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mercoledì 11 maggio 2022

La responsabilità della Russia nell'aumento della fame nel mondo

 Una delle ricadute internazionali più importanti che si verificherà con l’invasione dell’Ucraina consiste nel blocco della esportazione e produzione di grano. Nei paesi ricchi questo fatto si traduce con un sostanzioso contributo dell’aumento dell’inflazione, causata dalla maggiorazione delle materie prime destinate all’industria alimentare. La problematica è molto sentita ed i governi dei paesi industrializzati hanno dei margini di manovra per cercare di limitare i danni, soprattutto per le fasce di popolazione più povera. Ben altro ordine di problemi, però, si verifica per i paesi poveri o anche per quelli la cui ricchezza nazionale si è fortemente ridotta per la somma delle contingenze della pandemia ed ora della guerra. Diversi paesi africani, ad esempio, stanno finendo le riserve di grano e la prospettiva di ragioni aggiuntive alle già presenti per determinare nuove carestie, si fa sempre più concreta. Mosca invadendo il paese ucraino e sottoponendo i porti di Kiev, da dove transitano le esportazioni di grano, sta creando i presupposti per generare una crisi alimentare globale; occorre ricordare che questo fattore va ad aggravare situazioni precedenti già difficili a causa della penuria di acqua e di situazioni politiche fortemente instabili, che non consentono, di fatto, una autonomia alimentare per molti paesi. Risulta difficile credere che questi risultati siano solamente effetti collaterali di una guerra pensata male e condotta peggio. Sembra più facile credere ad un piano politico funzionale a creare una situazione favorevole per il Cremlino nei confronti dell’Europa. Putin si deve essere ispirato ai vari dittatori, che hanno usato l’emigrazione verso il continente europeo, come forma di pressione su Bruxelles: la tattica è risultata quasi sempre vincente, perché ha creato divisioni profonde tra i membri dell’Unione, specialmente sulle modalità e quantità di accoglienza. Sicuramente agli strateghi russi non può essere sfuggita questa eventualità, che può diventare un’arma puntata direttamente verso l’Europa, tuttavia le implicazioni vanno oltre le ragioni geopolitiche e contingenti alla guerra stessa: la responsabilità di affamare milioni di persone non deve essere sottovalutata dai nemici di Putin e della Russia, come sta avvenendo attualmente, con questo fattore che sembra sottovalutato e a cui non viene dato il necessario risalto politico e giornalistico.  La questione è prima di tutto umanitaria: bloccare le esportazioni del grano ucraino, provoca la privazione degli alimenti di base di gran parte dei paesi poveri, innescando processi di scarsità alimentare, che possono portare alla denutrizione, con il conseguente peggioramento delle condizioni igienico sanitarie, ma anche collegate alla stabilità politica, in molti casi già precaria di diversi paesi poveri. Come se ne deduce le implicazioni hanno una gravità così intensa da non essere da meno della situazione attuale sui campi di battaglia ucraini, con il gran numero di morti e sfollati che l’invasione russa ha generato. Quello che rischia di materializzarsi è un numero di vittime addirittura molto superiore a quelle del computo dell’operazione militare speciale; in questo triste conteggio dovranno, infatti, essere inclusi i deceduti per carenze alimentari, quelli per gli effetti delle condizioni igienico sanitarie conseguenti alla denutrizione, quelli relativi ai probabili moti popolari per la mancanza di cibo ed, infine, le vittime delle migrazioni causate dalla impossibilità di nutrirsi. Quindi se Mosca dovrà rispondere ai tribunali internazionali per le atrocità commesse dai suoi soldati, altresì dovrà rispondere presso le stesse sedi di essere stata la causa di avere affamato milioni di persone, con tutte le conseguenze sopra esposte. Pur comprendendo che le cancellerie mondiali si stanno concentrando sui crimini in territorio ucraino, la questione della responsabilità di affamare i paesi poveri non sembra trattata in maniera adeguata e con la giusta rilevanza. Occorre che i paesi occidentali, parallelamente al necessario aiuto militare a Kiev, inizino a pensare a strategie che possano permettere al paese ucraino di esportare quello che sono riusciti a produrre ed a raccogliere, integrando con aiuti alimentari i paesi che saranno maggiormente colpiti dalla carestia alimentare: questo con il duplice scopo di annullare o almeno attenuare gli effetti della strategia di Putin, scongiurando gli effetti negativi sui paesi europei e di creare le condizioni per combattere in maniera efficace la fame nel mondo. Ciò servirà anche a dare una nuova immagine dell’occidente per contrastare le azioni russe e cinesi nei paesi africani.

giovedì 5 maggio 2022

Si complica la situazione diplomatica russa

 La dichiarazione del ministro della difesa russo, relativa al contrasto del trasporto delle armi a favore dell’Ucraina, rischia di essere un ulteriore elemento in grado di elevare la tensione tra Mosca e Bruxelles. Il massimo esponente del dicastero della difesa di Mosca ha espressamente dichiarato che ogni mezzo dell’Alleanza Atlantica che trasporterà armi e munizioni per l’esercito ucraino, sarà distrutto; i convogli che arriveranno nel paese ucraino trasportando armamenti saranno considerati obiettivi legittimi. Queste affermazioni, pur non rappresentando una novità, perché alcuni convogli sarebbero già stati colpiti, sono molto gravi perché rivolte direttamente all’Alleanza Atlantica, che non può reagire passivamente alla minaccia di essere diventata un bersaglio esplicito. Per il momento siamo ancora alla fase delle minacce, che, in un certo senso, è una situazione politica, seppure al limite; molto diverso potrebbe essere il caso di un convoglio dell’Alleanza Atlantica colpito dai russi, soprattutto dopo queste minacce. Certamente non è da prefigurare una rinuncia di Bruxelles alle forniture di armi a Kiev, anche in ragione dei sostanziosi stanziamenti già previsti da Biden ed, insieme, non si può certo pensare ad eventuali rappresaglie, nel caso un convoglio venga colpito. Con la situazione attuale l’eventuale rappresaglia sarebbe demandata allo stesso esercito ucraino e non eseguita direttamente dalle forze dell’Alleanza Atlantica, tuttavia è facile individuare, da parte di Mosca, occasioni per minacciare membri della NATO, che confinano con l’Ucraina ed aumentare le possibilità di uno scontro capace di scatenare il terzo conflitto mondiale. Mosca, peraltro, ha già più volte minacciato Polonia, Romania, Bulgaria ed i paesi baltici perché ospitano basi militari americane e la ricerca strumentale di un incidente sarebbe una mossa funzionale per proclamarsi paese aggredito. Nel frattempo Helsinki ha nuovamente denunciato un episodio di sconfinamento di un velivolo militare russo, che si è addentrato nel territorio finlandese per almeno cinque chilometri; questa violazione del confine, rappresenta il secondo episodio in poco meno di un mese e mira a minacciare lo stato nordico per la sua volontà di abbandonare il suo status di paese neutrale per entrare nell’Alleanza Atlantica. Come si vede, anche su questo fronte Mosca è sempre vicino a creare un incidente in grado di fare precipitare lo stato attuale delle cose verso conseguenze ancora più gravi. La tattica russa, probabilmente rientra in un tentativo di logoramento, che pare un calcolo sbagliato, come quello che la NATO e l’Unione Europea si sarebbero divise e che ha portato il paese russo a diventare una sorta di paria internazionale.  Dal punto di vista diplomatico si moltiplicano le azioni e le dichiarazioni contro l’aggressione di Mosca: il primo ministro portoghese, annunciando una sua visita a Kiev, ha richiesto una maggiore capacità di reazione all’Unione Europea, soprattutto sul tema delle emergenze che riguardano il popolo ucraino, ma anche per il sostegno finanziario e militare, anche in maniera indipendente dal processo di adesione all’Unione. Durante la visita del primo ministro giapponese a Roma, Giappone ed Italia hanno ribadito la necessità della difesa dell’ordine mondiale, basato sulle regole del diritto internazionale, una implicita condanna per Mosca, ma anche un avvertimento per la Cina, perché le regole internazionali devono valere anche per le questioni marittime, alle quali Tokyo è particolarmente sensibile per le violazioni di Pechino nel mare limitrofo. Il timore del Giappone e di altri soggetti internazionali, è che la violazione del diritto internazionale perpetrata dalla Russia, costituisca un esempio per risolvere altre questioni internazionali con l’utilizzo del mezzo militare, anziché con la diplomazia. Mosca ha violato una consuetudine che potrebbe essere ancora infranta con modalità analoghe ed è un compito della comunità internazionale impegnarsi affinché ciò non si ripeta; questo tema sarà centrale per molto tempo e dovrà riguardare anche una necessaria revisione del funzionamento delle Nazioni Unite, troppo condizionate dai veti dei membri permanenti; un analogo problema che riguarda l’Unione Europea vincolata alla regola dell’unanimità nelle decisioni dei provvedimenti. Il tema delle decisioni degli organismi sovranazionali diventa sempre più centrale nel contrasto di azioni di paesi dove la democrazia è poca o nulla e l’autoritarismo ha il vantaggio della velocità delle decisioni.

