Politica Internazionale

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lunedì 7 marzo 2011

Gheddafi, le strategie e gli sviluppi

La strategia di Gheddafi si articola su due fronti: quello interno e quello internazionale. Sul fronte interno continua la guerriglia contro i ribelli usando le truppe mercenarie e fiaccando il popolo con violenza inusitata. Il regime del terrore imposto ai civili, anche a chi non si ribellato, significa operare la tattica della terra bruciata contro gli oppositori, scoraggiando con ritorsioni pesanti e preventive chi può ancora passare con il nemico. Per ora non si segnalano usi di armi chimiche, che il regime aveva sicuramente prima del 2003 e che doveva smaltire entro quella data. Gli scarsi controlli effettuati dalle organizzazioni internazionali preposte non permettono di affermare che lo smaltimento totale sia stato effettuato, tuttavia per ora il livello dello scontro si è mantenuto con l'impiego di armi convenzionali. Se Gheddafi non ha ancora impiegato armamenti chimici può volere dire due cose: o che lo smaltimento è stato effettuato oppure che le sorti del conflitto non sono poi così negative al dittatore, che se intende procedere con l'impiego delle armi convenzionali, intravede possibilità di successo. Sul piano internazionale Gheddafi alterna minacce all'Europa, che paiono però verosimili (immigrazione di massa, Al Qaeda), con rivendicazioni di non ingerenza (sopratutto verso Francia e Regno Unito) non riconoscendo però la natura non democratica del suo regime. Frattanto una nave militare italiana ha attraccato a Bengasi per portare aiuti umanitari nella capitale dei ribelli, che richiedono con forza l'aiuto internazionale anche in forma militare. I prossimi giorni potrebbero vedere combattimenti sanguinosi per l'obiettivo della Sirte, il golfo dove arrivano gli oleodotti, obiettivo strategico sia per Gheddafi che per i ribelli, la chiave energetica che può dare la svolta alla guerra.

domenica 6 marzo 2011

Libia: la divisione tribale ed il pericolo Somalia

Con il passare dei giorni e delle ore il conflitto libico registra sempre di più un equilibrio allarmante. Il rischio concreto è di avere un situazione del tipo di quella somala a poche ore dal cuore dell'Europa. La condizione del paese somalo è un drammatico susseguirsi di instabilità e di violenze, un mix tra nazionalismo ed estremismo religioso, lontano dalla risoluzione. Con la Libia condivide l'antico colonialismo italiano, ma sopratutto l'assenza di una articolazione sociale che faccia da cuscinetto tra le avverse fazioni. La Libia è uno stato artificiale, composto da tre grandi territori: Tripolitania, Cirenaica e zona desertica, che prima del 1951 non stavano assieme, l'identità nazionale è artefatta, costruita sul collante del petrolio e sul culto di Gheddafi, peraltro imposto con la violenza. La divisione tribale è l'unica struttura presente sul territorio, non esistono sindacati, partiti politici clandestini o in esilio. La divisione tribale è a compartimenti stagni, non vi è scambio culturale tra i diversi clan, che hanno maggiore affinità con i popoli delle rispettive nazioni di confine: Egitto, Tunisia ed Algeria. Insomma un quadro particolarmente diviso in un paese molto ricco, già per gli standard africani, ed ancora di più potenzialmente, in un supposto quadro che preveda una maggiore e più equa suddivisione del reddito. In questo panorama l'anomalia è il tessuto urbano dove si è incubato ed è scoppiato il seme della rivolta, che a seguire si è esteso alla società tribale. Non che i clan vivano al di fuori dei centri urbani, anzi spesso sono i protagonisti della vita sociale perchè detengono posti chiave dell'amministrazione di Gheddafi, che non è un monolite, ma perchè, pur, a volte, non condividendo la politica del rais, mantenevano le loro nicchie conservando il potere che gestivano. La scintilla della rivolta ha provocato, tra l'altro, la consapevolezza tra la società tribale di muoversi allo scoperto contro o a favore di Gheddafi. Rotto il fragile equilibrio lo scenario futuro si può prefigurare come una continua guerra per il predominio del paese da parte di un gruppo o di un'alleanza di gruppi tribali sugli altri, oppure si può immaginare una divisione pacifica del territorio libico sulla base delle diverse zone occupate dalle diverse tribù, secondo la consuetudine della stanzialità. In questo caso sarebbe la fine della Libia come nazione, come è stato fino ad ora. Se la seconda eventualità potrebbe avere effetti meno cruenti, anche se la presenza dell'oro nero costituirà un dosso difficilmente negoziabile, la prima ipotesi prevede scenari inquietanti. Uno stato in guerra incastonato tra regimi in caduta libera, sulla costa mediterranea e con ingenti riserve energetiche, presenta un ordigno difficilmente disinnescabile, le conseguenze economiche e sociali sarebbero particamente ingestibili da paesi oltretutto in crisi economica. A monte di tutto il fattore Gheddafi, il primo da togliere dalla scacchiera per avere una possibilità di soluzione il più veloce possibile.

