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giovedì 10 ottobre 2019

Le nuove rivolte ripetizione delle primavere arabe?

Le manifestazioni contro i governi che si stanno effettuando in medioriente e nord Africa possono fare pensare ad una sorta di riedizione delle primavere arabe. Ciò che ha contraddistinto le rivolte iniziate nel 2011 era una situazione economica difficile, unita alla volontà di manifestare contro regimi non democratici; sopratutto questo secondo fattore ha indotto, specialmente nelle democrazie occidentali, ma non solo, a credere che fossero pronte classi dirigenti orientate a queste forme di stato, classi dirigenti prodotte dall’insieme degli strati sociali presenti nei paesi coinvolti nelle proteste. Così non è stato: quello che è seguito alle primavere arabe non ha stabilizzato le economie, rimaste nelle medesime difficoltà, ma, sopratutto, non ha creato le condizioni per un passaggio a stati dove la democrazia diventava lo strumento condiviso per la gestione del potere statale. Dei riti democratici è soltanto sopravvissuto e solo in una prima fase, il passaggio elettorale, spesso disatteso o che ha destinato al potere forze anti democratiche, che hanno provocato colpi si stato, anche militari. Tranne il caso tunisino, tutte le primavere arabe hanno disatteso le aspettative occidentali e non hanno creato le condizioni per un miglioramento della vita delle popolazioni coinvolte. Le rivolte attuali sembrano nascere per le medesime ragioni di quelle di otto anni prima: grave condizione dell’economia, elevata corruzione e metodi di governo profondamente anti liberali. I gruppi che partecipano a queste manifestazioni sono contraddistinti da un minore impegno politico classico, inteso come partecipazione o appartenenza a forme di partito, ma risultano apolitici e contraddistinti da forme di populismo condizionato da elementi religiosi, quindi influenzato dalla religione islamica, più spesso di matrice sunnita. Il fattore religioso era stato fondamentale nel 2011, perchè nelle società attraversate dalle proteste, spesso era vietata qualsiasi forma di associazione ed i gruppi religiosi, anche fuori legge, avevano riempito questo vuoto sociale con un impegno diretto, sopratutto verso gli stati sociali più disagiati. Ancora adesso l’importanza della religione rimane l’aspetto più rilevante, ma deve essere inteso come flusso di pensiero con il maggiore peso specifico, rispetto ad eventuali, quando ci sono, partiti politici, anch’essi sempre meno importanti a favore dei movimenti, come accade spesso anche in Europa. Tuttavia la sensibilità delle popolazioni mediorientali e nordafricane verso la democrazia non è stata favorita, né da un processo storico lungo, né ha potuto crescere in questi pochi anni a causa di repressioni massicce. Queste rivolte sono guardate con distacco dai paesi occidentali, che cercano di sfruttare situazioni contingenti a loro vantaggio, più che offrire sostegno, perchè ricordano gli effetti nefasti dei loro interventi degli anni precedenti (si veda l’esempio libico). Bisogna anche riconoscere che, seppure sia di un altro tipo, il populismo ha già dimostrato notevoli capacità di avanzamento nelle democrazie occidentali, portando instabilità e minore certezza del processo democratico nei luoghi dove queste prassi erano ormai assodate. Questo fattore, sommato alla delusione delle aspettative di undici anni fa, ha generato un distacco che ha creato un vuoto culturale e politico nei paesi dove le manifestazioni sono più frequenti. Questa assenza può essere riempita, oltre che dalla religione islamica, anche da agenti esterni dove la democrazia è assente ed hanno grandi disponibilità finanziarie. E’ una certezza che la Cina e la Russia, mantengano rapporti sia con i dittatori che con i rivoltosi, grazie ad una maggiore adattabilità politica con regimi non certo democratici. Se ciò è scontato per i rapporti con i governi non democratici, spesso questa capacità è esercitata anche con i movimenti protagonisti delle rivolte, o parte di essi, proprio grazie alla grande elasticità che permette il fatto di essere dei regimi non democratici. Certamente ciò è fatto in maniera funzionale ai propri interessi e quasi sempre pensando a ritorni economici. Questo però pone un grande dilemma per l’occidente: se gli USA hanno inaugurato una politica di ritiro entro i propri confini, l’Europa non si è dimostrata pronta a sostituirli, colta di sorpresa dall’arrivo inatteso di Trump. Per Cina e Russia, ma anche per Iran o Turchia, riuscira ad influenzare i paesi meno stabili appare molto più facile di un tempo e ciò può significare soltanto un allontanamento dell’allargamento dell’ideale democratico, sempre più confinato nel recinto dei paesi ricchi.       

