Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

giovedì 10 marzo 2011

Riflessioni sulle energie alternative

Lo shock petrolifero per le rivolte arabe pone le economie in affanno, proprio mentre si manifestavano i primi timidi segnali di ripresa. L'ennesimo intoppo ad una economia mondiale in difficoltà è dovuto al problema energetico come causa scatenante ma in realtà la colpa è da ascrivere alla mancata pianificazione e programmazione dell'impiego delle energie alternative. Il mondo procede in ordine sparso sul tema e tattiche improvvisate non suppliscono al problema. Basta un blocco della Libia, che produce il 2 % del petrolio mondiale, per innescare un rialzo dei prezzi generalizzato che mette in seria difficoltà tutto il processo produttivo. L'indipendenza energetica, per molti paesi, non è materialmente possibile, tuttavia, abbassare la quota dell'uso del petrolio è dovuto, oltre che all'ambiente anche allo sviluppo economico. Per prima cosa manca una strategia comune che crei un network progettuale per ottimizzare e potenziare le risorse almeno entro quegli organismi sovranazionali, ove esistenti, come ad esempio l'Unione Europea. Esiste già una cultura ambientalista sviluppata, ed il problema ambientale rientra sempre di più nella sensibilità e nei programmi di governo, tuttavia lo sforzo economico per la promozione delle energie alternative e rinnovabili non consente quel passo avanti necessario per incidere sulla economia globale, cioè per avere un tornaconto monetizzabile nei bilanci dello stato. Le leggi sono spesso contrastanti e gli interessi in gioco non favoriscono appieno l'indirizzo energetico alternativo, ed anche le politiche aziendali puntano a rendimenti immediati e non di medio o lungo periodo, il dividendo azionario è preminente sul bene comune. Questo è dovuto all'assenza di politiche fiscali che permettano il raggiungimento di obiettivi a lunga distanza, perchè anche il bilancio statale è sempre più soggetto a ristrettezze economiche dovute a vincoli sempre più ferrei. Tutte queste ragioni non sono proprie solo di alcuni paesi ma si possono applicare alla quasi totalità delle nazioni, escludendo i soli grandi produttori petroliferi, tanto è vero che anche produttori petroliferi come l'Iran (1,9% di produzione del mondo) vogliono puntare sull'energia nucleare (affermando che è per usi pacifici). La presa d'atto della necessità dell'energia alternativa è ormai un dato di fatto resta la necessità di un coordinamento a livello sovranazionale che sia efficace e dia l'impulso necessario alla partenza di quello che sarà il business del futuro.

mercoledì 9 marzo 2011

Aumentati i civili deceduti in Afghanistan a causa del conflitto

Nel 2010 le vittime civili del conflitto afghano sono salite del 15% rispetto al 2009, salendo a 2.800 deceduti. La fredda statistica è completata dalla percentuale del 75% di assassinii causati dai gruppi Talebani o integralisti presenti nel paese. La strategia fondamentalista è stata di incrementare gli attentati mediante martiri di Allah, uomini, o donne, imbottiti di tritolo, che hanno colpito obiettivi comuni come mercati, piazze o manifestazioni, oppure usare autobomba nel mezzo dei centri abitati. Lo scopo è quello di fiaccare il popolo afghano, creando un clima di terrore per impedire una occidentalizzazione del paese. La recente tattica predisposta da Obama è stata quella di affiancare allo strumento militare, una collaborazione con le strutture dello stato afghano, potenziando le scuole, gli ospedali ed in genere tutti quegli apparati che favoriscono la crescita civile della nazione. Si è, insomma, cercato di togliere terreno al consenso che i Talebani hanno presso la popolazione. Nelle zone di influenza degli estremisti, al Sud ed al confine con il Pakistan le penetrazione di questi mezzi pacifici è stata più difficoltosa e la NATO continua l'offensiva militare, tuttavia l'opinione pubblica ed anche l'ONU vedono già con preoccupazione l'avvicinarsi della data del 2014, quando ci sarà il ritiro delle truppe alleate e la gestione della sicurezza sarà nelle mani dello stato afghano. L'impennata della violenza, con cui i Talebani contrastano la NATO potrebbe non essere gestibile dalle sole forze di Kabul.

