Politica Internazionale

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sabato 13 agosto 2011

Le pericolose intenzioni di Cameron

Occorre riflettere sulla tentazione del primo ministro inglese Cameron di interrompere le messaggerie ed i social network che corrono sulla rete. Analoghi provvedimenti presi all'inizio della primavera araba, nei paesi della sponda sud del Mediterraneo e poi nello Yemen, in Arabia Saudita (dove la RIM è vietata), fino alla Siria ed all'Iran, hanno fatto giustamente gridare allo scandalo per la censura imposta alla popolazione i governi occidentali. Adesso è proprio uno di questi governi di un paese con una delle maggiori tradizioni di democrazia a volere imporre uno stop analogo. Certamente vista da ovest potrebbe anche apparire una manovra dettata dall'emergenza, ed in parte lo è, ma ad un osservatore imparziale la stonatura non può che essere evidente. Intanto accomuna le negatività del fenomeno anche agli elementi positivi, ottenendo quindi l'effetto di cancellare anche quegli elementi di democrazia che tanto hanno sono emersi grazie a questi nuovi strumenti. La misura, se presa, accomunerebbe il democratico governo inglese alle dittature arabe anche nella mancanza di interpretare in senso positivo le nuove tecnologie ed andrebbe a costituire un pericoloso precedente paragonabile alla censura della stampa. Purtroppo una fascia di benpensanti la pensa come il governo inglese, non capendo che la garanzia della comunicazione sarebbe proprio uno dei principali strumenti da usare contro la degenerazione dell'uso delle nuove tecnologie. Blindare la comunicazione è la peggior risposta possibile a fatti come quelli inglesi e dimostra anzi la scarsa capacità di azione e sopratutto di prevenzione di tali accadimenti. Inoltre un provvedimento del genere offre il fianco a facili critiche da parte di chi le ha già giustamente subite. Quello che si rischia è di presentare al mondo, a tutto il mondo, un provvedimento che alla fine mette sullo stesso piano la democrazia inglese alle dittature arabe; chi usa questi mezzi, un panorama sopratutto di età bassa, percepirebbe una sostanziale identità della misura, sopratutto paragonata alle nazioni dove è già stata presa, finendo anche per andare a frustrare le legittime ambizioni di chi combatte per la libertà dei propri popoli. Ciò pare un estremo ma l'esempio ed anche l'identificazione nei regimi democratici può e deve essere una chiave di volta nel processo di democratizzazione che molti paesi stanno affrontando.

venerdì 12 agosto 2011

L'Europa ha bisogno di unità

E' una Europa lacerata da forti emergenze, quella che il vecchio continente presenta sulla scena mondiale. La vera e propria depressione economica, peraltro comune ad altre zone del pianeta, non fa che alimentare le spaccature religiose ed il problema xenofobo, che attanaglia in particolar modo i paesi che un tempo erano famosi per il loro stato sociale, ma anche quelli mediterranei, che pur non avendo una impalcatura così strutturata, sopperivano con la loro apertura e la loro ospitalità ai flussi migratori. Il problema economico, avvertito nelle realtà quotidiane di imprese e famiglie già da tempo, è stato a lungo negato da governi chiaramente senza capacità, con la sua esplosione ha provocato la rottura degli argini della società ed alla fine tutti i nodi sono arrivati al pettine. Il fallimento della politica sia periferica, le amministrazioni dei singoli stati, che quella centrale, la UE, ha messo in luce un subitaneo bisogno di rinnovamento, che va ricercato nella maggiore competenza e nel coordinamento tra tutti gli attori sulla scena. Non è un caso che uno dei pochi organismi in grado di dare qualche direzione al caos attuale, sia stata la BCE, che con tutte le sue storture ha saputo rappresentare un punto di riferimento. Certamente è difficile guardare all'oggi con positività, tuttavia se vi è una possibilità di ricostruire e ripartire è proprio questo momento. L'euro va rafforzato e non dismesso, anche se vanno corrette alcune modalità di funzionamento della moneta unica, perchè rappresenta comunque una sicurezza a cui aggrapparsi. Il problema economico si riflette su quello sociale e politico, senza benessere tutto è più complicato ed è in questa ottica che devono convincersi gli euroscettici: una Europa nuovamente divisa sarebbe preda ancora più facile degli speculatori e dei paesi con tanta liquidità disponibile, occorre rinforzare le strutture politiche unitarie, costruendo meccanismi solidi e veloci in grado di rispondere con immediatezza alle sollecitazioni finanziarie, politiche e militari che la situazione in divenire presenta. L'attuale tendenza che vede le nazioni europee richiudersi in se stesse, cozza rumorosamente con la necessità di aumentare l'unione per fare squadra, sistema, dando una risposta al mondo che indichi unitarietà. Sulla divisione in seno alla UE, giocano sopratutto i suoi nemici, che preferiscono affrontare il vecchio continente diviso con tutti i lati deboli scoperti senza difesa. L'Europa deve guardarsi da quegli stati e da quelle organizzazioni che mirano a conquistarne le eccellenze, per depredarli e lasciare sempre più povere le sue nazioni.