The new revolts repetition of the Arab springs?

The demonstrations against the governments that are taking place in the Middle East and North Africa may suggest a sort of re-edition of the Arab springs. What distinguished the revolts that began in 2011 was a difficult economic situation, combined with the desire to demonstrate against undemocratic regimes; especially this second factor led, especially in Western democracies, but not only, to believe that the ruling classes were ready for these forms of state, ruling classes produced by all the social strata present in the countries involved in the protests. This was not the case: what followed the Arab springs did not stabilize the economies, which remained in the same difficulty, but, above all, did not create the conditions for a transition to states where democracy became the shared instrument for the management of state power . Of the democratic rites it has only survived and only in a first phase, the electoral passage, often disregarded or that has destined to the power anti-democratic forces, that have provoked shots, state, even military. Except for the Tunisian case, all the Arab springs failed to meet Western expectations and did not create the conditions for an improvement in the lives of the populations involved. The current revolts seem to arise for the same reasons as those of eight years before: a serious condition of the economy, high corruption and profoundly anti-liberal methods of government. The groups participating in these demonstrations are characterized by a lower classical political commitment, understood as participation or belonging to party forms, but are apolitical and characterized by forms of populism conditioned by religious elements, therefore influenced by the Islamic religion, most often of matrix Sunni. The religious factor was fundamental in 2011, because in societies crossed by protests, often any form of association was forbidden and religious groups, even outside the law, had filled this social void with a direct commitment, especially towards the most disadvantaged welfare states. Even now the importance of religion remains the most important aspect, but it must be understood as a flow of thought with the greatest specific weight, with respect to possible, when there are political parties, also less and less important in favor of movements, as often happens also in Europe. However, the sensitivity of Middle Eastern and North African populations to democracy was not favored, nor by a long historical process, nor was it able to grow in these few years due to massive repression. These revolts are viewed with detachment from Western countries, which seek to exploit contingent situations to their advantage, rather than offer support, because they recall the harmful effects of their interventions of previous years (see the Libyan example). We must also recognize that, although it is of a different type, populism has already demonstrated considerable capacity for advancement in Western democracies, bringing instability and less certainty of the democratic process to places where these practices were by now established. This factor, added to the disappointment of the expectations of eleven years ago, has generated a detachment that has created a cultural and political void in the countries where the demonstrations are more frequent. This absence can be filled not only by the Islamic religion, but also by external agents where democracy is absent and have great financial resources. It is a certainty that China and Russia will maintain relations with both dictators and insurgents, thanks to greater political adaptability with certainly not democratic regimes. If this is taken for granted in relations with non-democratic governments, this capacity is often exercised also with the protagonist movements of the revolts, or part of them, thanks to the great flexibility that allows the fact of being non-democratic regimes. Certainly this is done in a way that is functional to one's interests and almost always thinking about economic returns. This, however, poses a great dilemma for the West: if the US has inaugurated a withdrawal policy within its own borders, Europe has not shown itself ready to replace them, taken by surprise by Trump's unexpected arrival. For China and Russia, but also for Iran or Turkey, it will succeed in influencing the less stable countries it seems much easier than in the past and this can only mean a distancing of the enlargement of the democratic ideal, increasingly confined to the fence of the rich countries.

¿Las nuevas revueltas repiten las fuentes árabes?