L'aumento artificioso del petrolio greggio

L'avanzata dei prezzi del greggio continua senza tregua, raggiunti i 116 dollari al barile, l'innalzamento del petrolio rischia di affogare la tanta agognata ripresa. La guerra libica, con la conseguente fermata di produzione di greggio è la responsabile della salita dei prezzi. Per colmare questo gap l'Arabia Saudita, per prima, seguita da Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Nigeria, aumenteranno la produzione del petrolio con l'intenzione di fare scendere il prezzo al barile. Si parla di un incremento consistente, per l'Arabia la produzione è già stata aumentata di 700.000 barili, mentre gli altri tre produttori riusciranno ad aumentare la loro produzione complessiva di 300.000 barili, ma solo ad inizio Aprile. Al momento si tratta di una strategia concordata solo dai quattro paesi che non è coperta dal benestare dell'OPEC, che, di fatto, non ha intrapreso alcuna strategia valida per tutti gli aderenti. Si è al corrente di consultazioni tra i paesi membri, ma si tratta soltanto di colloqui informali. E' chiaro che all'interno dell'OPEC sono presenti due linee di pensiero, che vertono su chi intende raffreddare la salita del prezzo, per contrastare il fenomeno inflattivo e chi, al contrario, preferisce trarre guadagno immediato, speculando sui fatti bellici in corso. In effetti la giustificazione della guerra libica, con la conseguente diminuzione della produzione appare artificiosa, giacchè la percentuale di greggio libico ammonta al solo 2 per cento del totale mondiale, di conseguenza l'aumento vertiginoso del prezzo al barile pare una pura manovra speculativa, anche alla luce del fatto che le aziende di raffinazione non pare abbiano riscontrato difficoltà nell'approvigionamento di greggio.

La UE stanzia 6.000 milioni di euro per le ex dittature

In una Unione Europea, che procede in ordine sparso, nei confronti della guerra libica, l'organismo centrale pensa già, giustamente al dopo e non solo nei confronti di Tripoli. Lo stanziamento per favorire la democratizzazione dei paesi che intendono proseguire sulla strada delle riforme democratiche e dei diritti civili sarà di 6.000 milioni di euro. Non solo un aiuto, ma un vero e proprio investimento per avere degli interlocutori che non siano più dittature. A parte i primi 30 milioni di euro destinati agli aiuti immediati, il resto del consistente finanziamento sarà destinato a sviluppare la vita democratica di paesi dove tale indirizzo politico non è praticamente mai esistito, si tratterà di formare intere popolazioni all'esercizio dei diritti civili e politici, allo sviluppo di quelle associazioni, come partiti o sindacati, che costituiscono la spina dorsale di ogni paese democratico e che sono sempre stati soffocati dalle dittature. Non saranno trascurati aspetti economici che dovranno favorire lo scambio e l'accesso ai mercati ai popoli della sponda sud del Mediterraneo, lo sviluppo delle energie rinnovabili e la formazione professionale. La direzione presa dalla UE pare andare verso una collaborazione fattiva con le ex dittature in un quadro, che nel futuro potrà essere di reciproca collaborazione specialmente sui problemi comuni, che non sono pochi essendo su sponde opposte di uno stesso mare.

La tattica francese in Libia

L'attivismo francese nei confronti del regime di Gheddafi scopre una realtà, secondaria allo sviluppo del conflitto, ma che scopre un velo sui rapporti all'interno della stessa Unione Europea. La Francia già da tempo ha messo gli occhi sulle commesse libiche e sullo sfruttamento dei giacimenti energetici. Il principale partner commerciale di Gheddafi è storicamente l'Italia, cui il rapporto con il dittatore libico è passato indenne attraverso governi di ogni colore e durata. Le commesse ed i contratti di fornitura hanno assicurato all'Italia notevoli introiti e riserve energetiche sostanziose. Ora con il regime in bilico e sull'orlo del collasso, fin da subito la Francia ha allacciato rapporti con i leader degli insorti per invertire la direzione commerciale del business del futuro stato libico. La Francia, inoltre punta ad estendere il proprio potere di infuenza politica nella sponda sud del Mediterraneo: dopo Marocco ed Algeria, la Libia, o che quello che deriverà dalla guerra, potrebbe andare ad aggiungersi alla sfera dei rapporti privilegiati di Parigi. Quella che si sta concretizzando è una battaglia diplomatica sottobanco per assicurarsi un rapporto privilegiato con le ricchezze libiche. Non molto filtra da questo campo di battaglia, ma l'impulso dato dalla Francia per la risoluzione ONU, rivela un insolito interesse di Parigi per la Libia. L'Italia dal canto suo, ha optato per una politica sottotraccia, un poco pavida, nei confronti dell'alleato Gheddafi, quasi ad aspettare la direzione della risoluzione del conflitto. Tuttavia, gli aiuti italiani giunti a Bengasi, quindi ai ribelli, con la marina militare, sono stati il primo gesto concreto di una potenza europea agli insorti; pare quasi che la diplomazia italiana abbia scelto una via poco vistosa con i ribelli, forse a causa dei tanti soldi investiti dallo stato libico di Gheddafi nelle maggiori industrie italiane. Per il nuovo stato libico che potrà nascere già previsto quindi un ruolo di arbitro tra le potenze europee.