mercoledì 27 aprile 2022

Mosca non vuole cedere su Crimea e Donbass e minaccia la Moldavia

 Allo stato attuale delle cose Mosca mette i suoi obiettivi come fattori essenziali al fine di eventuali trattative di pace: il Cremlino, infatti, non intende recedere sull’acquisizione della sovranità, e quindi del relativo riconoscimento ufficiale, di Donbass e Crimea come appartenenti materialmente e formalmente alla Federazione Russa; nonostante ciò le, seppur difficili, trattative con Kiev sembrano continuare, anche se su premesse che non forniscono alcuna garanzia. Da parte dell’Ucraina e della comunità internazionale occidentale un cedimento su questi temi, anche se giustificato con lo scopo di terminare il conflitto, fornirebbe a Putin una sorta di prova di debolezza, con l’aggravante che le promesse russe potrebbero essere facilmente disattese. Resta da valutare come può proseguire il confronto militare, dopo che esiste la concreta possibilità che vi sia un allargamento ad Ovest del confine ucraino, con il coinvolgimento della Transnistria, enclave russa tra Moldavia ed il paese ucraino, che potrebbe venire assimilato da Putin alla stregua di Donbass e Crimea. Alzare la tensione è una sorta di diversivo politico di Mosca, che patisce l’aiuto in armi a Kiev, perché consente alle forze ucraine una difesa sempre più efficace; il ministro degli esteri russo ha esplicitamente accusato l’Alleanza Atlantica di essere già in guerra con Mosca, proprio in ragione delle forniture di equipaggiamento militare; il ragionamento è che una terza guerra mondiale rappresenta molto più di una eventualità, ma che sta diventando una possibilità concreta, soprattutto dopo le affermazioni provenienti dal Regno Unito, che ha sostenuto la legittimità di un attacco contro la Russia. Il rischio di una escalation nucleare è possibile, ma Mosca ha espresso il concetto che una guerra atomica è inaccettabile, essendo ben conscia di un risultato imprevedibile, tuttavia, gli ultimi lanci di razzi russi hanno colpito zone molto vicine a centrali nucleari ucraine ed un eventuale impatto con un reattore potrebbe scatenare conseguenze pari, almeno, all’impiego di ordigni nucleari tattici, cioè di corto raggio e minore potenziale distruttivo; sulle remore russe di utilizzare, in un modo o nell’altro, la forza atomica è bene non fidarsi troppo, soprattutto dopo i massacri perpetrati dai militari del Cremlino, in dispregio delle convenzioni internazionali e con armamenti  a loro volta vietati dagli stessi accordi. Kiev ha reagito alle minacce russe di una terza guerra mondiale, come il segno della debolezza di Mosca, che si aspettava una conquista rapida ed indolore del paese ucraino, senza reazioni da parte di Kiev e dell’occidente: al contrario Putin ha ottenuto di compattare gli alleati occidentali, di ridare valore ed importanza politica all’Alleanza Atlantica e coalizzare il paese ucraino nella difesa del proprio territorio. In realtà la lettura del governo ucraino appare condivisibile, perché mostra una difficoltà militare e politica dell’azione russa, che pare trovare difficoltà sempre nuove ad ogni livello, questa impressione, però, rafforza l’idea che Putin si sia messo in una via senza uscita e che ciò rischi di farlo diventare sempre più imprevedibile e pericoloso. La mossa di minacciare un allargamento del conflitto oltre la Transnistria, sino a coinvolgere la Moldavia appare già una conseguenza delle difficoltà del capo del Cremlino di uscire dall’attuale impasse. Del resto anche i tentativi del Segretario generale delle Nazioni Unite non hanno portato risultati, se non evidenziare la sua lentezza della reazione, dato che si è mosso ben dopo che la guerra è iniziata da due mesi; interrogarsi sulla reale utilità delle Nazioni Unite appare, ormai, superfluo: senza una adeguata e radicale riforma lo svuotamento delle competenze e degli effetti, anche solo potenziali, delle Nazioni Unite è un dato sicuro sulla scena internazionale, che determina l’assoluta inaffidabilità dell’ente sovranazionale, ormai orpello di mera facciata. Gli scarsi risultati dell’azione diplomatica, intanto, impediscono la creazione di corridoi umanitari per permettere ai civili di portarsi in salvo, ma dietro questo blocco c’è una precisa tattica russa, che intende usare la popolazione come ostaggio in modo funzionale alle proprie modalità di combattimento. Nel frattempo l’azione di Mosca si concentra sul bombardamento delle ferrovie, individuate come vettore principale del trasporto delle armi, creando, così, un ostacolo in più per la fuga dei civili.

martedì 19 aprile 2022

La guerra ucraina non deve distogliere l'attenzione dal terrorismo islamico

 Con l’attenzione internazionale tutta concentrata sul conflitto ucraino, esiste il concreto rischio che il radicalismo islamico sfrutti questa situazione per riguadagnare terreno, sia dal punto di vista del terrorismo, che da da quello dell’occupazione di territori sguarniti da protezione internazionale. Questo timore è confermato dalle dichiarazioni del nuovo portavoce dello Stato islamico, che non ha perso l’occasione di esortare i sostenitori dell’estremismo islamico a sfruttare la situazione che vede il confronto di stati abitualmente schierati, anche se da posizioni differenti, contro i terroristi ed i radicali islamici. Il pericolo è la concentrazione di risorse e di attenzione sul conflitto ucraino, che potrebbe consntire una maggiore libertà di azione, sia in Europa, che in Russia. In questo momento, malgrado le minacce siano rivolte più alla parte occidentale del continente europeo, la nazione che appare più vulnerabile è la Russia, perchè impegnata in prima persona nel conflitto e con truppe, spesso usate contro i terroristi islamici, impegnate nelle zone del Donbass; tuttavia la situazione attuale potrebbe portare ad alleanze singolari e temporanee in grado di combattere contro nemici comuni. La spregiudicatezza di alcuni attori coinvolti potrebbe studiare ritorsioni non convenzionali e violente contro i paesi occidentali, colpevoli di appoggiare in vari modi la resistenza ucraina. Potrebbero venire a crearsi pericolosi precedenti, sopratutto se una parte sarà costretta a subire sanzioni sempre più pesanti ed a protrarre una guerra che credeva ci concludere rapidamente. Dal punto di vista dell’Europa, ma anche degli Stati Uniti, appare fondamentale vigilare sui  propri territori, ma ciò non è sufficiente dato che è necessario impedire una nuova avanzata dello Stato islamico su territori che presentano delle caratteristiche in grado di favorire questo scenario. Se nei paesi asiatici la minaccia è stata circoscritta, ma il fenomeno non deve comunque essere sottovalutato, appare più preoccupante la situazione delle zone sub sahariane del continente africano, dove il radicalismo islamico riesce ad imporsi andando a riempire vuoti, che la carenza finanziaria degli stati nazionali non permette di colmare. Ora la concentrazione e lo sforzo finanziario per fornire le necessarie armi all’Ucraina, unito al continuo sforzo diplomatico per arginere il conflitto possono distogliere le già scarse risorse per preservare la fascia centrale africana dal terrorismo. Occorre anche ricordare la situazione di paesi come l’Afghanistan, dove l’abbandono americano ha  creato condizioni favorevoli per l’insediamento di base terroristiche o l’atteggiamento di paesi formalmente alleati nella lotta al terrorismo, dove l’atteggiamento ambiguo dei governi continua a permettere pericolose contiguità con il radicalismo islamico. Più riparata da questa possibile recrudescenza del terrorismo, anche in virtù del suo sistema politico, appare laCina sul prpro territorio, ma che non può non essere coinvolta in uno stato di apprensione nei tanti paesi dell’Africa subsahariana, che sono stati oggetto di cospicui finanziamenti. Uno dei pericoli più concreti, in una fase di regressione economica e scarsità di risorse, scambi bloccati dalle sanzioni, è una ulteriore contrazione della crescita, proprio provocata da azioni contro i centri di estrazione e produzione africani; a ciò potrà anche concorrere l’incremento delle crisi alimentari e delle carestie provocate dall’interrruzione dell’esposrtazione del grano ucraino e dei fertilizzanti russi. Le possibilità di azione del terrorismo islamico dispone, quindi, di una varietà di strumenti, che vanno molto aldilà delle pratiche tradizionali, basate quasi esclusivamente sull’uso della violenza: attirare una platea sempre più vasta di seguaci, grazie allo stato sempre maggiore di povertà di una parte consistente di popolazione africana; per questo motivo è importante non abbandore i paesi africani e mantenere presidi militari in grado di affiancare gli eserciti nazionali per la protezione delle comunità locali. Non bisogna abbassare il controllo ed il contrasto sulle economie che favoriscono il terrorismo, come il traffico di esseri umani ed i commerci di stupefacenti ed armi. Se il sostegno all’Ucraina è fondamentale per la sopravvivenza delle democrazie occidentali, non meno importante è il continuo contrasto al terrorismo islamico, che, seppure con metodi differenti, ha smpre l’obiettivo di contrastare l’udea stessa del mantenimento della democrazia, in questo certamente non diverso da quanto si prefigge il capo del Cremlino.  

venerdì 15 aprile 2022

L'Alleanza Atlantica destinata ad aumentare i suoi membri

 Uno degli effetti indesiderati, ed inaspettati, per Putin causati dall’invasione dell’Ucraina è stato quello di ridare vitalità all’Alleanza Atlantica, che, durante la presidenza di Trump si avviava ad una conclusione ormai annunciata. La brutalità dell’opearzione militare speciale sommate ad evidenti cause geopolitiche hanno, invece, rafforzato l’unità dei membri dell’Alleanza Atlantica, fornendo all’organizzazione nuovo impulso e vigore. L’errore, prima tattico e poi strategico di Putin è stato il risultato di una analisi poco approfondita, che ha dimostrato la scarsità degli analisti internazionali russi. Si credeva che la divisione tra Europei al loro interno e tra europei e Stati Uniti, fossero ormai insanabili e per certi versi questa analisi aveva dei fondamenti validi ed aveva possibilità di avverarsi senza provocare alcuna situazione in grado di cambiare il corso delle cose. Nella valutazione di Putin, il capo del Cremlino ha giudicato come ininfluenti, su questa partita, gli effetti provocati dall’invasione di un paese straniero. Questa valutazione ha, però avuto gli effetti opposti e non si può dire che per la Russia non ci fossero le avvisaglie per internpretare la nuova situazione: l’agitazione dei paesi baltici e della Polonia, contro l’attivismo russo avrebbero dovuto bastare per una maggiore cautela per non sacrificare una situazione geopolitica, tutto sommato, non sfavorevole a fronte della conquista dell’Ucraina in aperta violazione del diritto internazionale; che, poi, il risultato militare sia fallimentare deve aumentare ancora di più le recriminazioni da parte del governo russo per essersi collocato in una situazione che, al momento, sembra senza via di uscita. Per quanto riguarda lo stato di salute dell’Alleanza Atlantica, che i russi volevano ai minimi termini, la situazione appare molto sfavorevole per Mosca. La possibile decisione di interrompere la loro neutralità da parte di Finlandia e Svezia, porterà la Russia ad aggiungere un nuovo lato della sua frontiera dove sarà presente l’Alleanza Atlantica, proprio una delle ragioni che ha provocato l’invasione del paese ucraino. Sebbene l’Ucraina è sempre stata considerata zona di influenza esclusiva dalla Russia e Svezia e Finlandia non rientrino in questa casistica, la neutralità dei due paesi è sempre stata considerata un fatto quasi dovuto, prima all’Unione Sovietica ed ora alla Russia di Putin; l’alterazione di questo stato di cose ha provocato irritazione e nervosismo al Cremlino, dove non si è esistato a minacce nucleari più o meno esplicite; la presenza di ordigni atomici tattici, cioè a raggio di azione ridotto, sui confini russi, è comunque risaputa e la comunità internazionale ne è consapevole, tuttavia la Russia non ha perso occasione per ribadire il suo potenziale nucleare; inoltre l’adesione all’Alleanza Atlantica imporrà a Mosca di schierare su quei confini quantità ingenti di truppe, innalzando il livello della tensione, così come incrementare le unità navali presenti nel golfo finlandese. Bisogna fare presente che i due stati nordici partecipano già alle riunioni dell’Alleanza Atlantica ed i loro militari effettuano esercitazioni con le truppe dell’Alleanza, insomma vi è già una collaborazione quantitativa, che deve essere solo sancita in maniera ufficiale. Le condizioni per entrare nell’Alleanza Atlantica sono già ampiamente soddisfatte dai sitemi politici dei due stati e si tratta soltanto di una decisione che riguarda la loro sovranità, anche se va detto, che Bruxelles potrebbe temporeggiare in questo momento per non esasperare una situazione già molto tesa con Mosca; tuttavia i due paesi nordici subiscono minacce russe già da circa un anno e dalla fine del 2021 le pressioni di Mosca si ripetono, puntuali per ogni settimana; si riteine che ciò abbia provocato una crescente opinione favorevole nelle società dei due paesi, che, pare,  ormai favorevole ad abbandonare la politica del non allienamento in maniera maggioritaria. Con Svezia e Finlandia i membri dell’Allenaza Atlnatica saliberebbero a 32 e la Russia vedrebbe più che raddoppiato il proprio confine con la presenza della NATO: un risultato raggiunto dalla capacità e dalla lungimiranza di Putin, grande statista e conoscitore dei meccanismi internazionali.