Las manifestaciones contra los gobiernos que tienen lugar en el Medio Oriente y África del Norte pueden sugerir una especie de reedición de las fuentes árabes. Lo que distinguió las revueltas que comenzaron en 2011 fue una situación económica difícil, combinada con el deseo de manifestarse contra los regímenes antidemocráticos; especialmente este segundo factor llevó, especialmente en las democracias occidentales, pero no solo, a creer que las clases dominantes estaban listas para estas formas de estado, clases dominantes producidas por todos los estratos sociales presentes en los países involucrados en las protestas. Este no fue el caso: lo que siguió a las fuentes árabes no estabilizó las economías, que permanecieron en la misma dificultad, pero, sobre todo, no crearon las condiciones para una transición a estados donde la democracia se convirtió en el instrumento compartido para la gestión del poder estatal . De los ritos democráticos solo ha sobrevivido y solo en una primera fase, el paso electoral, a menudo ignorado o que ha destinado al poder fuerzas antidemocráticas, que han provocado golpes, incluso militares. A excepción del caso tunecino, todos los manantiales árabes no cumplieron con las expectativas occidentales y no crearon las condiciones para una mejora en la vida de las poblaciones involucradas. Las revueltas actuales parecen surgir por las mismas razones que las de ocho años antes: una grave situación de la economía, alta corrupción y métodos de gobierno profundamente antiliberales. Los grupos que participan en estas manifestaciones se caracterizan por un compromiso político clásico inferior, entendido como participación o pertenencia a formas de partido, pero son apolíticos y caracterizados por formas de populismo condicionadas por elementos religiosos, por lo tanto influenciados por la religión islámica, con mayor frecuencia de matriz. sunita. El factor religioso fue fundamental en 2011, porque en las sociedades atravesadas por protestas, a menudo se prohibía cualquier forma de asociación y los grupos religiosos, incluso fuera de la ley, habían llenado este vacío social con un compromiso directo, especialmente hacia los estados de bienestar más desfavorecidos. Incluso ahora, la importancia de la religión sigue siendo el aspecto más importante, pero debe entenderse como un flujo de pensamiento con el mayor peso específico, con respecto a lo posible, cuando hay partidos políticos, también cada vez menos importantes a favor de los movimientos, como suele suceder también en Europa. Sin embargo, la sensibilidad de las poblaciones del Medio Oriente y el norte de África a la democracia no se vio favorecida, ni por un largo proceso histórico, ni fue capaz de crecer en estos pocos años debido a la represión masiva. Estas revueltas se ven con desapego de los países occidentales, que buscan explotar situaciones contingentes para su beneficio, en lugar de ofrecer apoyo, porque recuerdan los efectos nocivos de sus intervenciones de años anteriores (ver el ejemplo de Libia). También debemos reconocer que, aunque es de un tipo diferente, el populismo ya ha demostrado una capacidad considerable de avance en las democracias occidentales, trayendo inestabilidad y menos certeza del proceso democrático a los lugares donde estas prácticas ya estaban establecidas. Este factor, sumado a la decepción de las expectativas de hace once años, ha generado un desapego que ha creado un vacío cultural y político en los países donde las manifestaciones son más frecuentes. Esta ausencia puede ser cubierta no solo por la religión islámica, sino también por agentes externos donde la democracia está ausente y tiene grandes recursos financieros. Es una certeza que China y Rusia mantendrán relaciones tanto con dictadores como con insurgentes, gracias a una mayor adaptabilidad política con regímenes ciertamente no democráticos. Si esto se da por sentado en las relaciones con gobiernos no democráticos, esta capacidad a menudo se ejerce también con los movimientos protagonistas de las revueltas, o parte de ellas, gracias a la gran flexibilidad que permite el hecho de ser regímenes no democráticos. Ciertamente, esto se hace de una manera que sea funcional para los intereses de uno y casi siempre pensando en los retornos económicos. Esto, sin embargo, plantea un gran dilema para Occidente: si Estados Unidos ha inaugurado una política de retirada dentro de sus propias fronteras, Europa no se muestra lista para reemplazarlos, sorprendido por la inesperada llegada de Trump. Para China y Rusia, pero también para Irán o Turquía, tendrá éxito en influir en los países menos estables, parece mucho más fácil que en el pasado y esto solo puede significar un distanciamiento de la ampliación del ideal democrático, cada vez más limitado a la cerca de los países ricos.

Die Wiederholung der neuen Revolten der arabischen Frühlinge?