martedì 8 marzo 2011

Prime divisioni nel clan Gheddafi

Spaccatura nel clan Gheddafi, tra la fazione dello scontro ad ogni costo e la fazione della trattativa. Il sintomo sarebbe stata una sparatoria all'interno della caserma dove è asseragliato il rais, scoppiata intorno ad una lite per la possibile soluzione del conflitto. Le divergenze segnalano un morale tutt'altro che alto, con le persone più vicine a Gheddafi, i figli e la famiglia in genere, favorevoli all'uso di ogni possibile mezzo militare per stroncare definitivamente la rivolta, il che è già un indice di grossa difficoltà, mentre i dignitari sarebbero più propensi ad una trattativa che possa permettere una via d'uscita che garantisca l'incolumità. Aldilà delle dichiarazioni di vittoria e dell'uso dei bombardamenti aerei, la parte in conflitto leale al leader libico comincia a temere concretamente un esito diverso del conflitto da quello sperato. La zona sotto il dominio di Gheddafi è sempre maggiormente sottoposta all'assedio dei ribelli, mentre in ambito internazionale la pressione diplomatica si accentua, anche grazie all'intervento della Lega Araba espressamente in favore di una creazione di una zona di non volo in territorio libico. Intanto si susseguono le voci per una immunità per il Rais in caso di resa: la prima voce voleva che l'offerta fosse partita dallo stesso Gheddafi e rifiutata dai ribelli, mentre, successivamente, sembrerebbe partita dai ribelli ma rifiutata dall'entourage del capo libico. In ogni caso sembrerebbe che una trattativa sia stata in qualche modo intavolata per mettere fine al massacro e sopratutto per garantire una via di uscita per il rais. Difficile dire verso quale paese possa concretizzarsi l'esilio di Gheddafi, anche se Chavez ha più volte manifestato la volontà di mettere in atto una mediazione tra le parti ed ha manifestato simpatia per il capo libico. Se questa via d'uscita prenderà corpo il nodo da sciogliere saranno le ricchezze dei Gheddafi, provenienti dal patrimonio nazionale ma di fatto incamerate dalla famiglia; le numerose partecipazioni azionarie e fondi comuni costituiscono una fortuna ingente già bloccata in diversi stati, tra cui, però, non sembra figurarel'Italia.

Arabia Saudita: un paese due comportamenti

Nella parte est dell'Arabia Saudita cova la protesta. In questa porzione del territorio del regno la popolazione è scita, minoranza nel totale del paese. Gli sciti protestano per la discriminazione sociale a cui sono soggetti, che si concreta con pesanti differenze circa il lavoro e le retribuzioni. Il governo saudita ha negato queste discriminazioni, ma il Re, al suo rientro in patria dopo tre mesi per motivi di salute, ha subito stanziato la somma di 26 milioni di euro, come sovvenzioni pubbliche. Un gesto interpretato per calmare la rivolta. Frattanto però, è stato anche mobilitato l'esercito, inviato nella zona per impedire eventuali allargamenti della protesta, che potrebbero sfociare in manifestazioni più eclatanti. L'Arabia Saudita è una monarchia, senza costituzione, perchè la legge fondamentale è il Corano, stesso e dove vige la legge islamica. Proprio alla legge islamica si appella il governo per impedire le manifestazioni di protesta, che inoltre violano la tradizione del regno. La minaccia dell'uso della forza giunta agli stanziamenti economici ed alla promessa di consultazioni elettorali, ma solo a livello locale, mira a scongiurare una deriva di manifestazioni di piazza che possano minare la stabilità dello stato. L'Arabiaper la Libia invoca l'intervento della NATO, ma al suo interno minaccia una repressione, che potrebbe anche essere feroce , mostrando al mondo un doppio atteggiamento mancante di coerenza politica. L'atteggiamento saudita svela una forte preoccupazione, innanzitutto per la mancata abitudine a proteste entro i propri confini ed anche all'atteggiamento da seguire per la gestione di questa manifestazioni, inoltre la preoccupazione è data anche dal fatto di essere praticamente circondata da paesi oggetto di continue proteste. Quello che si teme è che il tanto decantato effetto domino, si abbatta anche entro i confini del Regno. Tuttavia se la legislazione ed i metodi di governo continueranno nello stesso solco è inevitabile che l'Arabia Saudita vada incontro a nuove sollevazioni, ed anche l'instaurazione di democrazie in paesi vicini come l'Egitto favoriranno sempre di più i processi di emulazione.