Politica Internazionale

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domenica 3 aprile 2011

Il protagonismo di Sarkozy

Sarkozy cerca disperatamente la ribalta internazionale; vuole imporsi come protagonista dell'agone diplomatico e ricerca continuamente visibilità. La sua strategia gli impone un superlavoro diplomatico che lo porta a viaggiare incessantemente e senza sosta. Giappone, Costa d'Avorio, Cina: il presidente francese pare avere il dono dell'ubiquità e mentre incontra Cameron o la Merkel pianifica l'intervento in Libia. Cosa c'è dietro a questo tour de force, perchè Sarkozy si affanna in questa maniera per assicurarsi il centro della scena? Forse il problema va ricercato nella non buona situazione di casa, dove il suo partito arranca e dove i sondaggi non gli garantiscono la rielezione nelle prossime presidenziali. Il piano di Sarkozy è quello di risvegliare il sentimento della grandeur francese, riportare al centro della scena internazionale la Francia, come protagonista assoluta nella politica estera mondiale, farne, cioè, un nuovo soggetto mondiale capace di trovare una propria influenza in grado di dirigere e risolvere le problematiche mondiali, una sorta di nuova superpotenza al di fuori dagli schemi vigenti. Il piano è funzionale alle aspirazioni della persona, che non riscuote il gradimento desiderato; la Francia, alle prese con la crisi economica mondiale ed i problemi interni legati all'immigrazione proveniente dalle ex colonie, pare alle prese con problemi non facilmente risolvibili, tanto è vero che lo sbando della società civile porta i favori del pronostico delle presidenziali alla figlia di Le Pen, condannando la repubblica transalpina al populismo di stampo neofascista. In questo quadro Sarkozy, non trovando soluzioni ai problemi interni punta tutto sulle problematiche internazionali, non raccogliendo, in verità, poi grandi successi. Lo scippo del comando militare della guerra libica da parte della NATO, la dice lunga sulla capacità del presidente francese di imporsi sulla scena internzaionale. Col tempo si vedrà se la strategia di Sarkozy sarà vincente, al contrario della partenza, le occasioni non potranno senz'altro mancare.

sabato 2 aprile 2011

Le migrazioni mettono a nudo l'occidente

La Francia dice che l'Italia è giustificata a rimandare indietro i migranti in Tunisia. Questa affermazione la dice lunga sulle intenzioni e sulle possibilità dei due stati di fronte all'ondata migratoria che sta investendo la sponda nord del Mediterraneo. Quella che emerge è l'incapacità generale di gestire un fenomeno, che pur già presente in maniera consistente, ha assunto proporzioni tali da non essere più controllato. L'assunto contiene la resa totale del mondo occidentale di fronte ai problemi del cosidetto terzo mondo. Non avere a disposizione strumenti ed alternative valide per gestire il problema, denuncia una miopia di fondo che deve rimettere in discussione il ruolo dell'occidente sul panorama mondiale. Sembra di assistere al fallimento della globalizzazione o meglio della globalizzazione a senso unico. E' bastata la caduta di un dittatore per inceppare tutto il meccanismo fondato su di un castello di carta. Nessuno stato o organismo sovranazionale ha saputo mettere a punto una alternativa che andasse a sostituire un piano fondato su di un solo elemento. A parte la questione solidaristica, che va ad intercettare i sentimenti di sole porzioni della società, il problema deve essere affrontato con un'ottica rinnovata alla luce degli sconvolgimenti dei paesi arabi; quella che si è creata è una situazione da cui non si torna indietro. Non paiono efficaci azione sporadiche dove si effettuano pagamenti tampone per turare falle più grosse del buco. Il momento impone una strategia di ampio respiro con investimenti strutturati e strutturali che consentano la stanzialità dei migranti nel loro paese di origine, non è solo un problema economico, che è comunque rilevante, ma anche un problema politico, che richiede aiuti consistenti sul piano organizzativo dei nascenti sistemi politici, finalmente affrancati dalle dittature. Tuttavia in questa fase di transizione è necessaria una collaborazione comune non sul piano negativo del problema, ma su quello positivo, orientato cioè alla risoluzione del problema, anzichè all'atteggiamento esclusivamente passivo. Uscire dal cortile di casa ed unirsi per la risoluzione del problema appare l'unica strada praticabile.