giovedì 11 agosto 2011

L'assenza delle politiche di coesione sociale genera disastri

Non pare azzeccato il giudizio di chi ha bollato la rivolta inglese come un fatto di mera delinquenza. Non che una parte consistente della componente dei rivoltosi sia da definire in questo modo, ma le ragioni dell'esplosione che stanno a monte dei pesanti disordini vanno ricercate nella politica pesantemente restrittiva del governo inglese, che ha operato un consistente taglio allo stato sociale, in uno dei momenti più difficili dell'economia mondiale. Va ricordato che non molto tempo prima le proteste studentesche, per gli aumenti elevati delle tasse universitarie, avevano costituito una corposa avvisaglia del clima sociale che veniva respirato sul territorio inglese. Il governo in carica non ha chiaramente saputo interpretare la tensione sociale del paese ed ha insistito su di una politica particolarmente incentrata su tagli sociali e di posti di lavoro a cui devono sommarsi gli aumenti dei servizi essenziali. La stagnazione economica certo non aiuta a calmare la situazione, ma la cura intrapresa si sta già rivelando fatale, andando ad intaccare in modo pericoloso la coesione sociale, principale strumento di stabilizzazione di ogni programma economico. Dall'Inghilterra il passaggio all'Europa continentale è molto breve, esiste un chiaro collegamento sottotraccia con il malessere che serpeggia tra i paesi del vecchio continente ed anche oltre (si pensi anche al caso israeliano, dove il governo è stato costretto a scendere a patti con i dimostranti). La situazione economica sfuggita di mano alla politica sta generando pericolosi focolai, che rischiano in ogni momento di trasformarsi in una degenerazione continua. Siamo di fronte ad una patologia del sistema economico che può portare ad un sovvertimento della società come è andata avanti finora. Le troppe differenze create da un sistema incongruo, sono state fino adesso mitigate da un intervento dello stato proprio sul piano sociale, che ha mantenuto, in qualche modo, incanalata la rabbia, ammortizzandola con strumenti appropriati, capaci di svolgere anche, oltre ad una azione livellatrice, una azione di controllo. Il progressivo abbandono, per ragioni di costi e di mancata volontà di investimento sulla materia, di queste politiche ha liberato ampie zone di malcontento che hanno portato e possono portare a forme di rivolta che sfiorano la ribellione allo stato. Scavare fossati profondi tra le classi sociali non porterà altro che disordine ed instabilità, purtroppo la scarsa mobilità sociale è già un dato di fatto di molte realtà occidentali, la situazione, con i provvedimenti che tutti gli stati stanno adottando incondizionatamente, sembra avviarsi verso nuove spaccature sociali, incrinando la tanto decantata coesione sociale. Si è di fronte ad una crescita esponenziale delle diseguaglianze, che si è venuta a creare per ragioni che niente hanno a che fare con il merito e le capacità lavorative e professionali, ma che si basano su legislazioni assenti o peggio colpevoli, atteggiamenti degli stati che hanno favorito la crescita di ricchezze non basate sull'ulteriore creazione di sviluppo ma di mero sfruttamento delle rendite di posizione e che, quindi, costituiscono, un pericolosità sottostimata delle ripercussioni sull'ambito della costituzione ed evoluzione del tessuto sociale. Senza un cambiamento di rotta siamo purtroppo destinati ad assistere ad altri casi simili ai fatti inglesi.

