La governabilità europea, specie nella zona euro, è ormai un affare a due. E' questa la sensazione che si coglie con l'incontro franco-tedesco di Parigi, dove Sarkozy ha accolto Angela Merkel per discutere sul rafforzamento della governance dell'economia nella zona euro. Con il Regno Unito fuori dalla moneta unica europea e con Italia e Spagna sotto attacco della speculazione, non resta che l'asse Berlino-Parigi ad avere, ormai, le prerogative per potere decidere provvedimenti che cerchino di mettere un freno alla rovinosa caduta della finanza europea. In realtà questo incontro era stato programmato il 21 luglio, in piena crisi greca, ma l'attualità ha superato di gran lunga la paludata programmazione inter governativa. Gli analisti ed i mercati attendono un segnale forte, in modo che si possa capire dove va la finanza europea, chi e come la guida, in modo che si concretizzi un freno all'emorraggia delle borse. Tuttavia, se Francia e Germania sono quelli che stanno relativamente meglio, si presentano a questo incontro con acciacchi evidenti. Per Berlino è orami certo il pericolo di stagnazione, sta venendo a mancare la crescita, che di solito genera ricadute positive su tutta l'economia continentale, mentre Parigi sta correndo il pericolo di un declassamento del proprio ranking a causa dell'elevato debito pubblico, mentre già si affacciano manovre speculative come è stato per l'Italia. Ma tant'è questo è quello che passa il convento per la povera moneta unica. Una possibile salvezza passa per la creazione degli eurobond, in modo da avere un materasso più alto in caso di cadute rovinose, dato che consentono ai paesi in difficoltà di rifinanziare il debito a costi minori. Se la Francia è possibilista verso questa soluzione, anche perchè potrebbe diventare particolarmante interessata, per la Merkel il problema è politico, in quanto la sua coalizione interna non vede di buon occhio l'aumento del fondo di stabilità europea per il timore di dovere in gran parte farsene carico. Comunque se si vuole mantenere in vita l'euro non si vede all'orizzonte altra soluzione, si può discutere sull'entità della somma del fondo ma non se applicare o meno questa soluzione. Certo le misure di abbattimento dell'indebitamento devono essere drastiche, ma senza un ammortizzatore che faciliti il processo il destino è di ritornare alle divise nazionali con tutto quello che ne consegue. Dal punto di vista politico il peso di Francia e Germania appare notevolemente accresciuto, in questo momento decidere sull'economia è pienamente coincidente con la decisione politica sull'azione dell'area euro, infatti la direzione economica che sarà presa deciderà anche la direzione politica non solo per Berlino e Parigi ma anche per gli altri stati. Quello che non è riuscito a commissioni e parlamenti sta riuscendo ai mercati, con le economie meno peggio che decidono anche per quelle peggiori. Ciò costituisce un cambiamento epocale nei rapporti interni alla UE, che viaggiano ancora sulla finzione del doppio binario: politico ed economico. Da ora chi non riesce a badare a se stesso andrà a finire sotto la tutela di chi vi riesce. Ancora una volta comandano i soldi.
Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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martedì 16 agosto 2011
La strategia estrema di Gheddafi
La guerra libica registra una allarmante novità. Dagli arsenali di Gheddafi è stato infatti lanciato un missile Scud, di fabbricazione sovietica, destinato alla città di Brega, ma che ha mancato il bersaglio deviando la propria traiettoria ed esplodendo in piena zona desertica. Il regime libico dovrebbe disporre di circa cento missili Scud, prodotti dall'URSS intorno agli anni sessanta del secolo scorso; in passato Gheddafi si era impegnato a distruggere l'arsenale in cambio della riduzione delle sanzioni applicate alla Libia, ma l'accordo non fu rispettato per mancati accordi tra le parti. L'uso di un missile a lunga gittata, arma di cui l'esercito libico dovrebbe quindi disporre in quantità limitata, segnala che Gheddafi comincia ad essere in grossa difficoltà. L'isolamento di Tripoli comincerebbe quindi a dare i primi effetti importanti, la guerra è diventata di logoramento e la difficile situazione circa gli approvigionamenti a cui è sottoposto il regime libico, pone nella maggiore incertezza la sua sopravvivenza. Tuttavia la vittoria per i ribelli è ancora lontana, il rais ha dato prova più volte di sapere rimanere saldamente in sella al potere. La strategia dei prossimi giorni potrebbe prevedere una strenua resistenza dove verrebbero impiegati in armi tutti i civili disponibili, in una sorta di arruolamento forzato. D'altro canto questo sarebbe in linea con la tattica intrapresa da Gheddafi fin dall'inizio, che prevede di guadagnare tempo ad oltranza, per non finire, ne nelle mani dei ribelli, ne delle potenze internazionali, che ne hanno richiesto la formale incriminazione al tribunale dell'Aja. Con la parte orientale del paese ormai definitivamente persa, Gheddafi non può perdere la sua roccaforte: Tripoli e la parte immediatamente retrostante fino al confine tunisino. Una azione che viene prevista è la distruzione del terminal petrolifero di Brega, una dei motori economici del paese. Se questo dovesse compiersi sarebbe un disastro ambientale e per i ribelli, in ottica di conquista totale del paese, anche economico, ma consentirebbe al rais un ulteriore guadagno di tempo prezioso, per elaborare una strategia da presentare ad un potenziale tavolo di trattative.