Problema curdo per la Siria

Il problema curdo si manifesta all'interno della crisi siriana.
Il malessere dei cittadini di etnia curda presenti nello stato di Damasco si acuisce in questa fase della crisi, fino ad arrivare alla richiesta di indipendenza. Assad, nel quadro della legge di riforma, che dovrà andare a sostituire la legge speciale in corso dal 1962, non ha tenuto conto delle istanze della minoranza curda. L'integrazione dei curdi, che seguono il culto musulmano sunnita, nella società siriana è di fatto già avvenuto dal lato economico, ma non politico, manca infatti alla minoranza etnica il requisito della nazionalità siriana; per questo motivo le richieste curde vertono sul riconoscimento dei loro diritti in quanto cittadini del paese in cui vivono e non vertono, invece, su richieste di maggiore indipendenza o federalismo per i loro territori. Si tratta di una minoranza fondamentalmente pacifica, che, però, nel caso non si vedesse riconosciute, in questo momento, le proprie richieste, potrebbe subire l'influenza della parte curda che sta oltre la frontiera siriana. Le rivendicazioni curde sulla creazione di una propria nazione sono da tempo sul tavolo delle questioni internazionali e, di fatto, non vengono mai affrontate per il rifiuto delle nazioni che ospitano le minoranze turche; in questo momento di sommovimenti nel mondo arabo l'apertura di un ulteriore fronte nel panorama internazionale costituirebbe un danno ai già difficili equilibri non solo della regione ma mondiali. La questione riguarda, quindi da vicino la Siria, perchè il rischio di frammentazione dello stato è presente e si va ad aggiungere alle altre problematiche del paese. La posizione chiave del paese nella regione mette sotto i riflettori internazionali la situazione che si sta evolvendo, mentre lo status quo ante sta comunciando a sgretolarsi.

Schengen è insufficiente per gestire il transito dei migranti

Bruxelles condanna Parigi per i controlli alla frontiera italiana in aperta violazione al trattato di Schengen. La querelle tra la Francia e l'Italia sugli immigrati, specialmente tunisini, che transitano dalla penisola per dirigersi nel paese transalpino, va inquadrata nell'irrigidimento dei rapporti tra i due paesi iniziato con la questione dell'intervento in Libia. Roma vive con fastidio la scelta interventista francese e sospetta che dietro la fretta della discesa in campo ci siano ragioni legate alle ricche commesse che la Libia ha stipulato con aziende italiane. Il raffreddamento dei rapporti tra i due paesi ha determinato una questione sugli immigrati: Parigi accusa Roma di praticare la politica "delle maglie larghe", che si concretizza, la Francia accusa, con una sorveglianza allentata dei migranti, che scappano dai centri per dirigersi verso la frontiera francese. L'Italia ha ribattuto che è illegale la chiusura delle frontiere. Tuttavia esiste un accordo bilaterale tra i due paesi che permetterebbe di rimandare indietro i migranti nello stato (Italia o Francia) di provenienza. Parigi per ovviare alla violazione di Schengen afferma di effettuare soltanto controlli sporadici nel raggio di 20 km dal confine con L'italia esercitando il proprio diritto di controllo sul proprio territorio. A parte il fatto che si sta toccando uno dei punti più bassi circa le relazioni diplomatiche tra i due paesi, che tra l'altro hanno due governi di medesimo orientamento politico, ancora una volta l'Europa agisce con logica pilatesca, ribadendo l'efficacia della legge in vigore, che, evidentemente non basta a regolare casi particolari, come quello di questi giorni. In effetti Schengen pare regolare la situazione in regime di normalità, ma non prevede casi particolari con rilevanza di urgenza. Quello che fa la Francia, anche se contro il dispositivo vigente, è comprensibile, perchè nella singola fattispecie è costretta a farsi carico di un problema di un'altro paese. L'assenza dell'Europa alla fine sta dietro il problema, la mancanza di un intervento deciso che risolva il problema, giunta al vuoto normativo, determina una situazione di incertezza che lascia ai singoli stati la gestione del problema: ma non sempre la soluzione è concordata.

venerdì 1 aprile 2011

Gheddafi prova la carta della crociata

Gheddafi lancia la provocazione della guerra di religione. La nuova tattica punta a delegittimare dal punto di vista religioso l'appoggio degli occidentali ai ribelli libici. Il gioco di Gheddafi ha il sapore di ultima spiaggia, ma fa leva su sentimenti molto pericolosi della nazione araba. La cautela di Obama era tesa proprio a non ferire i sentimenti degli arabi con un'azione sul loro suolo. Il seguito dei ribelli non è così sostanzioso come sembrava all'inizio, la Libia è divisa in due, nella Tripolitania i seguaci del rais sono ancora tanti. Ma il problema è fuori dalla Libia, dove è diretta la sollecitazione di Gheddafi. La Lega Araba ha già manifestato perplessità per il tenore delle azioni della coalizione dei volenterosi e se non ha ancora tolto il proprio appoggio alla missione è soltanto perchè, ormai tornare indietro costituirebbe un autogol diplomatico. Per l'Unione Africana vale lo stesso ragionamento. Le perplessità degli arabi, ad una azione sul proprio territorio, fanno parte dei sentimenti profondi della società civile, tuttavia, un fattore di parziale distrazione dall'argomento può essere stato lo stravolgimento in corso dovuto alle recenti manifestazioni che hanno segnato in questo inizio d'anno la maggior parte dei paesi arabi. La minaccia lanciata da Gheddafi può però attecchire facilmente nelle fasce più radicali ed estremizzate, che sono poi le più motivate ad attuare possibili ritorsioni. Il momento particolare che sta vivendo il mondo arabo è un magma difficile da decifrare, ma pare, francamente difficile che l'anatema del rais possa avere un seguito massiccio di popolazione, nonostante tutte le perplessità; semmai potrebbe essere più probabile un seguito numerico minore ma più motivato; se ciò fosse vero, un rischio potrebbe essere il verificarsi di attentati nei paesi che costituiscono i volenterosi, ma appare una eventualità peregrina, giacchè l'influenza religiosa di Gheddafi pare di non grande seguito.

