Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

venerdì 8 aprile 2011

La UE prova e regolare la questione delle migrazioni

Finalmente l'Europa si accorge di dover esercitare la sua potestà e chiama i rappresentanti dei ventisette per cercare un accordo per ripartire il gran numero di rifugiati, dovuti alla guerra libica ed alla rivolte nei paesi arabi.
La situazione, fino ad ora, è stata contraddistinta da continue schermaglie tra Italia e Francia, sopratutto sul piano diplomatico e materialmente lungo la frontiera tra Ventimiglia e Mentone. L'Italia si trova nel paradosso di avere la legge anti immigrazione più dura del continente e ed essere nel contempo vittima di una ondata migratoria notevole, proprio perchè non in grado di applicarla. Il governo italiano, che non riesce a trovare un accordo con le regioni per la distribuzione sul proprio territorio dei migranti, ha elaborato un'escamotage tecnico per aggirare la sostanziale chiusura del trattato di Schengen da parte della Francia: vengono infatti rilasciati dei regolari permessi temporanei, che di fatto, permettono ai possessori di passare in modo legale le frontiere. La protesta della Francia, ma anche di Germania e Belgio, ha determinato l'intervento della UE, che dovrebbe emettere una direttiva per sancire la divisione dei profughi tra tutti i paesi componenti l'unione.

Prime concessioni del governo siriano

n Siria il regime, messo all'angolo dalle manifestazioni, inizia a condedere diritti alla minoranza curda, ai conservatori sunniti ed alle famiglie delle vittime della repressione.
Particolarmente significativa la concessione della nazionalità ai curdi, che dal 1962 ne erano privati, essendo, di fatto stranieri in patria. Si tratta di circa 320.000 persone, ritenuti potenzialmente pericolosi per il regime. Con questa misura si cerca di mantenere calma una zona al confine siriano, che potrebbe sollevarsi su istigazione della popolazione curda oltreconfine.
Inoltre sono stati liberati anche 48 curdi, precedentemente incarcerati per le manifestazioni dei giorni scorsi.
Una ulteriore misura è stata quella di riassorbire 1.200 dipendenti statali al loro posto di lavoro, dopo che lo scorso anno furono espulsi dall'amministrazione statale.
L'impressione è che queste misure costituiscano un tentativo di pacificare la situazione, ma non risolvano il problema di fondo che è costituito dalla richiesta di democrazia e maggiori diritti. Quello che si attende è una nuova ondata di proteste per ottenere che vengano riconosciuti maggiormente i diritti fondamentali, affossati dalla legislazione del 1962.

La tattica israeliana per il riconoscimento della Palestina

Israele ottiene dalla Germania che non ci sarà nessun riconoscimento ufficiale, da parte dello stato tedesco, di uno stato palestinese autoproclamato. Netanyahu teme molto che una eventuale proclamazione unilaterale da parte dell'ANP provochi una serie di riconoscimenti statali, che obblighino Israele nell'angolo; per Tel Aviv vorrebbe dire essere scavalcato nel ruolo di protagonista assoluto ed unico gestore della situazione. L'appoggio tedesco garantisce ad Israele un partner di primaria importanza e permette di risolvere un antico contrasto con la Germania. La Merkel ha espressamente dichiarato che il presupposto per il riconoscimento dello stato palestinese deve essere una soluzione condivisa tra ANP ed Israele. Incassato questo successo Israele non ha in realtà, battuto la pista giusta. L'accordo con la Germania assicura una visibilità notevole, tuttavia non è un paese arabo e l'influenza tedesca sulla regione è pressochè nulla. Netanyahu insiste nella sua strategia che non pone al centro delle trattative i paesi confinanti con l'area israelo-palestinese, continuare ad evitare interlocutori arabi o comunque favorevoli alla costruzione di uno stato palestinese non fa partire alcuna trattativa costruttiva sull'annoso problema. Tel Aviv gioca una partita soltanto dove è facile ottenere risultati, ciò fa parte del più complesso programma che intende rimandare sine die la questione palestinese in attesa di eventi più favorevoli. Il punto debole è che questa strategia è stata elaborata prima delle rivolte arabe, quando Israele poteva contare su punti fermi di sicuro affidamento. Il ribaltamento della situazione in Egitto, la rivolta in Siria ed in Giordania, dovrebbero avere cambiato i piani di Israele, che, invece procede imperterrito sulla condotta intrapresa. La mancanza di flessibilità nella diplomazia israeliana potrebbe creare un grave fattore, dannoso per la stabilità regionale e per lo stesso destino della nazione della stella di Davide.

giovedì 7 aprile 2011

La guerra segreta di Israele con l'Iran

Nei giorni scorsi una vettura con due cittadini sudanesi ed in territorio sudanese è stata colpita da un attacco aereo ad opera di un velivolo non identificato. La diplomazia sudanese ha affermato di essere certa che l'aereo era israeliano. Dal canto suo Israele nega ogni addebito
ma diversi elementi confermerebbero questa pista. Il traffico d'armi dall'Iran ad Hamas attraversa il terrritorio sudanese, dopo essere partito dal porto di Bandar Habbas; già nel 2009 un convoglio era stato attaccato dal cielo al confine tra Sudan ed Egitto, con 119 vittime.
La finalità di questi raid è di bloccare il traffico d'armi sofisticate con cui l'Iran rifornisce Hamas; la capacità militare e tecnologica israeliana può arrivare facilmente a colpire obiettivi fuori dal suo territorio grazie alla disponibilità di droni, aerei senza pilota, che vengono guidati dalle basi dell'esercito della stella di David.
La guerra sotterranea con l'Iran, raprresenta uno dei fronti, "caldi", di Tel Aviv, che monitora continuamente le vie battute dai fornitori d'armi; tuttavia la priorità è sabotare il programma nucleare di Teheran con attacchi informatici che bloccano i programmi iraniani e con attentati le cui vittime sono esperti nucleari che collaborano con la repubblica teocratica.