venerdì 18 marzo 2022

In Ucraina la Russia è bloccata dalla sua pessima gestione militare e politica

 Nonostante il grande prezzo, purtroppo pagato in vite umane, che rappresenta l’aspetto più tragico del conflitto, l’avanzata russa procede a rilento e, in alcuni casi, è anche costretta a subire sconfitte che costringono reparti del Cremlino ad arretrare sul terreno. Questo provoca una tattica che coinvolge i civili ucraini come obiettivi funzionali ad indebolire la resistenza di Kiev, che, sul solo piano militare, cioè senza un teorico coinvolgimento dei civili, riuscirebbe a contenere lo sforzo russo, sebbene in evidente inferiorità numerica e di mezzi a disposizione. Questa modalità è stata sperimentata con successo in Siria, dove venivano colpiti deliberatamente obiettivi civili, come ospedali e scuole, per fare arretrare le forze contrarie ad Assad, qualunque fosse la loro natura, fossero le forze democratiche o lo Stato islamico; tuttavia lo schema, seppure ha delle similitudini, in Ucraina presenta differenze profonde: l’Ucraina è uno stato sovrano con un proprio esercito, coeso con la sua popolazione e non diviso come in Siria e gode dell’incondizionato appoggio politico dell’occidente, che, nonostante continui a non volere intervenire, rifornisce in modo continuo di armi e supporto logistico le forze armate di Kiev. Le congetture sulle convinzioni di una guerra breve di Putin, sono probabilmente veritiere, e le prove sono che gli armamenti pesanti schierati sono antiquati, il supporto logistico insufficiente, proprio perché non progettato e le truppe, spesso formate da militari di leva, non sono sufficientemente addestrate ed ancora meno preparate psicologicamente ad affrontare un conflitto bellico di tale intensità. Alcuni analisti giudicano anche che non sarà determinante l’impiego dei “volontari” siriani ed anche sull’apporto dei ceceni si nutrono considerevoli dubbi. In questo quadro la scelta dei bombardamenti indiscriminati, appare per Putin l’unica strada attualmente percorribile per non uscire sconfitto dal conflitto e con l’immagine interna irrimediabilmente rovinata. Per questo motivo la richiesta della zona di non sorvolo aereo del presidente Zelensky appare più che legittima, ma i paesi occidentali non ritengono ancora il momento per intervenire. Esiste il concreto pericolo dell’uso di armi chimiche da parte del Cremlino, sull’esperienza vincente effettuata in Siria, che costituirebbe il rinnovamento di un precedente molto pericoloso, che ha costituito il più grande fallimento politico di Obama e che, secondo molti osservatori, è stato l’inizio dell’attuale debolezza politica americana nel teatro mondiale. L’opzione dell’uso delle armi chimiche potrebbe anche costituire la considerazione da parte di Mosca di un eventuale uso del ricorso all’arma nucleare, peraltro già minacciata, fin dall’inizio del conflitto. Il pericolo di una escalation è concreto: la Russia è in evidente difficoltà nella sua “operazione militare”, si trova sull’orlo del fallimento finanziario ed è politicamente isolata sulla scena diplomatica, soprattutto dopo il sempre più cauto atteggiamento cinese sul conflitto, provocato dalle minacce di perdere l’accesso ai suoi mercati commerciale più redditizi: gli Usa e l’Europa. Queste considerazioni, se unite alle notizie, che la Russia alle attuali difficoltà logistiche, sembra andare incontro ad una ulteriore penuria di disponibilità di rifornimenti, sia per difficoltà pratiche sempre più evidenti, sia per un arsenale non infinito ed anche una situazione interna ai vertici del Cremlino, dove i maggiori collaboratori più vicini al presidente, sono stati oggetto di rimozione dalle loro cariche, proprio per la cattiva gestione della guerra, le possibilità di una azione diplomatica sembrano aumentare. Per la Russia, si stima che i prossimi dieci giorni saranno cruciali: se Mosca riuscirà a vincere il conflitto avrà raggiunto il suo obiettivo, viceversa per Putin potrebbero non esserci vie d’uscita e quindi il presidente russo potrebbe preferire una uscita onorevole tramite un accordo diplomatico. Questo eventuale accordo, però, passa da una tregua che fermi l’uso delle armi e consenta corridoi umanitari sicuri; questa eventualità, augurabile, è, però, contraria all’attuale modalità di combattimento dei militari russi, che usano i civili come obiettivo per raggiungere il successo. Al momento la situazione sembra senza una via d’uscita, ma la pressione internazionale ed alcune concessioni ucraine, potrebbero togliere ogni giustificazione alla Russia e consentire a Mosca una via d’uscita onorevole, onorevole al momento, perché la reputazione di Putin è irrimediabilmente rovinata, anche dall’inchiesta che la Corte di giustizia internazionale intende fare partire e che appare con una conclusione già scritta.    

venerdì 11 marzo 2022

La Cina vittima collaterale del conflitto ucraino

 L’aggressione della nuova “Unione Sovietica” di Putin ai danni dell’Ucraina, che ha violato ogni regola del diritto internazionale, ha provocato un senso di confusione per Pechino, la cui preoccupazione principale resta la propria crescita economica, che, però, non può essere svincolata da uno stato di stabilità globale. Il primo risultato del Cremlino è stato quello di compattare il fronte occidentale ed ancora di più l’Unione Europea, che sta trovando, pur tra molte difficoltà, una unità di intenti quasi sconosciuta e non certamente prevedibile in tempi relativamente così brevi. Questo dato è il contrario di quanto sempre perseguito dai russi, dagli stessi cinesi ed anche dagli USA, perlomeno quelli guidati da Trump. Per tutti questi soggetti era prioritario operare per ottenere una divisione sempre più profonda tra gli stati europei in modo da trattare con le singole nazioni invece che con tutto il blocco dell’Unione. Per questo scopo questi attori internazionali, che temevano un nuovo soggetto di grandi proporzioni sulla scena globale con proprie capacità politiche ed anche militari e non solo economiche, hanno più volte messo in atto operazioni, anche illegali come attività informatiche illecite, finanziamenti a partiti e movimenti sovranisti locali ed una politica diplomatica intensa rivolta a sfruttare le divisioni degli stati dell’Unione. L’invasione criminale dell’Ucraina ha apparentemente superato ogni tentativo di divisione faticosamente perseguite, finendo per danneggiare per primi, oltre ai russi, proprio ai cinesi, che, d’ora in poi, dovranno adattarsi alla nuova situazione. Pechino, pur affermando la sua fedeltà a Mosca e denunciando, seppure in modo alternato, le colpe dell’Alleanza Atlantica, si è detta molto preoccupata per la situazione di guerra ed ha annunciato la propria volontà di fornire un contributo per la risoluzione della crisi. La maggiore preoccupazione espressa appare quella per le sanzioni economiche contro la Russia, che costituisce una aggravante alla situazione pandemica, per la ripresa economica globale. Occorre anche ricordare che la Cina era, prima dell’inizio del conflitto, il principale partner commerciale di Kiev, e non gradirebbe perdere questo primato, soprattutto se l’Ucraina, una volta finito il conflitto, andasse a gravitare nell’orbita di Bruxelles. I diplomatici cinesi si sforzano con una sorta di equidistanza, che afferma che l’integrità di ogni paese dovrebbe essere tutelata, così come le preoccupazioni di sicurezza di ogni nazione: questo atteggiamento fornisce la percezione di una politica presa alla sprovvista ed ancora indecisa su quale atteggiamento prendere in maniera definitiva. La vicinanza con la Russia non deve essere data per scontata, perché è troppa la distanza ed i rispettivi interessi non sono coincidenti, ma è solo funzionale contro gli Stati Uniti ed, in maniera minore l’Europa. Pechino non può, proprio per non compromettere i suoi piani di crescita economica, avviare nuovi contrasti con Washington, che potrebbero riflettersi sui rapporti commerciali con gli USA, così come non può andare contro l’Europa, che rappresenta il mercato più ricco dove fare arrivare i propri prodotti. Probabilmente dal punto di vista politico l’azione di Putin non dispiace ai cinesi, perché, malgrado le smentite, possono leggere analogie con Taiwan, ma al momento perfino questa questione sembra passare in secondo piano rispetto alla mancata ripartenza dell’economia globale. Una ulteriore preoccupazione per la Cina è la capacità espressa dall’Europa di elaborare strategie per sopperire in un futuro non troppo lontano alle forniture energetiche russe e la ritrovata sintonia con gli USA , che può costituire un punto di partenza per alleanze commerciali più strette, che determinerebbero una minore capacità di movimento commerciale cinese verso quelli che sono i mercati più ricchi del pianeta. Non si sa se nell’incontro tra Putin e Xi Jingping in occasione dell’inaugurazione delle recenti olimpiadi invernali, il leader russo avesse informato quello cinese, ma è sicuro che per gli sviluppi che la guerra ha provocato il risentimento cinese è elevato, anche se non può essere espresso. Studi e piani della Cina sono stati vanificati da una decisione folle che sta determinando per la Cina un futuro commerciale difficoltoso e, però, su questa ragione si può pensare che Pechino non trascurerà ogni sforzo per fermare un conflitto, che la vede come la maggiore vittima collaterale.

venerdì 4 marzo 2022

L'Italia da paese più danneggiato nei nuovi rapporti con la Russia a possibile protagonista nel caso di trattative diplomatiche