martedì 9 agosto 2011

La situazione somala: interrogativo per il mondo

La situazione somala risulta essere ancora lontana da una soluzione, che almeno possa iniziare ad alleviare la condizione della popolazione. Gli ultimi successi armati delle forze governative, che dovrebbero avere ricacciato le milizie integraliste islamiche nel sud del paese, non garantiscono ancora la sicurezza necessaria per l’operativita’ delle organizzazioni internazionali. Ed anche a Mogadiscio, che dovrebbe essere ormai assicurata alle forze governative, la situazione non e’ delle piu’ sicure per le continue sparatorie che si susseguono nel citta’. Questo elemento accresce la tensione fra i responsabili delle ONG, perche’, con la ritirata di Al Shabab, le sparatorie starebbero avvenendo tra clan diversi, all’interno delle forze governative. Nonostante, la profonda incertezza, le notizie dell’arrivo degli aiuti hanno interrotto le migrazioni dal paese, ed anzi il fenomeno pare iniziare ad invertirsi con il ritorno verso la capitale somala di persone alla ricerca degli aiuti umanitari. Tuttavia la gran parte degli aiuti sono bloccati ancora nell’aereoporto della capitale somala, perche’ oltre a mancare la sicurezza si teme che gli integralisti islamici non abbiano abbandonato del tutto Mogadiscio, ma siano ancora presenti con cellule nascoste tra la popolazione per assicurarsi parte degli aiuti alimentari. Il governo per accelerare la distribuzione ha annunciato la costituzione di forze speciali che sorveglino la distribuzione e garantiscano i presidi delle ONG. Se questo dovesse avvenire la Somalia potrebbe uscire dalla fase piu’ buia della propria storia, il culmine di venti anni di guerra civile che ora si sono giunti ad una delle peggiori carestie, dovute all’eccezionale siccita’. Difficile, comunque, che la soluzione avvenga in tempi brevi, l’appoggio di Al Qaeda, garantisce ai miliziani islamici di Al Shabab ancora una capacita’ di combattimento notevole, aumentata dal controllo del sud del paese nella misura del settanta per cento, che consente basi logistiche da cui fare partire gli attacchi. Secondo alcuni osservatori, inoltre, la ritirata da Mogadiscio potrebbe essere stata di natura strategica, per non fiaccare ulteriormente la popolazione e permettere gli aiuti, almeno in una prima fase ed anche per impossessarsene di quote consistenti. Pare ormai definitivamente acclarato che senza un massiccio intervento internazionale, non solo di tipo militare, il paese non possa ripartire con le sole proprie forze. Il tessuto produttivo e commerciale risulta ormai azzerato ed occorre quindi pianificare un intervento che consenta alla nazione, prima di tutto pacificata, una autosufficienza alimentare sostenibile.

domenica 7 agosto 2011

Il debito male dell'economia mondiale

Dietro il declassamento americano esiste il problema strutturale della gestione finanziaria di molti stati. Il ricorso incondizionato al debito per fare funzionare macchine statali sempre piu’ farraginose e’ ormai una pratica che il mondo deve lasciarsi alle spalle, per non ingolfare in maniera definitiva il meccanismo economico, che muove il sistema. Tutto e’ dovuto alla mancata lungimiranza dei governi occidentali all’indomani della caduta del muro di Berlino. Non si e’ colto che da quel momento tutto cambiava e non era piu’ come prima. Anzi, pur venedo a mancare i presupposti fondamentali, si e’ continuato a perseverare su quella strada, senza accorgersi che il falso piano diventava una salita sempre piu’ erta ed accidentata. Neppure l’affermarsi della globalizzazione a messo un fermo a questa pratica dell’indebitamento all’infinito; si e’ pensato, anzi, che con la crescita di nuove economie, il pozzo da cui attingere fosse ancora piu’ profondo. In effetti per un periodo e’ stato cosi’, veniva comodo a tutti e due i lati, della domanda e dell’offerta, prendere e dare denaro per alimentare un circolo commerciale, che pareva non avere fine. Ma le crisi finanziarie e le varie bolle esplose hanno iniziato da un tempo, che doveva avviare meccanismi di adeguata salvaguardia, a segnalare il prossimo blocco del sistema. Purtroppo si e’ preferito guardare a questi segnali con sufficienza, senza elaborare strategie, che senza essere piu’ preventive, potessero, almeno, dare un freno ai fenomeni negativi. Siamo ad ora, il conto si sta presentando in tutta la sua drammaticita’ e purtroppo si continua a mettere in campo solo provvedimenti tampone che, mentre turano alcune falle, nel contempo ne provocano altre ancora piu’ grandi. Mai come ora la politica e’ stata in ostaggio di se stessa. Difficile immaginare un futuro diverso da un impoverimento generale del sistema, forse occorre mettere in dubbio che il modello che prevede una crescita indefinita, per aggiungere sempre maggiore prodotto, sia quello giusto. Forse occorre ripensare su basi nuove l’intera economia mondiale, partendo dal dato che esiste un surplus di produzione non smaltito ne smaltibile dal mercato, e che quindi rappresenta l’errore di valutazione da cui parte il baco che blocca il sistema. Questo e’ certamente vero per le economie mature, ma come farlo comprendere alle economie emergenti, che basano la propria forza sulla capacita’ produttiva? In effetti il problema di grande masse che si affacciano al benessere ha bisogno, per coltivare ed incrementare questo nuovo stato, di economie avanzate capaci di assorbirne la produzione. Ma appunto il problema e’ che questi mercati maturi si scoprono, all’improvviso poveri di risorse liquide e quindi non sono piu’ capaci di prendere la produzione, che nel sistema generale i paesi emergenti producono. Questo perche’ la catena del debito si e’ rotta. Ora i paesi produttori sono anche creditori, troppo creditori per potersi permettere loro stessi ulteriori immissioni di liquidita’ nel sistema, praticamente si sono resi conto che ricompravano con lo stesso denaro quello che loro stessi producevano. E’ chiaro quindi che tutti devono fare un passo indietro, il primo provvedimento da prendere e’ creare a livello mondiale una azione di sostenibilita’ finaziaria che nel minor tempo possibile, ma difficile da quantificare, ridia equilibrio al sistema crecando di avvicinarsi il piu’ possibile ad un punto di pareggio finaziario, per poi ripartire su basi di crescita minore o addirittura di descrescita per puntare su una produzione che assicuri stabilita’ ed equilibrio.