Die Demonstrationen gegen die Regierungen im Nahen Osten und in Nordafrika könnten auf eine Art Neuauflage der arabischen Quellen hindeuten. Was die Aufstände auszeichnete, die 2011 begannen, war eine schwierige wirtschaftliche Situation, verbunden mit dem Wunsch, gegen undemokratische Regime zu demonstrieren; Besonders dieser zweite Faktor führte vor allem in den westlichen Demokratien zu der Annahme, dass die herrschenden Klassen für diese Staatsformen bereit waren, herrschende Klassen, die von allen sozialen Schichten in den an den Protesten beteiligten Ländern hervorgebracht wurden. Dies war nicht der Fall: Die folgenden arabischen Quellen stabilisierten nicht die Volkswirtschaften, die sich weiterhin in derselben Schwierigkeit befanden, sondern schufen vor allem nicht die Voraussetzungen für einen Übergang zu Staaten, in denen die Demokratie zum gemeinsamen Instrument für die Verwaltung der Staatsmacht wurde . Von den demokratischen Riten hat es nur überlebt und nur in einer ersten Phase die Wahlpassage, die oft missachtet oder an die Macht gerichtet wurde, antidemokratische Kräfte, die Schüsse provoziert haben, staatliche, sogar militärische. Mit Ausnahme Tunesiens entsprachen alle arabischen Quellen nicht den westlichen Erwartungen und schufen keine Voraussetzungen für eine Verbesserung des Lebens der betroffenen Bevölkerung. Die gegenwärtigen Revolten scheinen aus den gleichen Gründen wie vor acht Jahren aufzutreten: ein ernsthafter Zustand der Wirtschaft, hohe Korruption und zutiefst antiliberale Regierungsmethoden. Die an diesen Demonstrationen teilnehmenden Gruppen zeichnen sich durch ein weniger klassisches politisches Engagement aus, das als Teilnahme an oder Zugehörigkeit zu Parteiformen verstanden wird, sind jedoch unpolitisch und durch Formen des Populismus gekennzeichnet, die durch religiöse Elemente bedingt sind und daher von der islamischen Religion beeinflusst werden, die am häufigsten von Matrix geprägt ist Sunniten. Der religiöse Faktor war 2011 von grundlegender Bedeutung, da in von Protesten geprägten Gesellschaften oft jede Form von Vereinigung verboten war und religiöse Gruppen, auch außerhalb des Gesetzes, diese soziale Lücke mit einem direkten Engagement gefüllt hatten, insbesondere gegenüber den am stärksten benachteiligten Wohlfahrtsstaaten. Auch jetzt bleibt die Bedeutung der Religion der wichtigste Aspekt, doch muss sie als ein Gedankenfluss mit dem größten spezifischen Gewicht im Hinblick auf mögliche politische Parteien verstanden werden, die auch für Bewegungen immer weniger wichtig sind. wie so oft auch in europa. Die Sensibilität der Bevölkerung im Nahen Osten und in Nordafrika gegenüber der Demokratie wurde jedoch weder durch einen langen historischen Prozess begünstigt, noch konnte sie in diesen wenigen Jahren aufgrund massiver Repressionen wachsen. Diese Revolten werden mit Distanzierung von westlichen Ländern gesehen, die versuchen, zufällige Situationen zu ihrem Vorteil auszunutzen, anstatt Unterstützung anzubieten, weil sie sich an die schädlichen Auswirkungen ihrer Interventionen der vergangenen Jahre erinnern (siehe das libysche Beispiel). Wir müssen auch anerkennen, dass der Populismus, obwohl er von einem anderen Typ ist, bereits beträchtliche Fortschritte in westlichen Demokratien gezeigt hat und Instabilität und weniger Gewissheit des demokratischen Prozesses an Orte gebracht hat, an denen diese Praktiken inzwischen etabliert wurden. Dieser Faktor, der zur Enttäuschung der Erwartungen von vor elf Jahren beitrug, hat zu einer Distanzierung geführt, die in den Ländern, in denen die Demonstrationen häufiger stattfinden, eine kulturelle und politische Leere geschaffen hat. Diese Abwesenheit kann nicht nur von der islamischen Religion beseitigt werden, sondern auch von externen Akteuren, bei denen keine Demokratie vorhanden ist und die über große finanzielle Mittel verfügen. Es ist sicher, dass China und Russland die Beziehungen zu Diktatoren und Aufständischen aufrechterhalten werden, dank einer größeren politischen Anpassungsfähigkeit mit sicherlich nicht demokratischen Regimen. Wenn dies in Beziehungen zu nichtdemokratischen Regierungen als selbstverständlich vorausgesetzt wird, wird diese Fähigkeit oft auch bei den Protagonistenbewegungen der Revolten oder Teilen davon ausgeübt, dank der großen Flexibilität, die die Tatsache zulässt, nichtdemokratische Regime zu sein. Natürlich geschieht dies auf eine Art und Weise, die den eigenen Interessen entspricht und fast immer an wirtschaftliche Renditen denkt. Dies stellt jedoch ein großes Dilemma für den Westen dar: Wenn die USA eine Rückzugspolitik innerhalb ihrer eigenen Grenzen eingeleitet haben, hat sich Europa nicht bereit gezeigt, diese zu ersetzen, was Trumps unerwartete Ankunft überrascht. Für China und Russland, aber auch für den Iran oder die Türkei wird es gelingen, auf die weniger stabilen Länder Einfluss zu nehmen, und dies kann nur bedeuten, dass die Ausweitung des demokratischen Ideals, das sich zunehmend auf den Zaun der reichen Länder beschränkt, aufgehoben wird.