La grana laicità per Sarkozy

All'interno del partito del presidente Sarkozy infuria il dibattito sul laicismo. La politica intrapresa dall'UMP per ricercare una propria via alla laicità dello stato è andata a cozzare contro l'emorragia di voti nella recente tornata amministrativa, a favore dell'estrema destra di Marine Le Pen. In realtà la debacle è stata causata dal grande tasso di astensionismo giunto alla scarsa efficacia del programma di governo sul fronte interno, nei temi economici e sociali. Tuttavia la paura di perdere ulteriori consensi, ha scatenato il dibattito all'interno del partito; quello affrontato è uno scenario con una lama a doppio taglio, perchè, se da un lato, le istanze della società civile francese, anche in ambito conservatore, vanno nella direzione di una domanda di maggiore divisione tra stato e religione, quindi una progressiva laicizzazione, dall'altro lato nelle regioni più interne e maggiormente tradizionaliste, un processo che favorisca un atteggiamento più laico dello stato, appare come una abdicazione di fronte all'avanzata della religione musulmana, che ormai conta cinque milioni di fedeli nel territorio francese. D'altro canto anche l'elettorato musulmano rappresenta una grossa fetta di votanti a cui il processo di laicizzazione potrebbe non essere gradito, proprio per le norme concrete che si intendono proporre (valga per tutti l'esempio di vietare le manifestazioni di culto al di fuori delle aree religiose). L'UMP, appare quindi, in un vero e proprio "cul de sac", in vista delle elezioni presidenziali francesi del prossimo anno. Sarkozy, con questo tema, pensava di sfondare nell'area di centro sinistra, proponendo una immagine nuova del suo partito; l'avanzata di Marine Le Pen lo costringerà a rivedere i propri piani.

La Cina alza ancora i tassi di interesse

Ulteriore innalzamento dei tassi di interesse in Cina nel tentativo di raffreddare ancora il fenomeno inflattivo andato ben oltre le previsioni elaborate dal governo di Pechino. Quello che viene temuto è lo scoppio di una bolla speculativa che trascini l'economia cinese in un vortice pericoloso per tutta l'impalcatura della struttura produttiva. Dove non riescono i governi, pare che sia l'economia stessa a regolare il sistema, la misura appare un apprezzamento della moneta cinese, proprio quello che è stato sempre rifiutato da Pechino ai governo occidentali. L'economia globale ha così la meglio sui programmi degli economisti cinesi, che puntavano a mantenere basso il valore dello yuan, per mantenere alto il livello delle esportazioni; ma il punto a cui è arrivata l'economia cinese non permette il valore artefatto della moneta, pena una inflazione pericolosa. Sul fronte dell'espansionismo cinese continua la strategia che punta ad aumentare la propria influenza mediante prestiti superconvenienti a stati in difficoltà. L'ultima frontiera sono i paesi del pacifico, gli stati arcipelago, che non godono di floridezza economica ed i prestiti cinesi, particolarmente convenienti, sono un vero e proprio toccasana.

Nuovi ingressi nella coalizione dei volenterosi

Il secondo paese arabo, dopo il Qatar, entra a far parte della coalizione dei volenterosi, si tratta della Giordania, che sta partecipando all'azione con un proprio velivolo.
Secondo fonti non ufficiali, anche aerei degli Emirati Arabi Uniti si sarebbero levati in volo sulla Libia. I nuovi membri dell'alleanza sono particolarmente significativi perchè assicurano all'operazione un ulteriore assenso proveniente dai pesi islamici e pongono Gheddafi ancora più nell'angolo dell'isolamento.
Sul fronte puramente militare la difficoltà che patiscono i piloti alleati è quella di distinguere gli appartenenti dei due schieramenti, perchè le truppe lealiste hanno ora montato le mitragliatrici sui pick up, proprio come i ribelli.
Intanto il tiepido atteggiamento USA riguardo all'appoggio armato dipende dalla perplessità per la composizione del governo dei ribelli; gli americani temono che dietro i rivoltosi possano esserci elementi provenienti da flenge estremiste. Perplessità condivisa con la Turchia, a cui Bengasi attribuisce scarso impegno nella battaglia. Se questo è vero, per Ankara è anche una occasione per pesare di più nell'area del Mediterraneo, la Turchia sta, infatti, praticando una tattica avvolgente per ergersi a punto di riferimento dei paesi musulmani dell'area, discorso che porta avanti, in Libia, praticando una sorta di stop and go degli aiuti militari per accrescere la sua capacità
di influenza.