 L’invasione russa dell’Ucraina cambia i rapporti internazionali di Mosca con i paesi europei; in particolare con Roma con la quale la Russia, malgrado il rispettivo schieramento su fronti opposti, è sempre stato contraddistinto da una buona intesa. Sono passati soltanto due anni dall’inizio della pandemia ed il convoglio dell’esercito russo con forniture mediche, con destinazione un centro del settentrione italiano tra i più colpiti, permetteva a Putin di raccogliere un ottimo risultato in termini di immagine. Ma questo è stato solo uno degli ultimi esempi di un rapporto basato sul pragmatismo italiano, basato sulla propria natura culturale e commerciale, che ha da sempre esercitato una forte capacità di attrazione nei confronti dei russi. Storicamente questo rapporto, perseguito seppure Roma è sempre stata una grande alleata di Washington, è stato mantenuto anche nella guerra fredda, con collaborazioni industriali e grazie alla presenza del più forte partito comunista occidentale. Più recentemente questi legami sono stati mantenuti anche dai governi a matrice progressista, capaci di ottenere forniture energetiche importanti ed aprire canali commerciali sempre più intensi nel genere del lusso, del turismo e dell’alimentare. Più recentemente i legami con Putin si sono sviluppati con i partiti sovranisti, anche per la strategia del presidente russo di volere dividere l’Unione Europea, tuttavia ciò non ha impedito un legame particolarmente importante con il governo in carica, dove, peraltro, partecipa il partito della Lega Nord, che da sempre ha legami stretti con il partito di Putin, circa ingenti forniture di gas russo. L’economia italiana dipende dal gas russo per circa il 45% del totale, che per ora sono assicurate, malgrado la decisione di Roma di affiancare l’Unione Europea e l’occidente nelle sanzioni contro il Cremlino. Nonostante i piani di riconversione verso una energia più pulita ed i contratti per nuove forniture di gas liquido proveniente dagli Stati Uniti, la preoccupazione nel tessuto sociale e produttivo è molto elevata. L’Italia oltre alle sanzioni economiche contro la Russia, si è impegnata in un programma molto vasto di forniture militari ai militari ucraini, che comprende missili antiaerei, missili anticarro, mitragliatrici di varia portata e munizioni, che potrebbero complicare di molto l’avanzata delle forze militari di Mosca. La combinazione tra la dipendenza dal gas russo con le forniture militari e le sanzioni potrebbero provocare un costo più alto per gli italiani, rispetto agli altri paesi componenti dell’Unione Europa. In realtà la posizione italiana non è stata da subito così netta, proprio per i timori dei vari comparti economici coinvolti nell’esportazione verso la Russia; la particolare sensibilità del governo in carica, guidato dall’ex presidente della Banca Centrale Europea, verso l’economia ha fatto temere che Roma avrebbe potuto tenere un atteggiamento meno duro verso la Russia, in realtà lo spirito profondamente europeista ed atlantico della compagine governativa, ha permesso di superare questi ostacoli rappresentati dalla prospettiva di sicure perdite per l’economia nazionale. Per quanto riguarda le forniture di gas si tratta comunque di un rischio calcolato: l’Italia ha necessità del gas russo, ma la Russia ha ancora più necessità di venderlo, soprattutto dopo che è stata sottoposta al duro regime delle sanzioni, d’altra parte il comportamento di Putin ha avuto l’effetto positivo, ma non per la Russia, di compattare una Unione Europea, che ora risulta più unita che mai e che potrebbe dimostrarsi ancora più propensa a permettere elasticità di bilancio per chi si impegna nelle sanzioni e nella politica contro la Russia e nell’accoglienza dei profughi ucraini. I cardini dell’azione politica estera dell’Unione rimangono Parigi e Berlino, ma Roma arriva immediatamente dopo e per i pregressi rapporti con Mosca, potrebbe essere decisiva in una eventuale fase di negoziato per risolvere il conflitto, come, del resto, ha riconosciuto pubblicamente l’ambasciatore russo in Italia. La fermezza di Roma nel condannare, giustamente, la Russia non è, quindi, mai stata in discussione, ed anzi è rafforzata proprio dal volume di affari destinato a scendere per le casse italiane, tuttavia per il paese italiano potrebbe essere pronto un ruolo di primo piano se l’Unione vorrà impegnarsi in prima persona, pur essendo un protagonista di parte per l’appoggio fornito a Kiev, quando si dovrà finalmente passare la parola dalle armi al tavolo delle trattative.

La possibile tattica russa e le potenziali risposte occidentali

 Probabilmente l’impegno russo in Siria non era solo dettato da esigenze geopolitiche, come mantenere l’unica base di Mosca nel Mediterraneo, attraverso il mantenimento al potere di Assad, ma era anche una esercitazione preventiva per preparare l’azione militare in Ucraina. Certo le intenzioni e le aspettative di Putin erano di concludere in tempi brevi la riannessione di tutta l’Ucraina sotto l’influenza ex sovietica: una ripetizione del rapporto subordinato che la Bielorussia fornisce al Cremlino.; ed in effetti il piano è ancora quello: instaurare a Kiev un governo filorusso, che possa garantire che l’Ucraina mantenga l’assoluta distanza da Unione Europea ed Alleanza Atlantica. Malgrado però la soverchiante superiorità dell’apparato militare la Russia fatica, sul piano internazionale appare isolata e con prospettive economiche interne devastanti, i paesi europei ed occidentali si sono ricompattati, superando le reciproche differenze ed arrivando ad accogliere in maniera massiccia i profughi, disinnescando così le intenzioni del Cremlino di favorire i contrasti interni sull’immigrazione, anche se hanno avuto un tempo di reazione troppo elevato di fronte al rincorrersi degli eventi e perfino la Cina appare più cauta nell’appoggiare Putin, per non urtare la suscettibilità commerciale del mercato più ricco del mondo. Da parte loro gli ucraini, pur con tutte le difficoltà contingenti stanno opponendo una resistenza che la Russia non aveva previsto, anzi il Cremlino si attendeva per le sue truppe una accoglienza da liberatori. L’insieme di queste risposte dalle controparti, sommate alle evidenti valutazioni errate, se nell’immediato possono portare a valutazioni positive, non possono però impedire di analizzare quali saranno le possibili prossime mosse di Putin. Se si parte da una analisi dell’inquilino del Cremlino, risulta difficile pronosticare una via di uscita che si configuri come una confitta politica, cioè potrebbe anche non bastare un accordo che consenta alla Russia la cessione dei territori del Donbass ed anche della fascia costiera fino ad Odessa. Putin è stato chiaro non intende fermarsi, perché considera l’Ucraina parte della Russia e questa ammissione costituisce il suo programma finalmente esplicato in modo chiaro. La concessione dell’apertura dei corridoi umanitari per fare fuggire i civili apre scenari oltremodo inquietanti, che precludono, appunto, a ciò che è accaduto in Siria ed in particolar modo nelle battaglie per la conquista di Aleppo. Proprio in quella occasione, dopo l’abbandono della città della maggior parte dei suoi abitanti, i russi, una volta entrati diedero sfoggio di particolare violenza ed ora, forti di quella esperienza acquisita sul campo, il destino di Kiev appare quello. D’altra parte arrivare almeno fino alla conquista della capitale ucraina ha, per Putin, il significato della vittoria del conflitto, mentre per il resto dell’Ucraina, la parte verso occidente al confine con la Polonia, una operazione militare paragonabile a quella attuale è più difficile, ma per il Cremlino, probabilmente basterà arrestarsi a Kiev. Sull’occidente una eventuale conquista di Kiev da parte dei russi, oltretutto ottenuta con modi particolarmente efferati, potrebbe provocare una reazione di difficile previsione. L’avvicinarsi ai confini dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea, del nemico russo, che oltretutto minaccia direttamente i paesi baltici e si oppone all’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Svezia e Finlandia, oltre che nell’Unione Europea di Moldavia e Georgia, alzerebbe ulteriormente il livello dello scontro, che fino ad ora è stato limitato a sanzioni, seppure ingenti, ed a forniture militari per l’Ucraina. L’avvicinarsi del fronte verso la frontiera polacca e rumena avvicinerebbe sensibilmente l’inizio della terza guerra mondiale. Ormai è inutile recriminare sull’atteggiamento passivo di Unione Europea ed Alleanza Atlantica, che hanno perso otto anni in inutili discussioni, quando avrebbero potuto gestire differentemente la questione ucraina con soluzioni preventive in grado di contrastare i piani russi: ora è il momento di mettere in atto soluzioni in grado di contrastare Mosca, anche dal punto di vista militare e non solo politico. Certo ammettere subito Svezia e Finlandia dell’Alleanza Atlantica ed Ucraina, Moldavia e Georgia nell’Unione Europea costituirebbe una risposta politica equivalente ad un avvertimento chiaro a Mosca, ma senza una organizzazione militare ed una volontà di impegno diretto in casi come quello attuale lo spazio di manovra è limitato. Purtroppo è brutto dirlo ma l’opzione militare diventa sempre più una esigenza ed una eventualità più probabile.

venerdì 25 febbraio 2022

Sull'Ucraina la Cina valuta il comportamento USA, per il futuro di Taiwan e le contese commerciali

 Che l’invasione dell’Ucraina sia avvenuta dopo la fine dei giochi olimpici cinesi non è stato un caso: Putin ha rischiato un fallimento dell’azione per le condizioni metereologiche avverse ai mezzi pesanti, pur di mantenere la promessa fatta al leader cinese ed in omaggio all’alleanza che si sta sviluppando tra i due paesi basata sugli scambi commerciali, in primo luogo sulla vendita del gas russo ai cinesi, ma soprattutto sull’intesa politica che si sta sviluppando circa il progetto di un nuovo ordine mondiale, basato su valori alternativi a quelli delle democrazie occidentali e fondato sulla repressione dei diritti civili. La mancata condanna cinese, peraltro scontata e largamente prevista, contro l’aggressione russa rappresenta una sorta di avvertimento per Taiwan, da sempre nelle mire del governo di Pechino, che sostiene il progetto di un’unica patria. Il momento potrebbe essere propizio per una invasione dell’isola, con gli stati occidentali impreparati all’azione di Putin a cui non hanno sostanzialmente opposto resistenza: tali condizioni potrebbero ripetersi anche per Taiwan, che nulla potrebbe, come nulla può Kiev, ad una invasione da parte di una potenza così manifestamente superiore. Esistono, però, delle controindicazioni pratiche per la Cina, che mettono in risalto delle differenze con la situazione che si sta sviluppando in Europa. La prima di tutte è che il principale obiettivo di Pechino continua ad essere la crescita economica ed i contraccolpi economici di una invasione ridurrebbero di molto il prodotto interno lordo cinese, sulla cui crescita si concentrano gli sforzi del governo comunista, anche in ragione della contrazione della crescita mondiale dovuta alla pandemia. Per quanto riguarda la guerra Ucraina, Pechino ha sostituito proprio la Russia come primo partner commerciale di Kiev per l’interessa che riguarda la via della seta e sicuramente non gradisce gli attuali sviluppi anche se, forse viene valutato che con un governo filorusso, potrebbe avere ancora maggiore libertà di movimento. Circa Taiwan alcuni mezzi di stampa funzionali alla propaganda governativa hanno definito l’isola il Donbass cinese, cominciando a preparare una sorta di giustificazione preventiva ad una eventuale invasione militare. Non vale neanche più credere che la Cina non oserà attaccare Taiwan per non intraprendere una azione di difficile gestione e con conseguenze non facili da pronosticare, proprio perché circa Putin si credeva la stessa cosa, ed è stata smentita in maniera clamorosa. E’ anche vero, però, che a differenza dell’Ucraina, a Taiwan sono presenti già militari americani, che rendono lo scenario più complicato nel caso di un attacco ed anche la presenza costante della marina americana, sia nella stessa Taiwan, che in Corea del Sud e Giappone presuppone un impegno militare diretto, che unito a presumibili sanzioni, potrebbe complicare molto più che a Putin una azione militare. Quello di un impegno diretto americano nella zona del Pacifico si spiega con la dottrina internazionale inaugurata da Obama di giudicare maggiormente importante, per gli Stati Uniti, il sud est asiatico, proprio in funzione delle vie di comunicazione delle merci ed a causa di ciò che è stata trascurata la Siria, c’è stato il disimpegno dal medio oriente e dall’Afghanistan e sostanzialmente anche dall’Europa, tuttavia sono legittimi sostanziosi dubbi sulla reale volontà e capacità di condurre un conflitto da parte dell’attuale presidente americano , che non pare  intenzionato ad intraprendere azioni militari. Sia come sia, la reazione americana sull’Ucraina sarà profondamente studiata da Pechino per intraprendere strategie, che non riguarderanno soltanto la potenziale invasione di Taiwan, ma anche i rapporti stessi con gli USA, soprattutto circa i dossier che hanno prodotto i contrasti più profondi tra i due paesi. Una apparente arrendevolezza degli americani, anche dal punto di vista delle sanzioni contro la Russia, potrebbe autorizzare Pechino a comportamenti sempre più spregiudicati nelle battaglie commerciali e nei rapporti con gli altri stati, sia europei che africani, dove la Cina punta a riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Per Washington un monito concreto per valutare molto bene le sue mosse e le loro conseguenze a livello globale e non solo limitate alla Russia.