sabato 6 agosto 2011

L'ingerenza, una necessità sempre maggiore

Sull’evoluzione dei recenti fatti di politica internazionale occorre fare delle riflessioni che possano avviare una regolamentazione a livello planetario dell’ingerenza da parte di soggetti esterni, all’interno degli affari dei singoli stati. La premessa necessaria, ma insufficiente, e’ costituita dal punto di partenza della necessita’ che vengano rispettati i diritti fondamentali della persona. Il diritto all’autodeterminazione, alla alimentazione, all’istruzione ed anche alla manifestazione dei propri pensieri dovrebbero essere assicurati in maniera automatica, dovrebbero cioe’ essere dati per scontati in ogni singolo ordinamento statale. Ovviamente non e’ cosi’, anzi spesso la sopraffazione della persona, in senso generale, senza arrivare a considerazioni di differenze di sesso, orientamento politico o sessuale o razziale, e’ invece proprio quella che e’ regolamentata nella legislazione, che opera il soffocamento dei diritti fondamentali. Da qui ad arrivare alla soppressione fisica dei rei, di chi e’, cioe’, oggetto della norma, il passo e’ breve. Non per niente siamo in una fase storica dove alcuni popoli, che sono oggetto di queste legislazioni, che vengono eufemisticamente chiamate illiberali, stanno portando alla ribalta della cronaca i loro sommovimenti, le loro rivolte, per affrancarsi da questi ordinamenti repressivi ed affrontare una fase nuova della loro vita. Ora, il tema a cui guardare e’ questo: esiste un dovere delle organizzazini internazionali, in prima battuta, e delle potenze mondiali, immediatamente dopo, ad entrare nell’alveo politico interno di un singolo stato, per sanare situazioni di evidente violazione dei diritti fondamentali dei cittadini di quegli stessi stati? La domanda poi si estende alla forma ed alle modalita’ di questo eventuale intervento. E’ impossibile non richiamare esempi concreti, che l’attualita’ ci fornisce: la Libia, dove l’intervento, di tipo militare, e’ ancora in corso; la Siria, dove nonostante le sanzioni, si assiste impotenti al massacro dei civili e quindi rappresenta un esempio di assenza di ingerenza; la Somalia dove si attua un intervento, peraltro insufficiente, di tipo umanitario, ma si tralascia l’opzione militare, che sarebbe complementare alla riuscita dell’invio degli aiuti umanitari. Questi sono i casi piu’ eclatanti, ma chi ci vieta di pensare alla Cina, all’Iran, alla Corea del Nord, alla Bielorussia ed a molti altri casi, dove il potere statuale si fonda sulla negazione dei diritti. E’ chiaro che estendere cosi’ tanto il problema, che comunque esiste, non permette in concreto, di affrontare il discorso. Limitandoci ai tre casi sopra citati, che sono di maggiore attualita’, siamo di fronte a tre casi scuola, dove la presenza della violazione prevista dalla premessa, e’ stata affrontata con altrettante modalita’. La conseguenza diretta e’ l’assenza di uniformita’ della risposta, ed e’ il nocciolo da cui discende, semplificando in maniera estrema, la necessita’ di adeguare, in qualche modo, tempi e modi per intervenire. Ricordiamoci che siamo in un regime di autodeterminazione degli stati, quindi occorerebbe regolamentare a livello superiore l’ingerenza. L’ottimo sarebbe costituito da un riconoscimento universale di questa necessita’, ma per le ragioni di cui sopra cio’ e’ impossibile. Come superare quindi l’ostacolo? Il primo passo e’ una riforma radicale delle nazioni unite, che oltrepassi lo strumento del consiglio di sicurezza, per abbracciare una piu’ ampia suddivisione della responsabilita’ decisionale ed operativa, non e’ questa la sede per affrontare in maniera piu’ approfondita la questione, tuttavia occorre sottolineare la necessita’ di una maggiore autonomia finanziaria delle Nazioni Unite ed anche dell’assoluta obbligatorieta’ di una disponibilita’ di potere contare su di una propria forza armata. Seppure nelle profonde differenze culturali e politiche che sono presenti nei paesi del globo, la necessita’ di assicurare i diritti fondamentali in maniera stabile deve essere la prima missione dell’ONU e delle grandi potenze democratiche, non solo in un’ottica di rispetto delle leggi, ma anche un investimento sul futuro prossimo degli assetti economici e commerciali ai quali il mondo va incontro. Superare lo sfruttamento di una parte della popolazione mondiale significa aprire opportunita’ sempre maggiori per i mercati, ma sopratutto per la stabilita’ politica del globo, che deve fondarsi sempre piu’ su valori condivisi e comuni.