Lo stimolo di Obama all'economia
Obama prepara un piano economico per stimolare la crescita basato sulla maggiore tassazione delle classi più ricche. E' un approccio totalmente opposto a quello elaborato storicamente dai repubblicani negli anni precedenti e sopratutto dai governi europei. L'intenzione del governo USA merita più di una attenzione. Il momento è particolarmente difficile sopratutto per le classi basse e medie, ma nonostante questa situazione i governi europei insistono sui tagli al sistema sociale, che vanno, in definitiva a pesare, seppur in modo indiretto ma non proporzionale, sui ceti meno abbienti. Con l'economia che ha bisogno sempre maggiore dell'innalzamento dei tassi di crescita il solo taglio delle spese, senza stimolo alcuno alla crescita, non è sufficiente perchè non libera risorse che aumentano la disponibilità di reddito in ottica di maggiore investimento e di spesa. L'intendimento di Obama è di stimolare la crescita prelevando reddito alle classi più abbienti, in una direzione maggiormente improntata alla giustizia ed all'equità sociale la misura è chiaramente corretta perchè redistribuisce le difficoltà del sistema economico sulla base della maggiore ricchezza, cercando quindi di esercitare minore pressione su quelle classi già più colpite dalla situazione economica negativa. Il concetto di proporzionalità, che in questi anni è parso venire sempre meno, grazie ad operazioni finanziarie dei governi basati su tagli lineari che colpiscono in maniera porporzionale maggiore le classi meno elevate, pare dalla volontà di questa misura, almeno in parte riaffermato. Non solo, redistribuendo il reddito verso il basso della piramide sociale, si allarga la capacità di acquisto che va ad abbracciare un numero più esteso di beni commerciali, anzichè, come spesso è successo favorendo le classi più abbienti soltanto i beni di lusso. I governi di destra hanno spesso usato questa tattica per poi fare figurare nel dato finale una crescita il cui risultato è stato, però, fortemente sbilanciato, un valore drogato che non corrisponde alla diffusione del benessere in tutta la società. Mai come ora, invece, è necessario allargare il più possibile l'eventuale dato della crescita per potere diffondere al massimo i vantaggi. Obama ha compreso questa necessità per preservare l'ordine sociale e creare un modello di crescita che vada ad impattare veramente sull'intera società. L'augurio è che anche in Europa si intraprenda questa strada.
sabato 13 agosto 2011
Le pericolose intenzioni di Cameron
Occorre riflettere sulla tentazione del primo ministro inglese Cameron di interrompere le messaggerie ed i social network che corrono sulla rete. Analoghi provvedimenti presi all'inizio della primavera araba, nei paesi della sponda sud del Mediterraneo e poi nello Yemen, in Arabia Saudita (dove la RIM è vietata), fino alla Siria ed all'Iran, hanno fatto giustamente gridare allo scandalo per la censura imposta alla popolazione i governi occidentali. Adesso è proprio uno di questi governi di un paese con una delle maggiori tradizioni di democrazia a volere imporre uno stop analogo. Certamente vista da ovest potrebbe anche apparire una manovra dettata dall'emergenza, ed in parte lo è, ma ad un osservatore imparziale la stonatura non può che essere evidente. Intanto accomuna le negatività del fenomeno anche agli elementi positivi, ottenendo quindi l'effetto di cancellare anche quegli elementi di democrazia che tanto hanno sono emersi grazie a questi nuovi strumenti. La misura, se presa, accomunerebbe il democratico governo inglese alle dittature arabe anche nella mancanza di interpretare in senso positivo le nuove tecnologie ed andrebbe a costituire un pericoloso precedente paragonabile alla censura della stampa. Purtroppo una fascia di benpensanti la pensa come il governo inglese, non capendo che la garanzia della comunicazione sarebbe proprio uno dei principali strumenti da usare contro la degenerazione dell'uso delle nuove tecnologie. Blindare la comunicazione è la peggior risposta possibile a fatti come quelli inglesi e dimostra anzi la scarsa capacità di azione e sopratutto di prevenzione di tali accadimenti. Inoltre un provvedimento del genere offre il fianco a facili critiche da parte di chi le ha già giustamente subite. Quello che si rischia è di presentare al mondo, a tutto il mondo, un provvedimento che alla fine mette sullo stesso piano la democrazia inglese alle dittature arabe; chi usa questi mezzi, un panorama sopratutto di età bassa, percepirebbe una sostanziale identità della misura, sopratutto paragonata alle nazioni dove è già stata presa, finendo anche per andare a frustrare le legittime ambizioni di chi combatte per la libertà dei propri popoli. Ciò pare un estremo ma l'esempio ed anche l'identificazione nei regimi democratici può e deve essere una chiave di volta nel processo di democratizzazione che molti paesi stanno affrontando.