Putin favorito dall'inconsistenza dell'Occidente

 Alla fine i peggiori presagi si sono verificati: Putin ha mantenuto la sua condotta, basata su bugie e menzogne ed ha attaccato militarmente il paese ucraino, potendo contare su di una reazione occidentale, che definire timida è usare una espressione di cautela. Tutti le minacce di ritorsioni si sono rivelate ben poca cosa di fronte alla determinazione del Cremlino, che ha alzato ancora di più il livello delle minacce proprio contro le democrazie occidentali. Le condanne dei leader occidentali sono state parole di circostanza ed hanno rassicurato la Russia con la rassicurazione che alcun soldato occidentale opererà sul suolo ucraino, abbandonando, di fatto, Kiev al suo destino. Si tratta della logica conclusione dell’impegno americano sul fronte europeo, già ridotto a partire da Obama, una scelta legittima, ma che danneggia i principali alleati degli Stati Uniti, forse sul breve ma sicuramente nel medio periodo ed inficia la stessa leadership americana, non solo politica ma anche economica. La Russia ha agito in questa maniera perché non vuole l’Alleanza Atlantica sui suoi confini, ma conquistando l’Ucraina i confini si spostano fino alla Polonia ed ai paesi baltici, dove la presenza militare occidentale è ormai radicata. Il Cremlino sopporterà questa presenza o non la tollererà, come, peraltro Putin ha fatto capire più volte? Difendere materialmente l’Ucraina con una presenza preventiva dell’Alleanza Atlantica, dopo averla accolta al suo interno, poteva essere una azione di dissuasione, che poteva permettere negoziati in grado di trovare una convergenza, anche se basata probabilmente su di una sorta di equilibrio del terrore. Al contrario si è voluto scegliere la strada della cautela, che ha sconfinato nella pavidità e nella tutela degli interessi commerciali dell’Europa, che non ha mai voluto impegnarsi in una difesa attiva di sé stessa. Gli Stati Uniti, dopo l’errore enorme dell’Afghanistan, ripetono lo sbaglio di lasciare il campo ad avversari più agguerriti e determinati, scegliendo un disimpegno i cui effetti negativi si vedranno del tutto sul lungo periodo. Biden cancella tutte le impressioni positive che lo accompagnavano alla sua elezione e ripete, sebbene nei comportamenti in maniera più discreta, tutti gli insuccessi in politica estera del suo predecessore e passerà alla storia come uno dei peggiori presidenti americani, proprio al pari di Trump. Questo andamento viene da lontano ed è cominciato fin da Obama, ma un punto così basso, costituito dalla somma del caso afghano con quello ucraino, non era mai stato toccato dalla prima superpotenza mondiale. Il comportamento americano ha lasciato impreparata l’Europa e ciò non doveva accadere, ancora senza una politica estera ed una difesa comune, divisa al suo interno da stati non consoni di essere stati inclusi dentro l’Unione e divisa da interessi commerciali contrastanti tra i suoi membri; tra l’altro uno degli obiettivi collaterali di Putin, perseguiti con la guerra ucraina è proprio quello di aumentare le divisioni europee e contribuire alla creazione immediata di nuovi problemi tra gli stati membri, il primo dei quali sarà alimentato dal flusso crescente dei profughi provenienti dall’Ucraina. La Gran Bretagna, se possibile si è comportata ancora peggio, il premier inglese sembrava che volesse procedere a sanzioni oltremodo pesanti contro la Russia, ma poi ha deciso per una serie di misure che non colpiscono gli oligarchi presenti sul suo territorio perché portatori di ingente liquidità nell’economica britannica. Ora Putin ha ottenuto una vittoria prima di tutto politica, mettendo in mostra l’inconsistenza dell’Occidente, che potrebbe autorizzarlo verso obiettivi più elevati dell’Ucraina e non per niente il timore nelle repubbliche Baltiche ed in Polonia si è alzato di molto: le sanzioni elaborate colpiscono solo il 70% dell’economia russa e non la sua potenza militare e le minacce contro eventuali interventi al fianco di Kiev, sembra che hanno avuto gli effetti desiderati dal Cremlino   ed hanno evidenziato come il problema è certamente prima di tutto geopolitico ma immediatamente dopo investe i valori democratici, la sovranità degli stati, l’autodeterminazione dei popoli ed il rispetto del diritto internazionale, base minima di convivenza tra le nazioni. L’impegno per questi valori deve essere diretto e la loro difesa deve riguardare tutti gli stati che si fondano su di essi, per non incorrere loro stessi nella perdita di queste prerogative. Il contrario significherebbe tornare nella dittatura e nella negazione della democrazia, come sta accadendo all’Ucraina.

martedì 22 febbraio 2022

Le reazioni alla decisione di Putin di schierare le truppe nell'Ucraina orientale

 Dopo la dichiarazione di Putin, che ha riconosciuto come indipendenti la Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, dichiaratamente filorusse e quindi formalmente sottratte alla sovranità di Kiev, l’Ucraina ha richiesto una riunione di urgenza del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, che per una curiosa coincidenza è stata presieduta proprio dalla Russia. La maggior parte dei membri del Consiglio hanno condannato sia il riconoscimento, che la successiva decisione di schierare truppe nell’area, che costituisce il primo passo dell’invasione del territorio ucraino, sebbene sia quello conteso tra Mosca e Kiev. Dal punto di vista di Putin il riconoscimento ufficiale autorizza l’appoggio dei militari russi agli insorti filorussi ed alle loro milizie, ma dal punto di vista del diritto internazionale costituisce una evidente violazione, che, peraltro, non è la prima operata dal Cremlino. Il fatto che Mosca definisca i propri soldati come peacekeeper aggrava il giudizio sulla Russia, che si nasconde in modo maldestro dietro a definizioni ipocrite, che oltrepassano l’ambiguità ed il buon gusto. La seguente dichiarazione di Washington apre ad una serie di sanzioni senza precedenti, che coinvolgerà tutti gli alleati degli USA e le cui conseguenze si annunciano molto pesanti per l’economia mondiale e gli equilibri generali. Nell’immediato la volontà di Putin è quella di assicurarsi una zona cuscinetto tra la Russia e l’Ucraina, per evitare di avere sull’immediato confine russo la presenza dell’Alleanza Atlantica, anche se l’ingresso di Kiev è stato più volte smentito da Bruxelles, tuttavia l’accelerata del Cremlino potrebbe cambiare la situazione: fino ad ora l’Alleanza Atlantica ha smentito di avere in programma di accettare il paese ucraino tra i suoi membri, ma questa evoluzione apre ad ogni possibile sviluppo. L’azzardo di Putin minaccia, però, la consistenza economica del paese russo, che difficilmente potrebbe resistere alle sanzioni preventivate, aprendo scenari che potrebbero consistere in un drastico calo della sua popolarità in Russia. Abbastanza prevedibili le posizioni degli alleati degli Stati Uniti, concordi della concreta possibilità che si stiano creando le condizioni per un conflitto quasi globale; la quasi totalità ha espresso giudizi di condanna sulla violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina e per la violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite. Il rappresentante della Russia alle Nazioni Unite, al contrario, ha sostenuto la decisione di Mosca per tutelare l’etnia russa dei territori riconosciuti e di come il riconoscimento sia stato a lungo ponderato ed ha invitato le potenze occidentali a non abbandonare la soluzione diplomatica. L’Ucraina, da parte sua, ha ribadito la sovranità sui propri territori ed ha praticamente sfidato la Russia, in uno scontro che non pare in grado di sostenere. Molto più attenuata la posizione della Cina, che malgrado la vicinanza più volte espressa alla Russia, non deroga dai propri principi in politica estera, scegliendo una sorta di equidistanza e raccomandando alle parti in causa la massima prudenza e l’intensificazione dell’azione diplomatica. Aldilà dell’avversione agli Stati Uniti ed il gradimento della politica russa, Pechino dimostra di temere maggiormente i contraccolpi di una crisi economica a livello globale, che potrebbe mettere in pericolo la crescita cinese; tuttavia la scelta di non recitare un ruolo da protagonista, soprattutto per incrementare una azione pacificatrice, da parte di Pechino, rivela come la Cina sia ancora ben lontana da diventare quella grande potenza a livello globale, che dice di volere diventare. L’occasione di recitare un ruolo da protagonista, senza essere al fianco di una delle due parti, ma soltanto in favore della pace, poteva costituire una prova vista con favore da tutte le angolazioni, anche nel caso di mancata riuscita, viceversa questo atteggiamento pavido rivela tutta l’inesperienza e la mancanza di capacità di rischio del governo di Pechino, che resta troppo legato agli aspetti economici a discapito di quelli di politica internazionale. Il presidente Biden ha espressamente ordinato di vietare ogni tipo di finanziamenti, investimenti e transazioni commerciali con le aree invase dalla Russia e ciò rappresenta, senz’altro, la prima soluzione che precederà le ben più pesanti sanzioni già minacciate e previste per l’atteggiamento deciso dalla Russia. Di seguito cosa possa accadere è difficilmente pronosticabile.