Les nouvelles révoltes répétition des printemps arabes?

L'intention de la Turquie reste de libérer les frontières avec la Syrie des forces kurdes, qui occupent les territoires conquis par l'État islamique. La présence des forces américaines, dont les Kurdes étaient les alliés les plus engagés sur le terrain, a jusqu'à présent freiné les intentions d'Ankara. Mais l'administration de la Maison Blanche estime que le califat défait dans ces régions et que le président Trump, concentré sur d'autres aspects internes et internationaux, serait disposé à retirer ses troupes de la frontière entre la Syrie et la Turquie. Cela favorise l'opération militaire turque imminente contre les Kurdes, qu'Ankara est sur le point de commencer. L’intention déclarée des États-Unis n’est pas d’empêcher l’armée turque de se ranger du côté des forces kurdes. Ce serait une résolution très redoutable capable de compromettre le fragile équilibre régional, qui est suivi par la défaite de l’État islamique. Si, semble-t-il, la Turquie attaquerait les milices kurdes présentes en Syrie et opérant alors en territoire étranger, elle provoquerait la réaction de Damas et de ses alliés russes et peut-être aussi des Iraniens, qui se sont également battus aux côtés des Kurdes le califat. L'abstention des États-Unis peut être une cause sérieuse de conflit international en raison de la volonté expansionniste turque. Nous devons nous souvenir des soupçons selon lesquels, parmi les bailleurs de fonds du califat, il y avait, outre les Saoudiens, la Turquie, qui espérait manœuvrer les extrémistes islamistes dans sa fonction anti-kurde. Les milices kurdes ont une longue collaboration avec les Américains et la trahison de Washington pourrait faire basculer la position kurde vers le régime d'Assad, qui a néanmoins collaboré avec les milices kurdes et a assuré aux Kurdes une certaine autonomie au sein de l'État syrien. Cela impliquerait également une approche des Russes, qui gagneraient un allié précieux dans le cadre régional. Outre le désengagement annoncé précédemment et jamais appliqué, le comportement américain pourrait bien être la volonté de rétablir la relation avec Ankara, qui reste un membre important de l'Alliance atlantique. La vraie question est toutefois de savoir si la Turquie peut être considérée comme un allié toujours fiable. L'impression est que le gouvernement turc, en grande difficulté avec la situation intérieure du pays, utilise la question kurde pour détourner l'attention de la population de son incapacité à gérer les affaires publiques, alors que l'économie est sérieusement en difficulté et centrale. régional pour l'échec du projet d'étendre l'influence du pays turc à la zone correspondant à l'ancien empire ottoman. Pour lutter contre cette crise de crédibilité interne, le gouvernement d'Ankara ne trouve rien de mieux que d'insister sur la question du terrorisme kurde, en sacrifiant une paix régionale qui, bien que fragile, représente un objectif pour les objectifs américains. Washington, en sacrifiant les Kurdes, peut perdre une part substantielle de la crédibilité internationale, une perte bien plus sérieuse que l'engagement d'empêcher une attaque contre des alliés fondamentaux pour la lutte contre l'État islamique, dont la défaite est depuis longtemps l'un des principaux objectifs. Étranger américain. Nous ne savons pas si l'attitude de la Maison-Blanche découle d'un calcul qui est peut-être erroné ou de la énième improvisation d'une classe politique mal préparée et à courte vue dans ses décisions, mais les conséquences de laisser aux Turcs le feu vert seront probablement très lourdes pour la politique commerce extérieur. Pour la Turquie, en revanche, une bataille dure et sanglante est à prévoir contre les Kurdes, malgré le renforcement de la puissance militaire et la reprise des attaques sur le territoire national, la population étant à nouveau menacée par une action militaire. mis en œuvre uniquement pour satisfaire les ambitions de grandeur du président turc et pour masquer ses inefficacités.

Les nouvelles révoltes répétition des printemps arabes?