sabato 5 marzo 2011

L'Assemblea del popolo cinese richiede maggiore stabilità

La riunione dell'Assemblea del popolo cinese sta fornendo indicazioni sulla direzione verso la quale intende muoversi il colosso di Pechino. Sono indicazioni sostanziali che registrano un malessere diffuso nella popolazione e che sono i veri temi su cui si misurerà la Cina nel futuro prossimo. Il nemico cinese è al suo interno ed è lo sviluppo economico spinto oltre ogni limite con le sue storture che si vengono a creare in maniera naturale. L'ammissione in sede ufficiale che le profonde diseguaglianze giunte alla corruzione elevata creano un malessere sociale diffuso è un fatto nuovo ed importante per la compassata burocrazia di partito, la presa d'atto che queste sono di ostacolo ad un fluire più normale della vita dei cittadini e quindi dello stato, pone domande concrete sulla loro risoluzione. L'obiettivo principale dichiarato è la maggiore stabilità, senza la quale l'impalcatura stessa del sistema statale attuale rischia di incrinarsi. E' chiaro, che alla fine il risultato da raggiungere è la conservazione dell'attuale forma di stato, dove devono convivere le regole del comunismo politico con le regole economiche del capitalismo, senza allargare le maglie del controllo politico istituzionale a favore della obiezione. La leva maggiore dei movimenti per la democrazia in Cina è proprio la sottolineatura costante della diseguaglianza e della corruzione dilagante, sono i punti forti che permettono di incrementare e canalizzare lo scontento di masse enormi, proprio perchè sono ragioni talmente evidenti e preticamente impossibili da smentire. I governanti cinesi si sono resi conto della ragione degli oppositori e per questo intendono far mancare loro il terreno di coltura. Alla fine, seppure con obiettivi diversi sia lo stato, che l'opposizione fuorilegge, convergono sulle ragioni delle storture del sistema. Il problema è il metodo per combetterle: l'Assemblea del popolo farà discendere dall'alto la legislazione ed i metodi senza un'efficace azione di controllo e di contrappeso come richiesto dai movimenti per i diritti civili. Sia come sia il problema è diventato talmente esteso e pericoloso che la presa d'atto ufficiale è un segnale forte, peccato che le masse saranno anestetizzate con ancora maggiore consumismo.

venerdì 4 marzo 2011

La Cina modernizza le sue forze armate

La Cina intende ammodernare il suo esercito al ritmo della sua crescita economica, la necessità di competere al livello degli Stati Uniti è data da una serie di ragioni geopolitiche che indirizzano la scelta cinese ad innalzare il livello qualitativo dell'esercito più grande del mondo. Sono infatti 2, 3 milioni i componenti delle forze armate della Repubblica Popolare, quindi la quantità non è un problema per i reclutatori di Pechino. Fino ad ora le forze armate cinesi hanno avuto una natura difensiva, anche in ossequio all'indirizzo della politica internazionale di Pechino fondato sulla teoria del non intervento. Una delle principale ragioni della possibile inversione di rotta è l'attivismo degli USA nella regione del Pacifico che comprende i Mari del Giappone e della Cina Orientale e gli stati di Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Pechino non gradisce la presenza costante della flotta americana in quelle acque e mira a contrapporre una flotta ugualmente equipaggiata, in casi di bisogno. Inoltre per interpretare il ruolo di grande potenza dovrà adeguare la teoria del non intervento in una politica internazionale più attiva, che comprenda un ruolo importante nelle missioni umanitarie e nelle operazioni militari di pace. Per recitare un ruolo importante nel teatro diplomatico che conta, la Cina deve modificare il suo ruolo di potenza economica che non collima con quello di comprimario internazionale. L'ammodernamento militare è il primo passo per andare in quella direzione.

La Corea del Nord e la paura dei palloncini

La Corea del Sud sta praticando una guerra psicologica con il Nord, che risulta avere tanto infastidito da minacciare rappresaglie militari e surriscaldando di nuovo le relazioni tra i due paesi. Sull'onda delle rivolte dei paesi arabi e nella speranza che un qualcosa di analogo si verifichi anche nella parte Nore della Corea, Seul ha iniziato a bombardare i vicini con palloncini che portano messaggi contenenti esortazioni alla ribellione al regime di Pyonyang. La condizione della vita dei nordcoreani versa in una situazione preoccupante per la mancanza di generi alimentari e la per la carenza di energia, è una popolazione fiaccata da anni di povertà sia materiale che ideologica, dove appare difficile la possibilità che si possa sviluppare un movimento di opposizione al regime. Il clima creato negli anni dai governanti è quello di un perenne stato di assedio del paese, dove alla popolazione viene fatto credere di trovarsi accerchiata da nemici, che vogliono scalzare l'ordine costituito, che è anche il migliore possibile. I mezzi di comunicazione sono in mano all'élite del paese, qui non è come nei paesi arabi, facebook e twitter non sono strumenti diffusi ed i palloncini, od i messaggi in bottiglia, sono ancora l'unica forma di comunicazione possibile, ancorchè in una sola direzione. Tuttavia il regime nordcoreano, in questo comune a tutte le dittature del mondo, teme l'effetto nordafrica. Il grado di isolamento è talmente elevato da temere anche dei bigliettini attaccati a pezzi di plastica gonfiati. Ma il grado di paura della popolazione è tale da escludere forme di ribellione per la paura delle severe punizioni. Soltanto un intervento esterno può migliorare la vita dei nordcoreani.