venerdì 18 febbraio 2022

Crisi ucraina: l'Unione Europea mantiene un atteggiamento di attesa

 L’atteggiamento dell’Europa, di fronte alla crisi ucraina, rimane improntato al massimo utilizzo della diplomazia, anche dopo che l’aumento della presenza dei militari russi al confine tra i due paesi. I segnali, che Bruxelles ha inviato verso il Cremlino sono di sostegno ad una soluzione negoziata tra le parti, che deve escludere ogni soluzione militare, ma, nel contempo, è stata ribadita la ferma volontà di procedere con sanzioni particolarmente dure, se Mosca opererà una aggressione contro Kiev. Il presidente del Consiglio europeo ha ribadito al presidente ucraino la solidarietà dell’Unione Europea, assicurando la reazione di Bruxelles per continuare a garantire la pace, la stabilità mondiale e la sicurezza comune, concetti che coincidono con i valori europei; tuttavia occorrerà verificare se a queste dichiarazioni seguiranno passi concreti, che si annunciano necessari anche prima di una eventuale invasione del paese ucraino. La situazione, infatti, dopo la speranza di un epilogo positivo, sembra essersi di nuovo aggravata in una zona del confine lunga circa 200 chilometri. Numerose esplosioni, si parla di circa 500, segnalano l’inizio di bombardamenti nei territori contesi, dove si sarebbero verificati anche combattimenti che hanno avuto come protagoniste le forze non regolari che fiancheggiano la Russia. Più volte l’Alleanza Atlantica ha avvertito della possibilità che la Russia possa prendere a pretesto qualsiasi occasione per giustificare l’invasione, fino a prospettare la costruzione di falsi attacchi contro i propri militari. L’attuale contesto di combattimenti al confine, seppure con truppe non regolari, potrebbe essere il pretesto decisivo per portare a compimento l’invasione dell’Ucraina, anche per superare il problema dell’innalzamento delle temperature, che costituisce un ostacolo di notevole gravità per i movimenti dei mezzi pesanti e corazzati del Cremlino. Al momento, comunque, l’Unione Europea non ha giudicato la situazione dei combattimenti registrati, tale da alzare il livello dello scontro diplomatico e quindi di non attivare sanzioni contro Mosca, sanzioni, che per il regolamento vigente, dovranno essere approvate all’unanimità e malgrado le convinzioni dell’Alto rappresentante della politica estera europea circa la compattezza della risposta di Bruxelles, questo risultato non appare così scontato. I dubbi potrebbero riguardare il paese ungherese e la stessa Germania non è apparsa troppo convinta a prendere posizioni nette contro Putin. Le armi che l’Unione intende usare riguardano sanzioni in grado di colpire settori finanziari e tecnologici, oltre al blocco di movimento di uomini d’affari russi, che operano solitamente all’interno del territorio dell’Unione. Resta da verificare se la convinzione dei dirigenti europei, di essere in grado di colpire in maniera molto dura la Russia, sia veritiera; certamente l’economia russa appare in difficoltà, ma occorre valutare attentamente quali sono le attese di Putin circa ad un risultato che possa garantire di fermare l’avanzata dell’Alleanza Atlantica fino ai confini del territorio di Mosca: è più importante una vittoria politica, seppure grazie ad una affermazione militare, o non compromettere ancora la situazione di una economia in stato di crisi; importante sarà vedere come potrebbe reagire l’opinione pubblica del paese, comunque sensibile agli aspetti nazionalistici, ma provata da difficoltà di ordine finanziario ed economico. Risulta chiaro che la leadership europea punti la sua strategia su questo secondo punto, ma ciò non sembra bastare per una azione efficace; ancora prima di questa strategia delle sanzioni occorre offrire una soluzione che comprenda una via di uscita onorevole per Putin, senza che questa sia percepita come sconfitta politica. Trovare una soluzione soddisfacente per tutte le parti in causa non appare agevole: Putin, che come al solito ha agito alzando troppo il livello dello scontro con richieste francamente irricevibili, si è infilato da solo in una situazione senza apparente via di uscita, dove il risultato, aldilà di ogni possibile risultato finale, potrà comunque essere deleterio per il capo del Cremlino. Se l’adesione dell’Ucraina al momento non rientra nei piani dell’Alleanza Atlantica, potrebbe essere un punto che, quanto meno, potrebbe allentare la tensione, anche solo momentaneamente e rappresentare il punto di partenza per trattative senza l’incombenza della minaccia militare, tuttavia ciò potrebbe non bastare, come potrebbero non bastare le sanzioni ed, a quel punto, occorrerebbe essere già pronti alle conseguenze di un conflitto che riguarderà tutto l’Europa geografica.  

venerdì 11 febbraio 2022

La Commissione europea sanziona la Polonia

 La Polonia finalmente paga il proprio atteggiamento arrogante ed il disprezzo delle regole nei confronti delle istituzioni europee. L’antefatto è costituito dall’ostinazione allo sfruttamento di una miniera di carbone, situato nel territorio della Repubblica Ceca, da parte di una società statale polacca, che ha generato un contenzioso tra Praga e Varsavia; contenzioso regolato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo. Il tribunale dell’Unione ha condannato la Polonia a non continuare l’opera di sfruttamento del giacimento della Repubblica Ceca; il rifiuto di Varsavia di conformarsi a questa sentenza ha generato una multa pari a 500.000 euro al giorno, che sommati per tutte le giornate di inadempienza sono arrivati a costituire una somma pari a 70 milioni di euro a carico dello stato polacco. Nonostante l’accordo raggiunto successivamente tra i due paesi, Ursula Von der Leyen ha confermato la sanzione, mettendo in chiaro che ad alcuno paese membro dell’Unione è consentito violare le norme comunitarie. Ad aggravare la situazione è stato anche l’atteggiamento sprezzante del governo di Varsavia contro la corte lussemburghese , accusata di volere imporre le proprie regole in maniera arbitraria. Non è escluso che senza questi attacchi la multa potesse essere ridotta o, addirittura non applicata, ma i comportamenti del governo nazionalista della Polonia sono da tempo sotto l’esame delle istituzioni europee, soprattutto per l’atteggiamento anti liberale ed anti garantista nei confronti dei diritti civili. La soluzione della Commissione europea sarà, quindi, quella di sottrarre una quota dei fondi destinati alla Polonia pari all’ammontare totale della multa, i già citati 70 milioni di euro. Dal punto di vista tecnico non si tratta più di una decisione legale, perché a seguito dell’accordo tra Praga e Varsavia, la sentenza della corte del Lussemburgo diviene sorpassata, ma del mantenimento della sanzione amministrativa come puro atto politico, che segna un precedente di indirizzo della politica comunitaria, tanto è vero che il caso costituisce una novità, essendo la prima volta che la Commissione europea agisce trattenendo dei fondi in seguito al mancato rispetto di una sentenza. Inoltre la Polonia dovrà versare anche 45 milioni di euro alla Repubblica Ceca per i danni conseguenti alla mancata sospensione dell’attività estrattiva. Il paradosso della dichiarazione del governo polacco di avere dichiarato che si opporrà in tutte le sedi appropriate contro la decisione della Commissione è che l’unica sede dove appellarsi è proprio quella Corte di giustizia europea che ha sede in Lussemburgo e che è stata praticamente disconosciuta dal governo polacco. Varsavia appare così in un vicolo cieco nei confronti della Commissione, anche perché resta aperta la questione del tribunale disciplinare che minaccia l’indipendenza della magistratura polacca; anche in questo caso la Corte lussemburghese ha provveduto a dichiarare illegale la nuova istituzione, che comunque continua ad esercitare la sua funzione in aperto contrasto con le disposizioni dell’Unione. La tensione tra Varsavia e Bruxelles è quindi arrivata ad un punto molto elevato, malgrado le speranze dell’esecutivo populista della Polonia, che sperava in una sorta di distrazione delle istituzioni europee, maggiormente concentrate sulla questione ucraina e dei profughi provenienti dalla Bielorussa. La scelta della Commissione, al contrario, ha privilegiato una azione sanzionatoria per ribadire l’indirizzo politico che si è voluto intraprendere: quello di evitare la ripetizione, come spesso accaduto troppo spesso in passato, di tollerare il comportamento di alcuni stati membri in aperto contrasto con i principi in vigore ed ispiratori della casa comune europea. L’atteggiamento utilitaristico a senso unico, cioè a solo proprio vantaggio, di troppi membri europei non è più tollerabile in una associazione di stati la cui adesione è libera ma vincolata a norme specifiche, che devono essere universalmente accettate una volta diventati membri dell’Unione. Stati come la Polonia iscrivono nel loro bilancio somme sostanziose, che spesso rappresentano la maggior parte del loro budget, direttamente provenienti dall’Unione, senza fornire il contributo richiesto in materia di collaborazione con gli le altre nazioni ed applicazione e rispetto del diritto europeo; si tratta sostanzialmente di paesi non affidabili, verso i quali la sanzione della mancata corresponsione dei fondi deve costituire soltanto il primo avvertimento, propedeutico a sanzioni ben più gravi e definitive. La politica del superamento dell’unanimità non potrà che favorire questa direzione e forse resteranno soltanto gli stati fortemente convinti dell’idea di Unione, con i loro vantaggi ma anche i loro obblighi, certamente rispettati e non messi in discussione.   

venerdì 4 febbraio 2022

Cina e Russia verso una alleanza contro gli USA

 Russia e Cina sembrano sempre più vicini ed il loro legame si rinsalda grazie al nemico comune, gli Stati Uniti. Se Mosca evitare l’allargamento dell’Alleanza Atlantica è diventato una esigenza nazionale, per Pechino il contenimento di Washington sul piano internazionale diventa un programma ancora più ambizioso, perché è il chiaro segnale di contenere gli USA, utilizzando anche una questione apparentemente lontana e senza importanza strategica per gli interessi cinesi. Sembra che la direzione intrapresa sia quella di una alleanza sempre più stretta tra le due superpotenze, che hanno interessi coincidenti per unirsi contro gli americani. Appare particolarmente significativo che il primo incontro in presenza, da oltre due anni, con un leader straniero, Xi Jingping lo abbia riservato proprio a Putin nel momento di massima tensione della Russia con gli Stati Uniti e forse alla vigilia di una possibile invasione dei militari di Mosca in Ucraina. Alla base di questa collaborazione sempre più intensa, non vi è solo l’avversione agli Stati Uniti, ma anche una più ampia convergenza contro i moti popolari in nome di maggiori garanzie a favore dei diritti, che hanno contraddistinto i due paesi. Una visione nettamente opposta agli ideali democratici occidentali, che si pone come un vero e proprio scontro di civiltà, capace di portare grande instabilità nel mondo. Sia Mosca che Pechino, sono stati condannati più volte dall’occidente, per il loro atteggiamento antidemocratico, che hanno perpetrato con repressioni di massa e lotta violenta contro il dissenso: per questo comune atteggiamento nella politica interna verso gli oppositori, un reciproco sostegno, inquadrato come legame internazionale, serve a giustificare il loro operato proprio sulla scena mondiale. Per la Cina la vicinanza della Russia riveste anche un particolare significato, perché Mosca riconosce il diritto cinese a rivendicare una sola Cina, contro quindi le aspirazioni di Taiwan, peraltro sempre più vicino agli Stati Uniti per ovvi motivi di necessità. La versione ufficiale del progressivo avvicinamento dei due paesi è la realizzazione del vero multilateralismo, cioè una collaborazione paritaria dei due paesi ad una alleanza più stretta, che sembra sempre più prossima; tuttavia l’alleanza tra Cina e Russia non potrà che essere asimmetrica più il tempo andrà avanti. Esiste un evidente vantaggio di posizioni tra Pechino e Mosca, a tutto vantaggio per la prima, sia dal punto di vista economico, dove Mosca non può competere con la differenziazione produttiva cinese, perché ha ancora una economia basata esclusivamente sulle risorse naturali, sia dal punto di vista militare, che da quello geopolitico. L’impressione è che Mosca sia ben conscia di questa differenza, che nel futuro potrà creare attriti non da poco, ma, al momento, abbia la necessità di avere al suo fianco il maggiore paese in grado di contrastare gli Stati Uniti, soprattutto nel caso di un effettivo intervento militare nel paese ucraino. Certo anche economicamente Mosca deve garantirsi mercati alternativi di fronte alla possibilità di incorrere in sanzioni economiche ed a questo scopo ha aperto all’aumento della quantità di gas destinato proprio alla fornitura della Cina. Sebbene questa possibile alleanza apra a scenari di forte preoccupazione, si può leggere anche come una necessità dei due stati di sorreggersi simultaneamente e di evitare una sorta di isolamento, che stanno già patendo per le loro azioni repressive all’interno delle loro nazioni. La riprovazione internazionale, maggiormente proveniente dalla parte occidentale, ma non solo, è una fonte di grande preoccupazione, soprattutto per la Cina e le ricadute economiche che l’ostracismo verso Pechino può produrre. Per la Russia è molto sentita la necessità di potere contare su alleanze con altri paesi e la prossima tappa potrebbe essere rappresentata dall’Iran, tuttavia si tratta di una tattica che accentua il legame con stati dove la repressione è la politica di comune esercizio e ciò non fa che allontanare Mosca dall’Europa il partner economico di cui ha maggiore bisogno, per risollevare la propria economia disastrata, anche se il legame energetico con i paesi dell’Unione appare di difficile dissoluzione, per le reciproche necessità. Più preoccupante sarà vedere la reazione degli Stati Uniti: le conseguenze che si rischiano di generare sono fortemente preoccupanti, non solo per dossier ucraino, ma anche per quello di Taiwan e per lo stesso nucleare iraniano.  