Les manifestations contre les gouvernements qui se déroulent au Moyen-Orient et en Afrique du Nord peuvent suggérer une sorte de réédition des sources arabes. Ce qui distinguait les révoltes de 2011 était une situation économique difficile, combinée à la volonté de manifester contre des régimes non démocratiques; En particulier, ce second facteur a conduit, en particulier dans les démocraties occidentales, mais pas uniquement, à croire que les classes dirigeantes étaient prêtes à ces formes d’État, classes dirigeantes produites par toutes les couches sociales présentes dans les pays impliqués dans les manifestations. Ce n'était pas le cas: ce qui a suivi les ressorts arabes n'a pas stabilisé les économies, qui sont restées dans la même difficulté, mais n'a surtout pas créé les conditions d'une transition vers des États où la démocratie est devenue un instrument partagé de gestion du pouvoir de l'État. . Des rites démocratiques, il a seulement survécu et seulement dans une première phase, le passage électoral, souvent méconnu ou destiné au pouvoir des forces antidémocratiques, qui ont provoqué des tirs, étatiques, voire militaires. À l'exception du cas tunisien, tous les printemps arabes n'ont pas répondu aux attentes occidentales et n'ont pas créé les conditions d'une amélioration de la vie des populations concernées. Les révoltes actuelles semblent se produire pour les mêmes raisons que celles de huit ans auparavant: une situation économique grave, une corruption élevée et des méthodes de gouvernement profondément anti-libérales. Les groupes participant à ces manifestations se caractérisent par un engagement politique classique moins élevé, compris comme participation ou appartenance à un parti, mais sont apolitiques et caractérisés par des formes de populisme conditionnées par des éléments religieux, donc influencés par la religion islamique, le plus souvent matricielle. sunnite. Le facteur religieux était fondamental en 2011, car dans les sociétés traversées par des manifestations, toute forme d'association était souvent interdite et des groupes religieux, même en dehors de la loi, avaient comblé ce vide social avec un engagement direct, en particulier envers les États providence les plus défavorisés. Même à présent, l’importance de la religion reste l’aspect le plus important, mais elle doit être comprise comme un courant de pensée ayant le plus grand poids spécifique, par rapport au possible, quand il ya des partis politiques, également de moins en moins importants en faveur des mouvements, comme cela arrive souvent aussi en Europe. Cependant, la sensibilité des populations du Moyen-Orient et d'Afrique du Nord à la démocratie n'a pas été favorisée, ni par un long processus historique, ni n'a pu s'accroître au cours de ces quelques années en raison d'une répression massive. Ces révoltes sont considérées avec détachement des pays occidentaux, qui cherchent à exploiter à leur avantage des situations contingentes, plutôt que de les soutenir, car ils rappellent les effets néfastes de leurs interventions des années précédentes (voir l'exemple libyen). Nous devons également reconnaître que, bien qu’il soit d’un type différent, le populisme a déjà démontré une capacité considérable de progrès dans les démocraties occidentales, apportant instabilité et incertitude du processus démocratique aux endroits où ces pratiques étaient désormais établies. Ce facteur, ajouté à la déception des attentes d'il y a onze ans, a généré un détachement qui a créé un vide culturel et politique dans les pays où les manifestations sont plus fréquentes. Cette absence peut être comblée non seulement par la religion islamique, mais également par des agents extérieurs où la démocratie est absente et dispose de grandes ressources financières. Il est certain que la Chine et la Russie maintiendront leurs relations avec les dictateurs et les insurgés, grâce à une plus grande adaptabilité politique avec des régimes certainement pas démocratiques. Si cela est pris pour acquis dans les relations avec les gouvernements non démocratiques, cette capacité est souvent exercée également avec les mouvements protagonistes des révoltes, ou une partie de ceux-ci, grâce à la grande flexibilité qui permet le fait d'être des régimes non démocratiques. Certes, cela se fait de manière fonctionnelle, en tenant toujours compte des rendements économiques. Cela pose toutefois un grand dilemme à l'Occident: si les États-Unis ont instauré une politique de retrait à l'intérieur de leurs propres frontières, l'Europe ne s'est pas montrée prête à les remplacer, surprise par l'arrivée inattendue de Trump. Pour la Chine et la Russie, mais aussi pour l’Iran ou la Turquie, cela va influencer les pays moins stables, cela semble beaucoup plus facile que par le passé et cela ne peut que signifier une distanciation de l’élargissement de l’idéal démocratique, de plus en plus confiné à la barrière des pays riches.