Se vince Gheddafi?

La tattica attendista di Gheddafi incomincia a dare i suoi frutti. La proposta di mediazione di Chavez, seppur proveniente da un leader con scarso appeal internazionale, rompe di fatto l'isolamento diplomatico del rais di Tripoli. E' un punto a favore di Gheddafi, che mantenendo l'impegno militare per riconquistare terreno, può contare sull'immobilismo occidentale impantanato nelle paludi delle discussioni diplomatiche. Le infinite discussioni sull'intervento e sul non intervento sono, fino ad ora, il miglior alleato per Gheddafi. Da un lato gli consentono una libertà di azione militare che gli permette di tenere in vita il regime, dall'altro lato, conseguenza del primo, guadagna tempo prezioso per elaborare una strategia che gli consenta di presentarsi ad eventuali negoziati con argomenti sostanziosi in mano. Se Gheddafi non cadrà per mano militare non cadrà n alcun altro modo; è da escludere la via politica, non ci saranno mai elezioni e se anche ci fossero, con il rais al comando sarebbero una farsa. Altrettanto da escludere la via diplomatica da concludersi con un fantomatico esilio: se Gheddafi mantiene il controllo su di almeno una parte della Libia non mollerà mai il potere. Una permanenza di Gheddafi apre scenari imprevedibili sia sul piano della politica internazionale, sia su quello della sicurezza ed infine sia su quello economico. Sembrerebbe strano se il colonnello di Tripoli non la facesse pagare all'occidente, che ha operato nei suoi confronti un voltafaccia, seppur timido. Tripoli potrebbe allearsi con paesi come l'Iran, offrendo i suoi porti alle navi della repubblica teocratica, così l'Italia avrebbe davanti a se, ad esempio, un pericolo costante. Da non trascurare una possibile alleanza con Al Qaeda, che potrebbe trovare una base in pieno Mediterraneo. In una situazone del genere sarebbe ingestibile anche il problema dei profughi, che tornerebbero ad essere, ma all'ennesima potenza, strumento di pressione e di ricatto. Anche con una Libia dimezzata Gheddafi sarebbe un pericolo per la stabilità ed anche per la pace della regione e dell'intero Mediterraneo. Sarebbe incomprensibile se queste riflessioni non fossero state fatte dalle cancellerie occidentali: lasciare al potere il cane pazzo, come lo chiamava Reagan, sarebbe una fonte di problemi enormi. Intanto la battaglia è in una sorta di stallo dove se ci potrà essere un vincitore questi, senza intervento esterno, è il rais di Tripoli. Alle organizzazioni internazionali ed alle potenze occidentali il dovere di una risposta.

giovedì 3 marzo 2011

Libia: il paradosso della decisione della zona di non volo

Ancora dubbi e tentennamenti su di un possibile intervento militare in Libia. La paura di turbare il mondo arabo, urtandone la suscettibilità ed incrinando l'immagine che Obama sta cercando di costruire per gli USA, è il principale ostacolo sulla strada per intervenire nella guerra libica. Anche la soluzione dell'adozione di una zona di non volo, ritenuto l'espediente più praticabile per il ridotto impiego di uomini, può essere interpetata, dal mondo arabo, come una possibile invasione. L'avversione alla bandiera a stelle e strisce o anche a quella dell'ONU, se inviata dall'occidente, è ancora troppo forte nei paesi arabi per non generare una gamma di rischi che va dalla caduta di immagine fino a possibili attentati terroristici. Questo timore crea un'impasse che la presenza delle navi militari nel Mediterraneo non frena. La soluzione intravista è quella diplomatica, infatti si cerca l'assenso della Lega Araba per l'applicazione della zona di non volo, che permetterebbe di impedire i bombardamenti da aerei o elicotteri sugli insorti. La stessa Lega Araba cerca l'assenso dell'Unione Africana, presumibilmente per coinvolgere più soggetti ed incamerare il maggior numero di soggetti del panorama internazionale. Ma niente si muoverà finche non sarà l'ONU a promulgare una risoluzione che preveda la zona del non volo. Se opzione militare ci sarà dovrà necessariamente essere sotto l'ombrello delle Nazioni Unite. Ed è proprio in seno all'ONU che si deve vincere la ritrosia di Russia e Cina, preoccupate di creare un precedente, che venga poi impiegato a danno dei loro interessi. Ci si trova in un circolo vizioso di veti incrociati e paure che determinano un immobilismo irresponsabile, mentre Gheddafi cerca disperatamente di passare al contrattacco.