La strategia russa di espansione è anche in Africa

 La strategia russa di presidiare le zone che ritiene funzionali ai propri interessi non riguarda solamente  i territori posti sul proprio confine, dove intende applicare la sua influenza in maniera esclusiva, ma anche altre zone del mondo, che hanno assunto particolare rilevanza internazionale; è il caso dell’Africa, sempre al centro dell’attenzione, non solo per la ricchezza delle sue risorse, ma, anche per la crescente importanza geostrategica nel teatro globale. Questa volta la questione riguarda la presenza di mercenari russi, che hanno il sicuro benestare del Cremlino e, probabilmente, agiscono per suo conto, nei paesi africani di Mali, Libia, Sudan, Repubblica Centrafricana, Mozambico e Burkina Faso. Questa presenza, sempre più ingombrante, desta molta preoccupazione in Europa e specialmente in Francia, da sempre impegnata direttamente in queste zone. Il territorio dove sono presenti i mercenari russi è quello del Sahel, dove si concentrano milizie ed aderenti allo Stato islamico, che costituiscono una minaccia quasi diretta per il continente europeo ed il Mediterraneo. Controllare questa zona significa regolare anche i traffici migratori ed usare il terrorismo e lo stesso flusso dei migranti come mezzi di pressione sull’Unione  Europea. Si comprende, così, come la presenza russa sia funzionale ad esercitare una pressione sugli alleati degli USA, sia in generale, che in questo momento particolare, dove la questione ucraina è al centro della scena. L’evoluzione dei rapporti tra la giunta golpista del Mali e la Francia ha assunto connotati particolarmente negativi, culminati con l’espulsione del massimo rappresentanti di Parigi, l’ambasciatore francese. La presenza francese nel Mali è consistente: sono circa cinquemila i soldati direttamente impegnati a combattere la presenza delle milizie dello stato islamico e questa presenza è considerata strategica sia dalla Francia, che dalla stessa Unione Europea. La Francia ha più volte avvertito il Mali della necessità di una maggiore attenzione verso la presenza degli aderenti allo Stato islamico, tuttavia il governo militare, che si è insediato dopo il golpe, ha dimostrato di non gradire affatto la politica francese, percependola come una ingerenza nei propri affari interni, circostanza che ha fatto sospettare, se no una commistione con le milizie radicali, almeno la volontà di usarle come mezzo per contrastare l’azione francese, perché in contrasto con la presenza del governo golpista. Inoltre l’utilizzo di milizie russe, controllate da persone vicine al presidente Putin, da parte del nuovo governo maliano, rappresenta un chiaro segnale di dove vuole dirigersi la politica estera del nuovo esecutivo del paese africano. Anche nel Burkina Faso, dove un golpe ha permesso il cambio di governo da poco tempo, pare che si registri la presenza dei mercenari russi appartenenti alla stessa compagnia presente in Mali. Questa strategia russa completa l’azione degli stessi mercenari presenti in da più tempo in Libia, Sudan e Centrafrica, che svolgono missioni per garantire gli interessi di Mosca nella regione attraverso la fornitura di armi, addestramento e presidio militare ai governi ed anche al sostegno di fazioni politiche extra governative, ma che possono essere funzionali agli scopi della federazione russa. Questa situazione pone interrogativi sostanziali sulla efficacia della sola azione diplomatica scelta dall’Europa e che, ormai, appare insufficiente per proteggere i propri interessi nella regione africana di fronte all’insorgenza di soggetti internazionali, come Russia e Cina, sempre più presenti e pronti, non solo a rimpiazzare l’Unione , ma anche a d esercitare pressioni dirette per condizionarne l’atteggiamento internazionale. La necessità di una forza militare europea e di una zione politica estera comune si fa sempre più impellente e necessaria: non è più il tempo di indugiare, pena un ridimensionamento politico, ma anche economico dell’Unione sullo scacchiere internazionale.

venerdì 21 gennaio 2022

Nella questione ucraina, l'Europa è marginale

 All’interno della situazione ucraina, l’Unione Europea non sta interpretando un ruolo da protagonista a causa dell’esclusione dei colloqui che Putin tiene regolarmente con gli USA e l’Alleanza Atlantica. Questa di situazione di emarginazione è comprensibile se si considerano le ragioni di Putin, che non vuole intenzionalmente altri protagonisti vicini agli Stati Uniti al tavolo delle trattative e, nel contempo, continua nella sua opera di divisione degli alleati occidentali, ma il mancato coinvolgimento da parte di Washington, che doveva esigere la presenza di Bruxelles ai negoziati, appare molto grave. Sulla questione si possono fare delle ipotesi, che se vere potrebbero portare ad una situazione difficile tra le due parti. Innanzitutto è singolare che ne gli USA e neppure l’Alleanza Atlantica abbiano sentito il bisogno della presenza europea: non si può non pensare al risentimento di entrambi i soggetti per la volontà di creare una forza armata direttamente costituita dall’Unione Europea, che è stata interpretata oltre oceano come una alternativa all’Alleanza Atlantica e quindi alla influenza americana, sia dal punto di vista strategico, che politico ed anche economico, visto la grande partita delle commesse militari che è in gioco; tuttavia la Germania cerca comunque di rientrare nella partita diplomatica, approfittando dello scalo del Segretario di stato americano e coinvolgendo anche Francia e Regno Unito. Berlino, con questa manovra, gioca, però, una partita singola, sganciata da una auspicabile azione europea. Certo riconoscere che la questione centrale è il mantenimento dell’ordine e della pace è una questione essenziale per l’Europa, appare un fatto scontato, che non fa altro che rinnovare la marginalità dell’Unione. Sebbene l’Europa abbia l’aspirazione di un ruolo di rilievo, la strategia tedesca è apparsa una via di mezzo tra tentativo dilettantesco e manovra azzardata. La Francia avrebbe l’intenzione di fare intraprendere una propria azione diplomatica all’Unione nei confronti di Mosca, ma il timore è che gli Stati Uniti non gradiscano questa iniziativa alternativa e che la scarsa forza contrattuale europea di fronte alla Russia, determini una iniziativa con scarse conseguenze pratiche ma con ricadute politiche molto negative. D’altra parte le intenzioni nei confronti della Russia, in caso di invasione dell’Ucraina, sono molto differenti: se Washington arriva a propendere addirittura per una risposta militare, anche se preceduta da forniture di armi verso Kiev e pesanti sanzioni economiche, l’Europa punta esclusivamente sul dialogo, perché troppo coinvolta da eventuali sanzioni contro Mosca a causa dei legami economici e della dipendenza delle forniture energetiche che arrivano dal paese russo. L’Europa si trova in una situazione di stallo a causa della mancanza cronica di una politica estera ed economica, specialmente insufficiente sul tema degli approvvigionamenti energetici, che ne condizionano ogni possibile mossa. Gli stessi Stati Uniti si stanno muovendo con la massima cautela, atteggiamento che potrebbe essere scambiato per debolezza da Putin, che continua ad avvicinarsi in modo preoccupante allo scontro. Alla Russia è stata lasciata troppa libertà di manovra, rivendicare la propria area di influenza sui territori che appartenevano all’ex impero sovietico può essere comprensibile, ma non è tollerabile costringere stati e popoli che non gradiscono questa soluzione; intanto il fine ultimo di Putin è quello di non avere stati democratici sui propri confini per evitare pericolosi contagi con la popolazione russa, già molto insoddisfatta dello stato di cose, questo è l’obiettivo primario, il secondo, quello ufficiale, di rifiutare la presenza dell’Alleanza Atlantica sui propri confini può avere giustificazioni strategiche che non si conciliano con l’autodeterminazione delle nazioni sovrane. Basterebbe solo questo per superare perplessità di ordine economico da parte degli europei: l’avanzata russa, quella si, ai confini dell’Unione è un fattore di pericolosa destabilizzazione dell’assetto europeo, soprattutto con stati all’interno dell’Unione dove spirano sentimenti antidemocratici, che Bruxelles non dovrebbe più tollerare. Pur con tutti i dubbi legittimi, l’Europa dovrebbe affiancare in maniera convinta gli Stati Uniti per contenere Putin e proprio la mancanza di questa convinzione ne determina la marginalità, che non potrà essere superata finché verranno mantenute queste posizioni troppo timide e moderate contro la prevaricazione della democrazia.

martedì 18 gennaio 2022

Le migrazioni come fattore di impatto sugli equilibri geopolitici e come dinamica europea

 Uno degli effetti della pandemia, strettamente connessa all’aumento della miseria, è l’incremento delle migrazioni di persone con modalità irregolari, verso l’Europa; gli ultimi dati segnalano livelli numerici preoccupanti e tali da rendere sempre di maggiore difficoltà la gestione del fenomeno. Questi dati, inoltre, indicano che la tendenza della pressione migratoria non potrà che essere in aumento nel futuro, sia prossimo che di medio e lungo periodo, proprio per gli squilibri della diseguaglianza generati dalla pandemia, che vanno ad unirsi alle ragioni pregresse delle migrazioni: conflitti, carestie e fenomeni atmosferici causati dal riscaldamento globale. Queste cause sono ben conosciute dagli analisti e dai politici, ma presso l’Unione Europea resta un atteggiamento quasi passivo, caratterizzato dall’assenza di una visione comune, per la mancanza di strumenti efficaci da parte di Bruxelles e per interessi ed impostazioni politiche contrastanti, che, di fatto, impediscono un approccio unitario e risolutivo del problema. Il 2021 ha segnato un aumento di circa il 57% di arrivi, rispetto all’anno precedente, segnato dall’insorgere dalla pandemia, ma proprio gli effetti del covid  hanno provocato una maggiore concentrazione della ricchezza a svantaggio dei paesi poveri ed è una delle cause dell’aumento della povertà estrema di oltre 800 milioni di persone, che generano sempre maggiori bisogni di cercare alternative al proprio stato di indigenza. A contribuire alle migrazioni vi è anche l’uso della pressione sull’Unione Europea proprio attraverso l’utilizzo delle rotte migratorie come fattore di ricatto ai paesi occidentali e come strumento per aumentare la divisione dei contrasti tra i membri di Bruxelles. Per ultimo è stato il dittatore bielorusso ad utilizzare questi metodi, rifacendosi a quanto già fatto dai libici e dagli egiziani, tra gli altri. L’impressione è che questo uso politico sfrutti la quantità delle migrazioni indirizzandole, ma non incida più di tanto sul dato numerico complessivo quanto sull’utilizzo di rotte migratorie piuttosto che altre; tuttavia si tratta di una insorgenza che a livello politico dovrebbe stimolare una maggiore compattezza tra i membri europei ed invece sortisce l’effetto opposto. Si tratta di un elemento da non sottovalutare affinché l’Europa non diventi vittima passiva di strumenti che sono vere e proprie sanzioni di tipo asimmetrico, contro le quali il sentimento di identità nazionale di sovranisti o della condotta dei paesi dell’est Europeo, alla lunga, possono poco, proprio perché vanno a compromettere la convivenza tra i membri dell’Unione. Certamente il fatto di usare esseri umani in grande difficoltà pone questioni su come intrattenere rapporti con chi usa questi strumenti, ma anche con chi rifiuta un aiuto umanitario che pare innegabile ed improrogabile. Ciò, quindi, evidenzia la necessità, sempre più impellente, di creare percorsi protetti per i profughi e condizioni e regole che possano favorire una migrazione regolare, sia per ragioni umanitarie, che pratiche e cioè governare il fenomeno senza subirne le conseguenze ed i ricatti; in questo modo si può disinnescare la strumentalizzazione da parte delle  dittature e dei trafficanti di uomini. Per arrivare a questa determinazione occorre costruire un progetto condiviso o agire sulla regola dell’unanimità che da troppo tempo condiziona le decisioni dell’Unione, anche perché ragioni pratiche sono sempre più urgenti per combattere l’invecchiamento progressivo della popolazione e la conseguente mancanza di manodopera necessaria alle industrie europee. Prendere atto di questa esigenza armonizzandola dal punto di vista legale per assicurare legalità e sicurezza ai cittadini europei, potrebbe essere un buon motivo per convincere i movimenti più scettici e più propensi ad un atteggiamento di chiusura. Aldilà delle ovvie ragioni umanitarie, regolare autonomamente da parte dell’Unione il fenomeno migratorio avrebbe solo dei vantaggi per Bruxelles e potrebbe contribuire alla consapevolezza europea di grande potenza, necessaria per esercitare il ruolo da protagonista che l’Unione deve recitare sullo scenario globale, come soggetto indipendente, ma anche come punto di equilibrio tra concorrenti sempre più in grado di mettere in pericolo la pace mondiale. I fenomeni migratori sono molto di più che emergenze umanitarie, e basterebbe solo questa ragione per cercare di risolverle, ma sono diventate strumento geopolitico e sono intimamente connesse con temi di portata generale come la necessaria riduzione delle diseguaglianze e la lotta ai cambiamenti climatici. Quindi affrontare singolarmente questo tema è una urgenza da trattare soltanto nel breve periodo, ma nel medio e nel lungo occorre un progetto globale, anche per prevenire lo spopolamento e l’ulteriore impoverimento di intere nazioni ed in questo solo l’Europa è in grado di essere il soggetto protagonista, anche perché è l’unico.