venerdì 12 agosto 2011
L'Europa ha bisogno di unità
E' una Europa lacerata da forti emergenze, quella che il vecchio continente presenta sulla scena mondiale. La vera e propria depressione economica, peraltro comune ad altre zone del pianeta, non fa che alimentare le spaccature religiose ed il problema xenofobo, che attanaglia in particolar modo i paesi che un tempo erano famosi per il loro stato sociale, ma anche quelli mediterranei, che pur non avendo una impalcatura così strutturata, sopperivano con la loro apertura e la loro ospitalità ai flussi migratori. Il problema economico, avvertito nelle realtà quotidiane di imprese e famiglie già da tempo, è stato a lungo negato da governi chiaramente senza capacità, con la sua esplosione ha provocato la rottura degli argini della società ed alla fine tutti i nodi sono arrivati al pettine. Il fallimento della politica sia periferica, le amministrazioni dei singoli stati, che quella centrale, la UE, ha messo in luce un subitaneo bisogno di rinnovamento, che va ricercato nella maggiore competenza e nel coordinamento tra tutti gli attori sulla scena. Non è un caso che uno dei pochi organismi in grado di dare qualche direzione al caos attuale, sia stata la BCE, che con tutte le sue storture ha saputo rappresentare un punto di riferimento. Certamente è difficile guardare all'oggi con positività, tuttavia se vi è una possibilità di ricostruire e ripartire è proprio questo momento. L'euro va rafforzato e non dismesso, anche se vanno corrette alcune modalità di funzionamento della moneta unica, perchè rappresenta comunque una sicurezza a cui aggrapparsi. Il problema economico si riflette su quello sociale e politico, senza benessere tutto è più complicato ed è in questa ottica che devono convincersi gli euroscettici: una Europa nuovamente divisa sarebbe preda ancora più facile degli speculatori e dei paesi con tanta liquidità disponibile, occorre rinforzare le strutture politiche unitarie, costruendo meccanismi solidi e veloci in grado di rispondere con immediatezza alle sollecitazioni finanziarie, politiche e militari che la situazione in divenire presenta. L'attuale tendenza che vede le nazioni europee richiudersi in se stesse, cozza rumorosamente con la necessità di aumentare l'unione per fare squadra, sistema, dando una risposta al mondo che indichi unitarietà. Sulla divisione in seno alla UE, giocano sopratutto i suoi nemici, che preferiscono affrontare il vecchio continente diviso con tutti i lati deboli scoperti senza difesa. L'Europa deve guardarsi da quegli stati e da quelle organizzazioni che mirano a conquistarne le eccellenze, per depredarli e lasciare sempre più povere le sue nazioni.