venerdì 5 agosto 2011

Le buone intenzioni di Obama

Barack Obama vieta l’ingresso negli Stati Uniti a criminali di guerra e a chi ha violato gravemedam,entali nte i diritti umani. Inoltre verra’ creato un comitato per la prevenzione delle atrocita’ per dare modo agli USA di impedire in modo preventivo atti di violenza su grande scala. Le ragioni fondamentali di questa nuova normativa sono da ricercare nella continua ricerca dell’affermazione dei diritti umani, come valori fondamentali della nazione americana, attraverso i quali assicurare la pace e la giustizia e combattere la delinquenza. Materialmente sara’ il Dipartimento di Stato ad occuparsi dell’attuazione pratica del provvedimento, vietando l’entrata sul suolo americano ai sospetti delle violazioni dei diritti umani, per ragioni di sicurezza interna. Il governo statunitense, con questa misura, conferma la volonta’ di mettere al centro della propria azione diplomatica l’intenzione di combattere la crescente violazione dei diritti fondamentali dell’uomo anche in maniera preventiva. Obama prosegue nella direzione delle buone intenzioni, che pero’ in molti casi restano solo sulla carta. La promessa elettorale di chiudere Guantanamo e’ rimasta, in concreto sulla carta. Conciliare questa evidente violazione non solo dei diritti umani, ma anche della legislazione internazionale appare subito un contrasto evidente dalle parole del persidente statunitense. Come sara’ altrettanto difficile conciliare la misura appena varata con le visite dei funzionari e dei membri governativi, che guidano potenze economiche emergenti, che non brillano certo per il rispetto dei diritti civili. Il primo pensiero va alla Cina, con cui i rapporti economici con gli USA sono sempre piu’ stretti, ed e’ stata spesso oggetto di critiche, proprio su questo tema, da parte dell’ammnistrazione americana. La difficolta’ di applicare la nuova norma sara’ presumibilmente aggirata con l’opportuna discrezionalita’ di ogni singolo caso, ottenendone cosi’ la reale vanificazione. Certamente e’ presto emettere un giudizio cosi’ drastico ma le premesse non sono certo incoraggianti, d’altronde e’ la stessa azione complessiva di Obama che si e’ afflosciata appiattendosi su posizioni molto lontane da quelle di partenza e che quindi fa legittimamente dubitare, che una norma cosi’ giusta non vada aldila’ delle buone intenzioni.