mercoledì 12 gennaio 2022

Il ritiro dei russi dal Kazakistan non è troppo sicuro

 L’attuale presidente del Kazakistan ha affermato che la situazione del paese è ritornata ad essere normale ed ha nominato un nuovo primo ministro, che non ricade sotto l’influenza del precedente presidente. La stabilizzazione del paese dovrebbe portare al ritiro delle truppe straniere presenti sul territorio kazako, facenti parte dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva, a cui aderiscono: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. Le proteste erano iniziate il 2 Gennaio per l’aumento dei combustibili ed avevano svelato lo stato di profonda crisi sociale, politica ed economica del paese, sintomo di un malcontento generalizzato che si è manifestato in grandi proteste, stroncate violentemente dalle forze di polizia, a cui era stato concesso di sparare direttamente sulla folla. Le manifestazioni erano state derubricate in episodi di terrorismo su mandato di non bene individuate potenze straniere e sono state funzionali all’azione russa di ribadire che il paese kazako non poteva allontanarsi dall’influenza di Mosca, che, peraltro, temeva una ripetizione del caso ucraino. La repressione dei manifestanti è stata benedetta da Pechino, come mezzo per eliminare le proteste, forse un tentativo di giustificare per analogia, la propria azione ad Hong Kong e contro la popolazione musulmana cinese. Il presidente del Kazakistan ha evidenziato la necessità dell’intervento delle truppe russe e degli altri paesi alleati, per ristabilire l’ordine nel paese contro la pericolosa minaccia terroristica, non bene identificata, che minacciava di conquistare il centro economico principale del paese, Almaty; cosa che avrebbe provocato, come conseguenza, la perdita del controllo dell’intero Kazakistan. Secondo il presidente kazako le truppe straniere alleate dovrebbero abbandonare il paese entro dieci giorni. In realtà sarà interessante verificare se queste tempistiche saranno rispettate: il timore russo di una deriva del paese verso l’occidente non sembra collimare con un ritiro repentino delle truppe di Mosca, soprattutto dopo lo sforzo profuso per la repressione della protesta kazaka; una permanenza di soli dieci giorni non permetterebbe un efficace controllo dell’evoluzione di una situazione di malcontento che rappresenta ben più di una insoddisfazione economica. Definire la protesta come una emanazione studiata di un piano terroristico, senza indicarne espressamente i mandanti, significa definirla come una sorta di tentativo di sovvertimento del paese dall’interno. Che queste pulsioni siano del tutto vere ha poca importanza per la Russia, che deve ribadire il controllo pressoché totale su quella che viene ormai definita la propria area di influenza, ben delimitata e assolutamente non più soggetta a variazioni negative. Del resto lo stesso Putin ha avvallato la teoria terroristica del presidente kazako, come giustificazione all’intervento armato da lui stesso progettato. Sul totale dei 2.300 soldati impiegati, il fatto che la maggioranza fosse russa appare alquanto significativo; tuttavia le reali esigenze del paese sono ben presenti al nuovo governo del Kazakistan, che intende promuovere programmi tesi a favorire l’incremento dei redditi ed a rendere più equo un sistema fiscale dove sono presenti pesanti diseguaglianze; però di pari passo con questi propositi, viene programmato un aumento degli effettivi di polizia ed esercito per tutelare maggiormente la sicurezza del paese. Questi propositi sembrano smentire l’ipotesi terroristica, usata soltanto per la conservazione del regime e l’intervento russo, ma ammettono la presenza delle difficoltà di ordine interno, difficoltà che potrebbero, potenzialmente, rendere possibile l’allontanamento dall’area di influenza russa, soprattutto in presenza di una svolta democratica, tentativo in precedenza più volte represso a livello locale senza interventi esterni. La necessità dell’aiuto russo dimostra quanto il paese abbia le capacità e la volontà di cercare una alternativa alla situazione presente. Queste premesse pongono il paese kazako al centro dell’attenzione non solo dello scontato interesse russo, ma anche dell’occidente e del mondo intero, perché può destabilizzare la regione ed il controllo russo; ciò implica un nuovo fronte di possibile attrito con gli USA, non certo disposti ad accogliere il monito di Mosca in chiave anti ucraina, dove la tensione è destinata, anche per questo precedente, ad arrivare ad una situazione limite.

mercoledì 15 dicembre 2021

Ribellione nel partito conservatore inglese per le misure contro la pandemia

 Il governo britannico di Boris Johnson segnala una debolezza intrinseca, che rischia di destabilizzare il paese in una fase difficile a causa della pressione del Covid. I nuovi sacrifici per limitare la pandemia, aumentata grazie alla nuova variante, richiesti dall’esecutivo di Londra ai suoi cittadini hanno causato un profondo dissenso nello stesso partito del premier, che si è manifestato con un voto contrario di ben cento parlamentari conservatori. La sensazione è che i sentimenti molto libertari, soprattutto verso la tutela delle libertà individuali, dei conservatori inglesi siano stati traditi non solo da misure ritenute profondamente anti libertarie, ma anche dalla confusione e contraddizione degli annunci che hanno contrassegnato la comunicazione di queste soluzioni. Le maggiori provocazioni sono state avvertite circa l’adozione di certificati per accedere a locali pubblici e ciò ha determinato il voto contrario dei conservatori; il governo, pur contando su di una maggioranza di ben 79 voti è dovuto ricorrere all’aiuto dell’opposizione laburista per fare approvare i provvedimenti anti Covid. Politicamente si tratta di una vera e propria umiliazione che segnala un calo nella leadership di Johnson sia all’interno del governo, che dentro al partito conservatore, aprendo alla possibilità di nuovi scenari ed equilibri: infatti, se la tenuta del governo non sembra troppo in pericolo, l’autorevolezza del premier, anche come capo del partito, ne esce abbastanza compromessa. Analisi dei politologi britannici parlano della più grande ribellione che ha dovuto soffrire un primo ministro inglese; del resto il voto contrario di circa 100 deputati del partito di governo rappresentano un segnale inequivocabile. Il segnale verso Johnson è chiaramente politico, perché sia la provvisorietà, che la volontà meno invasiva rispetto ad altri paesi, del provvedimento per contrastare il Covid non avevano le caratteristiche di perentorietà e cogenza troppo esasperate, proprio per non offendere la sensibilità conservatrice sui temi delle libertà individuali. Anche il fatto che il dissenso sia partito dal gruppo conservatore dei deputati che non hanno responsabilità di governo, segnala una frattura del premier con la base del partito; infatti proprio da questa ala dei conservatori arriva la richiesta di un maggiore coinvolgimento sia di tutti i deputati conservatori, che dell’intera organizzazione del partito; proprio a questo proposito l’accusa maggiore è che i provvedimenti andranno a complicare i settori del commercio e del turismo, molto vicini al partito di governo, nel periodo natalizio, quello dove si registra una parte considerevole degli incassi dell’intero anno.  Un ulteriore pericolo segnalato dai ribelli conservatori è che il previsto obbligo del vaccino per i lavoratori dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale potrebbe provocare un esodo dal lavoro, quantificato nella previsione di circa 60.000 dipendenti, che metterebbe in grande difficoltà il sistema sanitario inglese. Tutti questi segnali causano un futuro difficile per il premier, soprattutto nella continuazione della lotta alla pandemia, che è tutt’altro che sconfitta: la necessità di prendere decisioni, anche drastiche, dovrà essere mitigata dalla contrarietà, ormai chiara e palese, della base del partito ed un esito possibile sarà un’azione di governo troppo prudente, con una conseguente salita dei contagi o, in alternativa una situazione di crisi continua che potrebbe sfociare in una ingovernabilità del paese; appare impensabile che l’esecutivo possa portare avanti la sua azione di governo con il sostegno dell’opposizione, che, oltre tutto, si accredita come forza responsabile del paese sostenendo provvedimenti, che, seppur condivisi, provengono dal maggiore avversario politico. Tuttavia i problemi non sono solo di Johnson, anche nel campo laburista ci sono state critiche per il sostegno ai provvedimenti anti Covid, provenienti dal precedente leader Corbyn, che sostiene, al pari dei ribelli conservatori, come le soluzioni adottate siano contrarie alla coesione nazionale e generino profonde divisioni che impediscono la cooperazione delle forze politiche e sociali. Corbyn ha votato in aperto contrasto con quanto indicato dal partito, cioè di sostenere i provvedimenti anti covid, seppure provenienti dal governo, aprendo un caso analogo a quello dei conservatori, anche nel partito laburista, dove appare però, ancora una volta in minoranza. Non si sa se la posizione del vecchio leader è dettata da reali considerazioni o da una tattica utilizzata per delegittimare il gruppo dirigente dei laburisti, contrario alla sua linea politica, ma in ogni caso appare una posizione perdente. Il Regno Unito, quindi, denuncia una situazione politica preoccupante per il suo futuro, con i due partiti maggiori divisi al loro interno, anche se quella conservatrice, al momento, appare la situazione più complicata.