giovedì 11 agosto 2011
L'assenza delle politiche di coesione sociale genera disastri
Non pare azzeccato il giudizio di chi ha bollato la rivolta inglese come un fatto di mera delinquenza. Non che una parte consistente della componente dei rivoltosi sia da definire in questo modo, ma le ragioni dell'esplosione che stanno a monte dei pesanti disordini vanno ricercate nella politica pesantemente restrittiva del governo inglese, che ha operato un consistente taglio allo stato sociale, in uno dei momenti più difficili dell'economia mondiale. Va ricordato che non molto tempo prima le proteste studentesche, per gli aumenti elevati delle tasse universitarie, avevano costituito una corposa avvisaglia del clima sociale che veniva respirato sul territorio inglese. Il governo in carica non ha chiaramente saputo interpretare la tensione sociale del paese ed ha insistito su di una politica particolarmente incentrata su tagli sociali e di posti di lavoro a cui devono sommarsi gli aumenti dei servizi essenziali. La stagnazione economica certo non aiuta a calmare la situazione, ma la cura intrapresa si sta già rivelando fatale, andando ad intaccare in modo pericoloso la coesione sociale, principale strumento di stabilizzazione di ogni programma economico. Dall'Inghilterra il passaggio all'Europa continentale è molto breve, esiste un chiaro collegamento sottotraccia con il malessere che serpeggia tra i paesi del vecchio continente ed anche oltre (si pensi anche al caso israeliano, dove il governo è stato costretto a scendere a patti con i dimostranti). La situazione economica sfuggita di mano alla politica sta generando pericolosi focolai, che rischiano in ogni momento di trasformarsi in una degenerazione continua. Siamo di fronte ad una patologia del sistema economico che può portare ad un sovvertimento della società come è andata avanti finora. Le troppe differenze create da un sistema incongruo, sono state fino adesso mitigate da un intervento dello stato proprio sul piano sociale, che ha mantenuto, in qualche modo, incanalata la rabbia, ammortizzandola con strumenti appropriati, capaci di svolgere anche, oltre ad una azione livellatrice, una azione di controllo. Il progressivo abbandono, per ragioni di costi e di mancata volontà di investimento sulla materia, di queste politiche ha liberato ampie zone di malcontento che hanno portato e possono portare a forme di rivolta che sfiorano la ribellione allo stato. Scavare fossati profondi tra le classi sociali non porterà altro che disordine ed instabilità, purtroppo la scarsa mobilità sociale è già un dato di fatto di molte realtà occidentali, la situazione, con i provvedimenti che tutti gli stati stanno adottando incondizionatamente, sembra avviarsi verso nuove spaccature sociali, incrinando la tanto decantata coesione sociale. Si è di fronte ad una crescita esponenziale delle diseguaglianze, che si è venuta a creare per ragioni che niente hanno a che fare con il merito e le capacità lavorative e professionali, ma che si basano su legislazioni assenti o peggio colpevoli, atteggiamenti degli stati che hanno favorito la crescita di ricchezze non basate sull'ulteriore creazione di sviluppo ma di mero sfruttamento delle rendite di posizione e che, quindi, costituiscono, un pericolosità sottostimata delle ripercussioni sull'ambito della costituzione ed evoluzione del tessuto sociale. Senza un cambiamento di rotta siamo purtroppo destinati ad assistere ad altri casi simili ai fatti inglesi.
martedì 9 agosto 2011
La situazione somala: interrogativo per il mondo
La situazione somala risulta essere ancora lontana da una soluzione, che almeno possa iniziare ad alleviare la condizione della popolazione. Gli ultimi successi armati delle forze governative, che dovrebbero avere ricacciato le milizie integraliste islamiche nel sud del paese, non garantiscono ancora la sicurezza necessaria per l’operativita’ delle organizzazioni internazionali. Ed anche a Mogadiscio, che dovrebbe essere ormai assicurata alle forze governative, la situazione non e’ delle piu’ sicure per le continue sparatorie che si susseguono nel citta’. Questo elemento accresce la tensione fra i responsabili delle ONG, perche’, con la ritirata di Al Shabab, le sparatorie starebbero avvenendo tra clan diversi, all’interno delle forze governative. Nonostante, la profonda incertezza, le notizie dell’arrivo degli aiuti hanno interrotto le migrazioni dal paese, ed anzi il fenomeno pare iniziare ad invertirsi con il ritorno verso la capitale somala di persone alla ricerca degli aiuti umanitari. Tuttavia la gran parte degli aiuti sono bloccati ancora nell’aereoporto della capitale somala, perche’ oltre a mancare la sicurezza si teme che gli integralisti islamici non abbiano abbandonato del tutto Mogadiscio, ma siano ancora presenti con cellule nascoste tra la popolazione per assicurarsi parte degli aiuti alimentari. Il governo per accelerare la distribuzione ha annunciato la costituzione di forze speciali che sorveglino la distribuzione e garantiscano i presidi delle ONG. Se questo dovesse avvenire la Somalia potrebbe uscire dalla fase piu’ buia della propria storia, il culmine di venti anni di guerra civile che ora si sono giunti ad una delle peggiori carestie, dovute all’eccezionale siccita’. Difficile, comunque, che la soluzione avvenga in tempi brevi, l’appoggio di Al Qaeda, garantisce ai miliziani islamici di Al Shabab ancora una capacita’ di combattimento notevole, aumentata dal controllo del sud del paese nella misura del settanta per cento, che consente basi logistiche da cui fare partire gli attacchi. Secondo alcuni osservatori, inoltre, la ritirata da Mogadiscio potrebbe essere stata di natura strategica, per non fiaccare ulteriormente la popolazione e permettere gli aiuti, almeno in una prima fase ed anche per impossessarsene di quote consistenti. Pare ormai definitivamente acclarato che senza un massiccio intervento internazionale, non solo di tipo militare, il paese non possa ripartire con le sole proprie forze. Il tessuto produttivo e commerciale risulta ormai azzerato ed occorre quindi pianificare un intervento che consenta alla nazione, prima di tutto pacificata, una autosufficienza alimentare sostenibile.
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