. I nuovi partiti, o meglio le condizioni perchè un partito venga riconosciuto dalla legge, devono essere costituiti non su base tribale o da non siriani e non devono disporre di forze paramilitari, inoltre il finanziamento deve essere trasparente. La riforma che ammette il pluripartitismo è una delle più richieste dal popolo siriano e la sua mancata concessione, fino ad ora, è tra i motivi delle proteste che stanno trascinando il paese nell'abisso della repressione. Dal 1963 al potere vi è un unico partito, il Baath, che vede sancita nella costituzione la sua unicità.
Tuttavia nel contesto attuale, dove ogni giorno si registrano diverse vittime della repressione, oltre alla sempre maggiore negazione dei diritti individuali, questa nuova norma, oltre alla possibilità di essere interpretata come una provocazione, è accolta con profondo scetticismo, sia nel paese che all'estero. In verità la mossa sembra un tentativo di guadagnare tempo, per distogliere la profonda attenzione a cui è sottoposta la Siria, anche perchè l'attuazione del cambiamento in regime pluripartitico non sarà senz'altro un processo rapido.
Tuttavia nel contesto attuale, dove ogni giorno si registrano diverse vittime della repressione, oltre alla sempre maggiore negazione dei diritti individuali, questa nuova norma, oltre alla possibilità di essere interpretata come una provocazione, è accolta con profondo scetticismo, sia nel paese che all'estero. In verità la mossa sembra un tentativo di guadagnare tempo, per distogliere la profonda attenzione a cui è sottoposta la Siria, anche perchè l'attuazione del cambiamento in regime pluripartitico non sarà senz'altro un processo rapido.
Gli USA non saranno più il gendarme del mondo?
Dietro alla risoluzione della questione del debito USA c'è una mutazione genetica della politica americana. L'affermazione della tendenza del movimento del tea-party, vero regista dietro le quinte delle trattative indica che sull'espansionismo a stelle e strisce sta calando il sipario. Quella che si sta affermando è una tendenza quasi introspettiva, che obbliga gli Stati Uniti a guardare al loro interno, cioè con maggiore attenzione alle problematiche di politica interna ed alle sue connessioni. Il taglio concordato alla spesa militare è la prova più tangibile di questo indirizzo. Il vecchio Partito repubblicano mai avrebbe permesso la decurtazione del bilancio della difesa, che è la leva per portare la bandiera americana nel mondo. L'avversione maturata in questi anni verso le guerre condotte a partire dall'amministrazione Bush senior, che hanno gran parte della responsabilità del grande debito pubblico americano, ha contagiato sia i democratici, che questa nuova branca di conservatori, che non riconoscendosi più nella vecchia politica repubblicana, hanno trovato asilo nel movimento del tea-party. In effetti più che un rifugio è una rifondazione della destra americana, che il partito repubblicano non ha ne inteso, ne intercettato i sentimenti, restando indietro nel suo sviluppo, fino a diventarne ostaggio in sede parlamentare. Le implicazioni in politica estera della nuova tendenza americana sono evidenti: si sta andando verso la fine del ruolo di gendarme mondiale degli Stati Uniti; del resto si sono già avute delle avvisaglie con la crisi libica, dove gli americani si sono tenuti volontariamente in retroguardia, lasciando a Francia e Regno Unito il ruolo di protagonisti. Senza più un paese che si accolli, a torto o a ragione, questo fardello, si apre uno spazio per potenze emergenti ma anche per un ruolo più incisivo delle Nazioni Unite, che potrebbero finalmente recitare in maniera fattiva lo scopo per il quale sono state create.
mercoledì 3 agosto 2011
La manovra USA non incontra i favori del mondo economico
Il mondo economico e finanziario non mostra di apprezzare la manovra USA. La montagna democratico - repubblicana ha partorito un topolino, che non è stato gradito dalle borse. La Cina, che detiene una grossa fetta del debito americano, boccia in maniera assoluta l'intesa americana giudicandola priva di effetti tangibili. La sensazione, a livello mondiale, è che manchi una programmazione strutturale che, mediante fatti concreti, operi sulla giusta via dell'aggiustamento definitivo del debito USA. Sui mercati le sensazioni negative hanno provocato un effetto domino causando cali consistenti su tutte le piazze mondiali. In Europa preoccupa la situazione di Italia e Spagna che sono al centro dell'attenzione degli speculatori. Dunque, per il momento gli USA si salvano alzando l'asticella del debito, ma lasciano in sospeso la propria economia ed a ruota quella del resto del mondo. Nonostante si sia scongiurato il default il futuro resta incerto, il primo pericolo e' che la mancanza di ripresa, che pare davvero difficile con questi provvedimenti, inneschi un fenomeno deflattivo capace di provocare un avvitamento della situazione economica USA su se stessa, con il risultato di un blocco dei consumi, che andrebbe a paralizzare, di conseguenza la produzione e quindi, di seguito, aumento esponenziale della disoccupazione. In questo quadro la tenuta della società USA sarebbe messa a dura prova, anche considerando i tagli previsti proprio sul welfare dall'accordo concluso tra i due partiti americani. La situazione richiederebbe degli interventi contraddistinti dalla velocità di decisione e di esecuzione di misure drastiche e risolutive, ma la scadenza elettorale obbligherà il governo USA, in ostaggio del numero maggiore di componenti del partito repubblicano, avverso nel ramo legislativo, a provvedimenti di ordinaria amministrazione per non urtare i rispettivi elettorati. Possono gli Stati Uniti e di conseguenza l'intera economia mondiale permettersi di aspettare ancora un anno, prima di arrivare al superamento della data di elezione del Presidente americano? La risposta lapalissiana ancora una volta porta ad un ragionamento sulla scarsa importanza degli organismi internazionali ed il loro sotto utilizzo. Quando gli stati da soli non riescono a colmare i loro gap strutturali e di capacità occorrerebbe un intervento ulteriore dall'alto capace di imporre una regolamentazione a tutto vantaggio dell'intero sistema. Sembra fantascienza ma risolverebbe molti problemi.
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