A nova revolta repetição das fontes árabes?

As manifestações contra os governos que estão ocorrendo no Oriente Médio e no norte da África podem sugerir uma espécie de reedição das fontes árabes. O que distinguiu as revoltas iniciadas em 2011 foi uma situação econômica difícil, combinada com o desejo de se manifestar contra regimes antidemocráticos; especialmente esse segundo fator levou, especialmente nas democracias ocidentais, mas não apenas, a acreditar que as classes dominantes estavam prontas para essas formas de estado, classes dominantes produzidas por todos os estratos sociais presentes nos países envolvidos nos protestos. Não foi esse o caso: o que se seguiu às fontes árabes não estabilizou as economias, que permaneceram na mesma dificuldade, mas, acima de tudo, não criou as condições para uma transição para estados onde a democracia se tornou o instrumento compartilhado para a gestão do poder estatal . Dos ritos democráticos, apenas sobreviveu e apenas em uma primeira fase a passagem eleitoral, muitas vezes desconsiderada ou destinada ao poder forças antidemocráticas, que provocaram tiros, estado e até militares. Exceto pelo caso da Tunísia, todas as nascentes árabes falharam em atender às expectativas ocidentais e não criaram condições para melhorar a vida das populações envolvidas. As revoltas atuais parecem surgir pelas mesmas razões que as de oito anos antes: uma condição grave da economia, alta corrupção e métodos de governo profundamente anti-liberais. Os grupos participantes dessas manifestações caracterizam-se por um compromisso político clássico mais baixo, entendido como participação ou pertencendo a formas partidárias, mas são apolíticos e caracterizados por formas de populismo condicionadas por elementos religiosos, portanto influenciadas pela religião islâmica, na maioria das vezes de matriz sunita. O fator religioso foi fundamental em 2011, porque nas sociedades atravessadas por protestos, muitas vezes, qualquer forma de associação era proibida e os grupos religiosos, mesmo fora da lei, preenchiam esse vazio social com um compromisso direto, especialmente com os estados de bem-estar social mais desfavorecidos. Mesmo agora, a importância da religião continua sendo o aspecto mais importante, mas deve ser entendido como um fluxo de pensamento com o maior peso específico, em relação ao possível, quando existem partidos políticos, também cada vez menos importantes a favor dos movimentos, como frequentemente acontece também na Europa. No entanto, a sensibilidade das populações do Oriente Médio e do Norte da África à democracia não foi favorecida, nem por um longo processo histórico, nem foi capaz de crescer nesses poucos anos devido à repressão maciça. Essas revoltas são vistas com desapego dos países ocidentais, que buscam explorar situações contingentes a seu favor, em vez de oferecer apoio, porque lembram os efeitos nocivos de suas intervenções nos anos anteriores (veja o exemplo da Líbia). Também devemos reconhecer que, embora seja de um tipo diferente, o populismo já demonstrou uma capacidade considerável de avanço nas democracias ocidentais, trazendo instabilidade e menos certeza do processo democrático aos locais onde essas práticas já estavam estabelecidas. Esse fator, somado ao desapontamento das expectativas de onze anos atrás, gerou um desapego que criou um vazio cultural e político nos países onde as manifestações são mais frequentes. Essa ausência pode ser preenchida não apenas pela religião islâmica, mas também por agentes externos onde a democracia está ausente e possui grandes recursos financeiros. É certo que a China e a Rússia manterão relações com ditadores e insurgentes, graças a uma maior adaptabilidade política com regimes certamente não democráticos. Se isso é dado como certo nas relações com governos não democráticos, essa capacidade é freqüentemente exercida também com os movimentos protagonistas das revoltas, ou parte delas, graças à grande flexibilidade que permite o fato de serem regimes não democráticos. Certamente, isso é feito de uma maneira funcional para os interesses de alguém e quase sempre pensando em retornos econômicos. Isso, no entanto, representa um grande dilema para o Ocidente: se os EUA inauguraram uma política de retirada dentro de suas próprias fronteiras, a Europa não se mostrou pronta para substituí-los, surpreendidos pela chegada inesperada de Trump. Para a China e a Rússia, mas também para o Irã ou a Turquia, será bem-sucedido em influenciar os países menos estáveis, parece muito mais fácil do que no passado e isso só pode significar um distanciamento do alargamento do ideal democrático, cada vez mais confinado à cerca dos países ricos.