Siria: paese chiave della regione

Intorno agli sviluppi della Siria ruota il futuro di Iran, Israele ed anche di parte della "nazione" curda. Henry Kissinger sosteneva che senza pace in Siria, non vi è pace nel medio oriente. La posizione della Siria, sia fisica, che all'interno dello scacchiere regionale, costituisce una posizione chiave negli equilibri della regione. Per Teheran il legame con la Siria costituisce un passaporto per la politica nel medio oriente, che permette di influenzare, Libano e territori Palestinesi, nell'ambito della sua attività anti israeliana. All'inizio delle rivolte arabe l'Iran aveva salutato favorevolmente il movimento di protesta, interpretando, in chiave di possibile proprio favore, la destabilizzazione dei regimi oggetto delle manifestazioni. Per la Siria è stato diverso: Teheran ha da subito sposato la teoria di Assad, che vede dietro alle proteste siriane una cospirazione. Tra l'altro uno dei cori urlati nelle manifestazioni di piazza siriane era: "No Iran, no Hezbollah", che permette di rilevare l'orientamento della popolazione verso l'estremismo iraniano. Dal punto di vista israeliano, invece, pur essendoci delle profonde divergenze con Damasco, derivanti fin dal 1967, con la guerra del Golan e per l'asse creato con Teheran, la frontiera con la Siria è stata la più sicura per Tel Aviv, tanto da non suscitare preoccupazioni e permettendo allo stato della stella di David di concentrare in altri punti, più caldi, le proprie attenzioni. Un cambiamento di direzione, o di regime, nel vicino siriano può determinare un cambio di direzione che difficilmente potrà essere favorevole ad Israele; non che ci sia la possibilità di creare grossi problemi militari all'esercito di Tel Aviv, l'esercito siriano è manifestamente più debole, tuttavia, venendo a mancare la stabilità lungo la frontiera, ciò richiederebbe maggiori attenzioni, creando, di fatto, un nuovo fronte su cui concentrare maggiori attenzioni.
Intanto sale alla ribalta la Turchia di Erdogan, che vuole assumere nella regione un ruolo sempre più da protagonista; dopo avere stretto accordi commerciali con tutti i vicini ed avendo ottenuto un exploit economico rilevante, Istanbul è alla ricerca di un ruolo di primo piano politico. Circa la Siria, la Turchia ha offerto tutta la propria collaborazione a Damasco in caso di aiuto per il processo di democratizzazione del paese. L'aiuto non è solo per il prestigio internazionale: un progetto comune che favorisca la stabilità del paese siriano può permettere di mantenere l'equilibrio anche riguardo al problema curdo, che preoccupa da sempre Istanbul. I 15 milioni di curdi presenti in Turchia, potrebbero creare problemi se la piccola parte siriana, 1,4 milioni, della "nazione curda" creasse un qualche tipo di problema. La situazione si sta evolvendo, una democratizzazione del paese non può che essere accolta in maniera positiva.

giovedì 31 marzo 2011

Stabilire standard universali per le centrali nucleari

Sarkozy in visita in Giappone ha dichiarato che il livello standard della sicurezza delle centrali nucleari deve essere riformata verso parametri generali a livello mondiale. La dichiarazione, del primo capo di stato in visita in Giappone dopo il disastro nucleare seguito al terremoto, ha una duplice valenza: sia come capo di stato della nazione che dipende maggiormente dall'energia nucleare, sia come presidente in carica del G-20. Proprio in sede di G-20, il presidente francese intende riunire i responsabili della politica nucleare dei paesi membri per gettare le basi della regolamentazione futura delle centrali nucleari.
Il primo ministro giapponese Naoto Kan ha appoggiato l'idea, proprio per evitare disastri come quello in corso nel suo paese. Dare regole universali di elevati standard di sicurezza rappresenta l'unica via per uniformare la produzione di energia nucleare e ricercare la prevenzione di possibili incidenti, che hanno effetti difficilmente contenibili. La strada da percorrere è quella giusta, tuttavia se sarà problematico mettere d'accordo già tutti i paesi del G-20, ancora più difficile sarà imporre a paesi fuori dall'organizzazione, si pensi all'Iran, ma non solo. Tuttavia con un accordo a livello generale, che comprenda gli stati più importanti come USA, Cina e Russia e che preveda sanzioni, anche pesanti per chi non si adegua alle norme fissate, si potrebbe prefigurare una applicazione degli standard stabiliti, in un'ottica di sicurezza maggiore per l'intero pianeta.